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Storia

Se ci fosse stato lui! Nel giorno della morte di Peppino Impastato

di Oscar Nicodemo
9 Maggio 2021

Il 9 maggio del 1978, moriva Peppino Impastato. Aveva trent’anni. Fu ucciso dalla mafia, che osava combattere e sfidare con le sole armi della sua nitida intelligenza: la poesia, la semplicità, l’ironia. Se fosse sopravvissuto alla volontà assassina della corruzione e fosse stato adeguatamente sostenuto e tutelato, ci saremmo ritrovati, nel corso del tempo, un uomo maturo, una mente fervida e sana, un animo nobile a cui consegnare la nostra fiducia e rivolgere la giusta attenzione per contrastare questo tempo così minimo, volgare e pieno di tanti zeri, dove chi mette in bella mostra la propria faccia tosta ha diritto a un premio e a una carriera. Già, perché questo tempo è anche una conseguenza diretta di quella subcultura imperante di cui Peppino aveva intuito tutto il male e l’inutilità. Se ci fosse stato lui, oggi, avrebbe saputo cosa dire e scrivere sul momento tanto complesso e delicato che attraversiamo, sui tanti che fanno solo confusione e baldoria, sugli impostori di ogni sorta, dai vanesi della comunicazione agli infingardi della letteratura.  Sì, ci vorrebbe lui, oggi. Avremmo avuto bisogno della sua chiarezza e della sua audacia, della sua trasparenza e del suo ingegno e di ogni cosa che solo una coscienza superiore e dignitosa può perseguire per intraprendere una battaglia di civiltà.

Se c’è una cosa che non sfugge a tutti noi, è lo sguardo dell’eroe, fiero ma tenero, lucido di speranza e velato appena di tristezza, talvolta proiettato oltre l’azione del presente per contemplare da lontano l’importanza del coraggio, la transitabilità del pensiero, la delicatezza della bellezza, quella vera, autentica, che riflette bagliore e ci accoglie radiosa solo se saputa contemplare adeguatamente. L’eroe è una persona che si assume le responsabilità degli indifferenti, traendone magicamente una forza che prima era codardia, inettitudine all’impegno. Ogni persona che lotta contro un sistema perverso di corruzione sa, in cuor suo, di poterlo fare in virtù di un talento, di un atteggiamento mentale aperto al mondo, di una coscienza superiore messa al servizio degli umili. E, Peppino è stato un eroe in piena regola, in carne e ossa, di anima e corpo. Peppino esercitava un’arte che liberava una forza pari a quella di Anteo: l’onnipotenza della mafia e l’arroganza dei burocrati, a questa asserviti, ne venivano sistematicamente ridimensionate.

Peppino non aveva potenti gruppi editoriali alle spalle, non ha scritto un’apologia velata della criminalità. Non aveva una scorta, non si arricchiva votandosi a vittima di un potere delinquenziale. Peppino non faceva marchette, o marketing che dir si voglia, della sua missione. No, non era un brand. Era, soprattutto, un vero bersaglio dei malavitosi, anche se non si sentiva minacciato nemmeno quando il pericolo lambiva tangibilmente la sua incustodita e vulnerabile esistenza. Chi doveva proteggerlo, non lo ha fatto. Gli eroi come lui muoiono lasciando molto più di un ricordo, o di un esempio da prendere a modello. E, agli uomini del suo stampo non si addice la liturgia di rituali celebrativi post mortem. Peppino Impastato è entrato di diritto nella memoria collettiva di un popolo poiché ne ha preso in qualche modo le sembianze, offrendo i suoi occhi a chi non sapeva e non poteva vedere oltre. Con quegli occhi, solo con quegli occhi, noi oggi possiamo guardare alla verità e perseguirla con l’intensità e la naturalezza di uno sguardo senza paure, che sapeva essere leggero e giocoso, colmo di vita.

giornalismo mafia
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