
Musica
La cerimonia dell’innocenza è affogata
Una lettura moderna del Giro di vite di Britten. L’ambiguità del racconto di James, musicalmente reinventata da Britten, si fa visione teatrale nella messa in scena di Deborah Warner al Teatro dell’Opera di Roma.
La nuova messa in scena al Teatro dell’Opera di Roma del Giro di Vite di Benjamin Britten merita una riflessione su che cosa sia veramente oggi fare teatro. Perché qui sta il punto, che invece sfugge al pubblico abituale dei teatri d’opera: il melodramma – qualsiasi sia il genere in cui venga declinato, dramma musicale, operetta, Singspiel, opéra-comique, musical e così via – è innanzi tutto teatro. Che gli attori cantino invece di parlare non è poi una cosa così straordinaria, così artificiale o innaturale come che recitino versi invece che prosa. E la stessa prosa della commedia, o del dramma, per quanto si sforzi di essere realistica non è la lingua che parliamo tra di noi tutti i giorni. La musica, dunque, il canto, sono lo strumento della recitazione nel melodramma. È pertanto importantissimo, anzi indispensabile, che sia musica adeguata all’azione. Come devono essere adeguati i versi di uno Shakespeare, di un Racine, di un Alfieri. È dunque la recitazione, che sia canto, prosa parlata, versi, il nodo della rappresentazione. Tant’è vero che anche una una realizzazione senza scene e senza costumi non fa perdere il senso di assistere a un’azione drammatica. Ora, la storia di come si mette in scena un testo teatrale, nel suo sviluppo millenario ha conosciuto molte trasformazioni, molte diverse configurazioni. Il teatro greco antico e il teatro giapponese, in particolare il Nô, fanno uso di maschere, come nel Rinascimento e in età barocca la Commedia dell’arte, o nella Roma antica l’atellana. In Grecia, nell’Inghilterra elisabettiana a recitare erano solo gli uomini, in Giappone o solo uomini o solo donne. Non c’erano effetti di luce fino all’invenzione della luce a gas nell’Ottocento, e la sala restava illuminata anche durante la rappresentazione prima che Wagner pretendesse il buio. Le scene erano dipinte, gli abiti convenzionali, nel teatro classico francese gli antichi Romani vestivano gli abiti della corte di Versailles, e i personaggi si davano del voi, quando i Greci, i Romani, prima dei bizantini, che introdussero il voi, sempre e solo il tu. Oggi le scene si costruiscono, mancano le quinte e i fondali, e i costumi ormai raramente rispettano la coerenza storica della vicenda. Ecco, allora, che una regia come quella realizzata da Deborah Warner per Il giro di Vite di Britten rappresenta quasi, nella sua perfezione, il modello di che cosa sia e debba essere una regia moderna. Quando il pubblico entra in teatro il sipario è alzato e appare una scena completamente nera, un pianoforte alla destra, il fondale totalmente buio. Da una fessura del fondale esce un uomo, un faro di luce lo staglia sullo sfondo nero. Cammina, e avanza verso il proscenio. Racconta gli antefatti della vicenda: la storia è, dice, raccontata da una donna, l’istitutrice dei bambini, “It is a curious story. I have it written in faded ink – a woman’s hand, governess to two children – long ago”. Myfanwy Piper, la librettista affida queste parole al Prologo, Warner le affida a Quint, il fantasma, il lato oscuro, la perversione, la sepoltura dell’innocenza, ma non è una licenza, perché la vocalità, e il registro vocale, sono quelli di Quint, un tenore. Warner, smplicemente, in questo modo mette in evidenza l’ambiguità del personaggio, la possibilità che anch’egli sia una finzione, o una visione, dell’istitutrice. Come nel racconto di James, dove i due fantasmi, Quint e Jessel, non parlano, possono essere la proiezione delle ossessioni della donna. Britten li fa parlare, perché sulla scena un personaggio ha corpo, ha voce, è comunque un attore, non una visione, ma affida loro un linguaggio ambiguo, sfuggente, un cantilenare fiorito. Deborah Warner, che ha messo in scena questo Giro di vite, come prima, sempre al Teatro dell’Opera di Roma anche uno splendido Billy Budd nel 2018 e un accattivante Peter Grimes nel 2023, prende dunque sia James sia Britten alla lettera, e fin dall’inizio dello spettacolo fa apparire il fantasma in una luce tutta sua, fredda, spettrale, diversa dalla luce calda che avvolge gli altri personaggi, i vivi. Tutta la configurazione scenica si affida alla scatola nera del palcoscenico e al fondale, anch’esso nero, che di quando in quando si apre, a piccole o più vaste sezioni, per fare comparire dietro un giardino. Ma a poco a poco ci si accorge che gli attori si muovono, le luci cambiano a misura che cambiano le inflessioni del canto, la musica degli strumenti. Ora, tutta la struttura musicale dell’opera si affida a una serie di variazioni del tema che appare all’inizio, intonato dal pianoforte, ogni quadro è una nuova variazione. Warner fa la stessa cosa con la rappresentazione: ogni scena modifica qualcosa della scena precedete, si aprono sezioni del giardino, scompare e riappare il pianoforte, calano dall’alto lastre sonore (campane), per la scena della chiesa, tenute da lunghi fili che prima