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Scienze

Tra stati nervosi e orizzonti di speranza

di Luca Rossetti
2 Agosto 2019

“Stati nervosi. Come l’emotività ha conquistato il mondo” è un saggio del sociologo inglese William Davies fitto di tracce per leggere il passato (dal XVI secolo in poi), disvelare il presente oltre gli sciami dell’attualità e progettare azioni per il futuro.
Tutto questo tenendo conto di una complessità di piani da far tremare i polsi in un tempo dominato dalla rabbia e dalla frustrazione nel quale la netta separazione cartesiana tra “ragione” ed “emotività” non funziona più (A. Damasio, L’errore di Cartesio).
Questo libro analizza e scava in profondità (storia, economia, politica, statistica, comunicazione…), nella tracce degli “stati nervosi” del presente e propone chiavi di lettura e di azione a chi voglia risalire la china.
Ogni campo d’azione è sottoposto ad un’analisi che riconosce la genealogia e l’evoluzione dei concetti di Verità e Oggettività alimentate dalla volontà intenzionale di abbandonare “la paura della violenza” e alimentati dalla “passione per la conoscenza”.
Sono passate al setaccio tanto le dinamiche della comunicazione (“da uno a molti” a “da molti a molti”), quanto quelle del progressivo imporsi della “folla” nella politica (G. Le Bon), la genesi e il declinare delle scienze sociali.
Tracce che non sono affatto scontate come qualche recensione banale del volume farebbe pensare appiattendo il tutto alle trite e ritrite letture sul neoliberismo (vedi Alessandro Baricco).
Tracce che sono invece un insieme di richiami e spunti storici e filosofici che partono da 2 dicotomie di grande peso storico; 1) la guerra/conflitto e la pace/cooperazione da una parte e 2) il corpo e la mente dall’altro.
Le Istituzioni, le discipline applicate nel processo di civilizzazione dell’epoca dei Lumi hanno progressivamente visto affermarsi un ordine pensato per garantire, con il dominio della Ragione, la pace e la cooperazione “separando i corpi dalle menti” (Cartesio) rifuggendo la “guerra di tutti contro tutti” (Hobbes).
A corredo di tutto questo si è nei fatti imposto il disegno istituzionale della modernità che, secondo l’autore,  oggi deve subire un radicale rinnovamento per non passare dalla crisi alla consunzione.
Davies ritrova nel contrasto al ruolo dello Stato e delle scienze sociali, letture convergenti tre matrici liberiste e reazionarie oltre che legami tra “cattiva salute, innalzamento del tasso di mortalità e simpatie autoritarie”.
L’autore invita a “guardare con occhi nuovi istituzioni e tradizioni che abbiamo dato per scontate” in un’epoca nella quale “non c’è una normale diseguaglianza economica, ma una diseguaglianza esistenziale” percepita dentro e intorno le fratture tra centri urbani e rurali, élite (“giornalisti, esperti, funzionari”) e popolo.
I tempi attuali ci raccontano, con l’avvento dei nazionalismi e dei populismi (tanto di destra quanto di sinistra) che c’è un’energia nella sofferenza e nella sconfitta oltre l’interesse personale che scatena una rabbia latente nei confronti dei poteri stabiliti.
Davies ricorda tra l’altro che “c’è una cosa più importante della prosperità per il benessere delle persone che è l’autostima” in situazioni di crisi economica e sociale contraddistinte dal “crollo della propria comunità e del senso della vita”.
I nostri decenni della comunicazione telematica sono vissuti all’insegna di un richiamo tanto ad una maggior empatia quanto ad un maggior controllo.
Infatti per Davies “al posto della società Internet ci offre una selezione di giochi di guerra da fare per divertimento, amicizia, convenienza o per sfogare l’emotività. E’ preoccupante che tra i giochi oggi proposti sembri esserci la stessa democrazia, e che ad alcuni giocatori possano essere state vendute armi più potenti delle nostre”.
Dinamiche che sfociano in una richiesta di vicinanza sociale e psicologica vissuta attraverso la rete che ha, per sua natura fondativa, matrici istantaneità, conflitto e guerra. Dinamiche di disintermediazione che vedono l’imporsi dell’idea semplicistica di “risolvere i problemi subito senza preoccuparsi delle discussioni” comune tanto a matrici fasciste quanto ai giganti tecnologici della Silicon Valley.
L’autore rivolge un accorato appello a cogliere l’occasione per “ascoltare e capire il dolore e il risentimento in alternativa ad una contrapposizione tra più fatti da una parte e più bugie dall’altra”.
Davies invita ad abbandonare le rassicuranti e inefficaci sponde dell’argomentazione razionale ricca di fatti e cifre, riferimenti scientifici inoppugnabili facendo invece leva su una capacità di mobilitazione e coinvolgimento più empatica basata anche su “promesse semplici, realistiche e in grado di cambiare la vita delle persone”, “organizzando la politica intorno a bisogni ed esigenze di base” perché “politiche altamente complesse, sviluppate da esperti con modelli e meccanismi di applicazione sofisticati non possono soddisfare la richiesta attuale”.
Inoltre per l’autore “la lingua non deve più essere utilizzata come arma e tornare ad essere uno strumento per fare promesse, se la democrazia deve apparire ed essere meno guerresca in futuro. Ma questo sarà praticabile solo se l’urgenza della nostra situazione sociale, economica ed ambientale verrà presa sul serio e se i sentimenti che questa situazione suscita verranno riconosciuti”.
In “Stati nervosi” si prescrive l’utilità di mettersi in gioco su battaglie civili con la “non violenza” ossia “intervenire attivamente e fisicamente nella società per rendere pubblica la minaccia che subiscono corpi umani e non umani e per proteggerli”, l’affrontare problemi urgenti e risolvibili (di vita o di morte quanto di quotidianità), contrastare lo strapotere dei colossi telematici e delle loro logiche di controllo e profitto intrecciate con quelle dell’intelligence e delle strutture militari.
Davies fornisce una matrice importante di lavoro sui cambiamenti climatici in chiave di “mobilitazione bellica”.
Il richiamo più volte ribadito è quello che “limitarsi a ricreare un modello politico precedente, con tutti i conflitti che erano latenti al suo interno e che emergono un po’ alla volta, è destinato a fallire…meglio concepire un ordine nuovo piuttosto che aggrapparsi ad uno precedente”.
Buona lettura che mai come in questa occasione è un invito ad un viaggio profondo nella storia delle idee, del presente e delle appassionanti possibilità di coltivare futuro.

Filosofia politica populismi social media Storia
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