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Geopolitica

Sud Tirolo, la storia di un maledetto confine

di Pasquale Hamel
20 Dicembre 2017

Il  Sudtirolo torna, grazie alle improvvide dichiarazioni rivendicazionistichee del presidente  austriaco Kurz, a far notizia. La storia dei rapporti non sempre sereni fra Italia e Austria in merito a quella terra di confine, inizia nel lontano settembre 1919, a Saint Germain- en-Laye in Francia dove si firmano i trattati di pace che concludono della prima guerra mondiale. A Saint Germain, fu clamorosamente smentito uno dei famosi 14 punti che Woodrow Wilson, il presidente degli Stati Uniti, era riuscito a fare accettare agli Alleati il cosiddetto principio delle nazionalità. In nome di quel principio, il confine si sarebbe dunque dovuto fissare all’incirca su quello che oggi divide la provincia di Trento da quella di Bolzano. Ma così non fu il confine venne portato al Brennero. Da quell’atto inizia una storia tragica, fatta di sopraffazioni, di tentativi, più o meno fortunati, di acculturazione forzata con l’obiettivo abbastanza palese dei nuovi padroni di estirpare l’identità originaria. Si perché questa è stata la storia di  quasi cent’anni trascorsi dalla firma del trattato di “pace”che, ironia della sorte, proprio qui, in queste valli dove aveva fino ad allora regnato la pace, dove le comunità erano convissute in armonia, la pace aveva generato “odio”. Infatti, a partire dal ’22, quando ancora non era stata avvenuta la marcia su Roma, in quella terra abitata da “alloglotti”, una delle tante invenzioni semantiche del tempo, inizia infatti il primo atto di un’italianizzazione forzata che durerà diciassette anni. Vennero infatti soppressi i giornali di lingua tedesca, venne vietato l’insegnamento scolastico del tedesco, venne mutata la toponomastica sostituendo i nomi originali con varianti italiane o italianizzate alcune delle quali rasentavano il ridicolo, vennero estromessi dagli uffici pubblici i dipendenti di lingua tedesca sostituiti con italiani, e soprattutto con incentivi e promesse, venne favorita una immigrazione italiana con l’obiettivo evidente di ribaltare i numeri, cioè di rendere maggioranza quella che era stata fino ad allora una esigua minoranza  questo processo ebbe negli anni dal ’35 al ’39 un’ulteriore accelerazione, con la industrializzazione dell’area attorno a Bolzano. Un programma piuttosto che teso non tanto a creare occasioni di sviluppo ma mirato ad attirare nuova immigrazione italiana. E mentre questo avveniva si realizzava il  trionfo del simbolismo fascista, con grandi ( e brutte) opere a cominciare dal grande monumento alla Vittoria eretto a Bolzano su progetto del geniale architetto Piacentini. La soluzione finale del problema tirolese rinvia all’accordo di Berlino del 22 giugno 1939, col quale si consentiva ai sudtirolesi di “optare fino al 31 dicembre 1939 per la cittadinanza germanica – nel ’38 con l’Anschluss l’Austria era stata forzatamente annessa al Reich tedesco – con l’obbligo di espatrio  o del mantenimento della cittadinanza italiana salvo rinuncia a qualsiasi tutela dei caratteri etnici. Fu così che ben 75.000 sudtirolesi espatriarono in Germania mentre 170.000 circa pur avendo optato per la cittadinanza germanica, a causa di una serie di problemi connessi anche all’evoluzione politica internazionale, remorarono la partenza restando come ospiti provvisori del territorio che li aveva visti nascere e a cui appartenevano da generazioni. Un dramma divenuto ancor più doloroso quando, dopo l’armistizio fra Italia e Alleati del ’43, le truppe tedesche invasero il Sudtirolo e lo annetterono alla Germania per farne provincia del Reich. Infatti quei cittadini tirolesi, che avevano optato per la nazionalità tedesca vennero arruolati, ma molti lo fecero per propria scelta, nelle forze della Wehrmacht e, in qualche caso, fra le SS naziste. L’occupazione alleata e la fine della guerra, anche a causa degli equilibri geopolitici che videro i paesi occidentali contrapporsi all’impero sovietico, non portarono grandi novità. Quel confine, che tanti danni aveva già fatto, non venne messo in discussione, infatti in base al Trattato di Parigi quelle terre restarono assegnate allo Stato italiano che si sarebbe dato un regime repubblicano con un presidente del consiglio, Alcide De Gasperi, che in quelle valli era nato. De Gasperi, particolarmente sensibile al problema e l’austriaco Karl Gruber trovarono un accordo in forza del quale veniva concessa l’autonomia al Sudtirolo/Alto Adige, con il mantenimento da parte dei sudtirolesi della loro lingua e della loro cultura. Ma quell’Autonomia, che inseriva l’area sudtirolese in un’entità politica a maggioranza italiana (la provincia di Trento costituiva l’altra parte della Regione e la stessa Trento ne veniva indicata come capoluogo) non riuscì a rimettere ordine e riparare i torti fatti e per questo motivo venne considerata insufficiente dai sudtirolesi. Non è un caso il fatto che si continuassero a favorire interventi per sostenere la immigrazione di italiani nella regione e, seppure l’insegnamento della lingua tedesca fosse stato ripreso nelle scuole, seppure i giornali in lingua tedesca fossero tornati a essere pubblicati, negli uffici pubblici si continuava a parlare italiano e l’atteggiamento della gran parte dei burocrati italiani mostrava ostilità nei confronti dei cittadini di lingua tedesca. Questo clima, considerato che ormai era lontano il tempo delle dittature e che nuove sensibilità si era sovrapposte alle precedenti, non poteva più essere accettato tanto che gli antichi rancori si riaccesero. Clamorosi i attentati cominciarono a segnare il territorio altoatesino a partire dalla metà degli anni cinquanta con un clou nella cosiddetta “notte dei fuochi” nel giugno del 1961 quando decine di cariche di tritolo esplosero contro edifici pubblici, ponti, tralicci. Quelle bombe, e il clima di paura che ne derivò, ebbero un effetto politico forte, fecero infatti uscire dall’ambito locale la questione tirolese elevandola a problema internazionale. Di quel maledetto “confine” tracciato da accordi internazionali con certa superficialità, se ne tornava ora a discutere perfino alle Nazioni Unite e non per ridisegnarlo secondo criteri forse più razionali ma per risolvere in modo equo l’intera questione tenendo conto delle identità e dei conseguenti diritti. Per fortuna, in quest’Europa che, alla faccia dei tanti detrattori, ha avuto il merito di regalarci il più lungo periodo di pace da oltre un millennio a questa parte guerre, la ragione è sempre prevalsa e tutto va a merito, il giudizio non è mio ma di Sebastiano Vassalli che sul tema ha scritto un bel libro, di Giulio Andreotti e di Sandro Pertini. Fu infatti adottato un nuovo statuto di autonomia del Sudtirolo disegnato per rispettare i diritti e le identità delle tre comunità – tedesca, italiana e ladina – presenti nell’area. Una soluzione che, fra l’altro, assegnava rappresentanze e posti pubblici in rapporto alle percentuali di presenza di ciascuna comunità. “Gabbie etniche” le avrebbe definite un intellettuale del livello di Alexander Langer, quindi ancora recinti, confini nei confini, per spazzare via, l’odio, quell’orrendo convitato di pietra che una scelta sbagliata di cento anni fa aveva lasciato in eredità ad una terra che evoca nel cuore del visitatore tutt’altro che visioni violente.

 

 

Austria fascismo Prima Guerra Mondiale
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