appaiono come un labirinto, e l’istitutrice sta appunto dicendo che si sente perduta in un labirinto. Eccolo, il teatro moderno, quello che non descrive un’azione realisticamente, non la illustra, ma riproduce, per analogia, ciò che l’azione suggerisce. La visione, così astratta, così allusiva, può apparire perfino più attraente della più fedele illustrazione delle didascalie di un libretto. Perché il teatro non lo fa la scenografia, non lo fanno i costumi precisi dell’epoca dell’azione, ma lo fa la recitazione degli attori, luci e costumi sono, per così dire, un’aggiunta, un’esemplificazione di ciò che dicono o fanno gli attori. Per il resto a configurare il quadro scenico sono sì i costumi, come in una messa in scena realistica, e i costumi di questo spettacolo sono una bellissima reinvenzione degli abiti vittoriani realizzata da Luca Costigliolo, ai quali aggiungono significato le luci di Jean Kalman che fasciano le figure degli attori in una sorta di bolla magica, una luce per i vivi e un’altra per i fantasmi, per i morti. Ma tutto ciò non è in realtà che la proiezione visiva di un’invenzione musicale, quella di Britten, che è tra i vertici del teatro del Novecento, di cui la recitazione, le luci e i costumi sono l’evidenza sonora e visiva. In altri termini ciò che si vede agire sulla scena è una partitura drammatica analogica, che rispecchia la partitura musicale. La direzione e concertazione è affidata a Ben Glassberg, che penetra con sensibile lucidità i meandri della costruzione sonora, attento alle minime sfumature, variazioni, di un andamento melodico, di un campo armonico, dei silenzi, delle sospensioni, dei rubati; di una trasparenza perfetta risulta, per esempio, la rievocazione mozartiana che Britten affida al pianoforte e che s’immagina suonata dal piccolo Miles, uno straordinario dodicenne Zandy Hull, così com’è perfetta la decenne Cecil Balmforth nella parte di Flora. Anche gli oggetti di scena hanno un senso. Hitchcock diceva che se in uno spettacolo o in un film a un certo punto compare una pistola in un altro punto la pistola deve sparare. E qui è una bambola che la bambina carezza e strapazza, e che in una scena successiva l’istitutrice le strappa irritata, ma che poi è costretta restituirle, vista la disperazione della bambina. L’altro da sé, la sottrazione dell’innocenza non poteva essere rappresentata più efficacemente. “The cerimony of innocence is drowned”. Annegata, la cerimonia dell’innocenza. Ma quale? di Quint? di Miles? dell’istitutrice? Esiste un’innocenza dei morti, o, piuttosto, del ricordo dei morti, di come li si rievoca dopo che sono morti? e quanto della nostra concupiscenza, dei nostri labirinti emotivi coinvolge il ricordarli? Inimitabile l’ambiguità, la seduzione, la precisione ed espressività canora, con cui Ian Bostridge dipinge la figura di Quint, la luce lo fa apparire ancora quasi un adolescente immacolato che concupisce un infante o è dall’infante concupito, la voce è suadente, insinuante, libidinosa, non c’è bisogno di denudarlo, Quint, come fece fare fa ad Aix-en-Provence Luc Bondy, per rendere manifesta la sua lubrica voglia di contatti, e Christine Rice è ugualmente efficace nella parte dell’altro fantasma, Jessel. più fragile, sconfitta quasi dalla propria irrealtà di ricordo, ma realtà inquinata di seduttrice. Emma Bell è la realtà quotidiana, piccolo borghese, perbenista, puritana della vecchia governante, raffigura con garbo il garbo insieme ingenuo e ipocrita di una benpensante piccola borghese vittoriana. Anna Prohaska, infine, indossa i panni dell’istitutrice ed è semplicemente, sì, semplicemente naturale, fluida, ineccepibile, straordinaria nel restituire, vocalmente e con una recitazione raffinata, il complesso intrico di sensazioni, pensieri, azioni che la travagliano, fino al tragico e disperatissimo finale: Quint la saluta con Farewell, lei mormora e ripete tra le labbra la canzoncina di Miles, “malo, malo“. Di Quint udiamo il prolungarsi e ripetersi della sillaba finale “well” (bene); dell’istitutrice, quel terribile e ambiguo “malo”. Chi è il bene e chi il male? Resta alla fine un senso di smarrimento, siamo tutti coinvolti, partecipi, complici, di questa svelamento di pulsioni nascoste. Non si salva nessuno, nessuna finzione può più nascondere la realtà irrappresentabile dei nostri abissi emotivi. Il miracolo di Britten – ma prima di lui, di Henry James – di rappresentarli. Di questa splendida messa in scena di averceli resi visibili.
IL GIRO DI VITE
Musica Benjamin Britten
Opera in un prologo, due atti e sedici scene, Op. 54
Libretto di Myfanwy Piper, dall’omonimo romanzo breve di Henry James
Direttore
Ben GlassbergRegia
Deborah Warner
Scene Justin Nardella
Costumi Luca Costigliolo
Luci Jean Kalman
Movimenti di scena Joanna O’Keeffe
PERSONAGGI INTERPRETI
The Prologue / Quint Ian Bostridge
Governess Anna Prohaska
Miles Zandy Hull
Flora Cecily Balmforth
Mrs Grose Emma Bell
Miss Jessel Christine Rice
Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma
Prima rappresentazione: 19 settembre 2025
Repliche: 23,25,27,28 settembre 2025.
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