Storia

Paolo Spriano, lo storico inquieto

12 Giugno 2025

Paolo Spriano, Corrispondenze (1950-1988) il volume con cui la Fondazione Gramsci di Roma inaugura una collana di libri che non sono atti di seminari ma progetto di ricerca sul Novecento italiano ed europeo è un testo che obbliga il suo lettore a fare i conti con molte cose.

Nello specifico il volume è una raccolta dei carteggi dello storico comunista tra 1950 e 1988 (anno della sua morte) che comprende il ricco scambio con alcune figure essenziali della cultura e della politica in Italia: Valentino Gerratana, Norberto Bobbio, Italo Calvino, Alessandro Galante Garrone la casa editrice Einaudi (di cui Spriano era stato un dipendente)prima di essere un docente di Storia contemporanea, prima all’Università di Cagliari e poi a Roma.

È uno dei meriti di Gregorio Sorgonà, il curatore che con pazienza e acribia ci restituisce in apertura del libro una paziente ricostruzione del profilo intellettuale e culturale di uno storico inquieto, per niente «funzionario».

Primo dato. Paolo Spriano spesso identificato come lo storico ufficiale del Pcnon fu questo. Anzi. Errore. dal complesso di queste lettere emerge con chiarezza che Spriano non solo era uno storico con la sua testa, ma che il Pci non gli ha mai dato mandato di scrivere la storia del partito.

Secondo dato. Il corpo di queste lettre indica che al centro della ricerca di Spriano sta un’indagine sulle emozioni, insieme a una ricostruzione dei fatti. Ne è un esempio il profilo del lavoro sulla stagione dell’occupazione delle fabbriche nel 1920 che Spriano intende intitolare La grande paura (il volume poi non si intitolerà così, e sarà Gianni Bosio alla fine degli anni ’60 a pubblicare una storia del settembre 1920 proprio con quel titolo; il libro di Bosio sarà pubblicato nel 1970 da Samonà e Savelli).

Ma quelle emozioni, anche, non parlano solo dell’oggetto di indagine delle sue ricerche. In un qualche modo le emozioni sono anche un aspetto della scrittura e della riflessione storiografica di Spriano.

Scelgo una lettera che forse condensa più di altre questo dato. È un estratto di una lettera di Leo Valiani a Paolo Spriano della primavera 1978 (la data è molto importante come preciserò tra poco). Dunque la lettera, prima di tutto.

“tutto si può rimproverare a Bordiga (che dirigeva la frazione da cui uscì il Pci e poi diresse il Pci medesimo) tranne che di prendere ispirazione da Mosca. Le sue idee non cambiarono più perlomeno dal ’17, in realtà già dal ’14. Il problema storico aperto è proprio questo, perché all’estrema sinistra, in Italia, ma anche in altri paesi occidentali, prima di conoscere il pensiero di Lenin e prima della stessa rivoluzione bolscevica, si considerava come nemico n.1 la democrazia borghese e non la reazione? Ciò rimanda a Sorel, ma non a lui soltanto e, in ispecie, alla crisi del parlamentarismo, al suo discredito. È la manifestazione, a sinistra, dello stesso spirito di violenza che a destra conduce alla Prima guerra mondiale: ma da quali elementi scaturisce? Croce diceva dall’industrialismo, ma nelle potenze più industriali (Germania esclusa) era meno forte; Lenin dall’imperialismo, ma l’Italia oggi non è imperialistica e tuttavia conosce addirittura le Brigate rosse. Forse va rivalutato il primato della politica come creazione, difesa, crollo dello Stato. Quando una forma di Stato si disgrega, la violenza si sprigiona. Tutto sta nel ricostruire lo Stato e costruirne uno nuovo che, come notava Constant, sarà sicuramente più duro del precedente”. [p. 385]

Quella lettera di Valiani non è la più significativa. In questa raccolta ce ne sono molte (con Calvino, con Corrado Vivanti, Giulio Bollati), ma è quella che a me pare più significativamente simbolica.

Per vari motivi. Ne elenco tre:

  1. Leo Valiani, esponente del Partito d’azione, ancora non senatore a vita (verrà nominato nel 1979) è espressione culturale del Partito repubblicano;
  2. È stato per molti anni fino al 1939 esponente del Partito comunista. La sua uscita dal partito nell’autunno 1939 in seguito alla firma del patto Hitler-Stalin però non lo fa diventare anticomunista.
  3. Avverte con rigore la necessità di rifondare un patto costituente ma non c’è traccia nella sua riflessione politica e culturale di superare il conflitto destra-sinistra differenza di un’immagine che farà molta strada da allora. Quella idea di rifondazione politica anzi muove dalla necessità che destra e sinistra tornino a darsi un’identità in relazione al progetto di futuro che hanno non in relazione al passato che connota la loro storia.

Si direbbe, oggi, un pensiero «raro».

Ho scelto questa lettera tra le moltissime per un dato che non emerge dal contenuto, ma è strettamente legato alla circostanza (e che forse credo obbliga a mettere a terra in forma lapidaria un contenuto).

La lettera porta la data del 9 maggio 1978. Non so se questa lettera sia stata scritta prima del ritrovamento in via Caetani a Roma del corpo senza vita di Aldo Moro o sia successiva o abbia, anche per questo, il carattere di una riflessione sul «nuovo tempo» che si apre dopo ilritrovamento del corpo.

Questa lettera – forse con quelle che Spriano scambio con Bobbio, con Galante Garrone e con Calvino, ma anche per certi aspetti con le inquietudini che prova a far emergere nello scambio con Valentino Gerratana, certamente il carteggio più militante di tutti – allude anche a un profilo che testimonia di un lungo filo inquieto che ha origine nella militanza azionista di Spriano nel tempo della Resistenza, poi nel suo lavoro filologico per la costruzione editoriale delle Opere complete di Gobetti di cui sarà curatore per Einaudi (sia del volume degli Scritti politici che degli Scritti storici, letterari e filosofici) poi nel tentare di connettere Gramsci e Gobetti.

Poi con gli anni’70 si apre una nuova stagione quando, scrive Sorgonà, Spriano “tenderà a eleggere a sue figure di riferimento intellettuali protagonisti dell’azionismo come Alessandro Galante Garrone e Leo Valiani, e questo atteggiamento si intensificherà di fronte alla crisi del comunismo italiano, come testimonia il suo carteggio con Norberto Bobbio”.

La riflessione con Bobbio non casualmente prenderà le mosse dalle pagine finali del suo Profilo ideologico del Novecento italiano  dove il tema è la crisi post 1968 e riguarda non solo la crisi della democrazia, ma anche la crisi della sinistra, le contraddizioni dell’esperienza comunista, la necessità di dare forma, nuovi statiti culturali, politici, linguisti, concettuali di una cultura della sinistra in grado di rispondere alle sfide che si stanno aprendo e che Spriano ripercorre a metà degli anni ’80 nel suo Le passioni di un decennio, (il decennio è quello tra fine della Seconda guerra mondiale e 1956).

Il 1956 un anno, dove molte crisi erano cominciate, per esempio la fuoriuscita di Calvino dal Pci. Riflessione che non a caso Spriano la apre proprio all’indomani della morte di Calvino (19 settembre 1985).

Quella morte in un qualche modo segnala un’urgenza, ma anche la necessità di non perdere le testimonianze, le tracce e soprattutto le inquietudini delle voci che stanno scomparendo.

Non so se in quella apertura ci fosse anche la percezione della propria fragilità. (La vicenda terrena di Spriano si chiude nel settembre 1988) ma certo c’era la percezione che quel conto col passato potesse avvenire semplicemente dismettendosi e non affrontandolo. Come poi, in effetti, è avvenuto. Con molte lacrime, e poca riflessione.

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