Disuguaglianza. Dialogo tra uno straniero di Treviri e John Vertrag

30 Ottobre 2018

Straniero di Treviri – Ti pare giusto che alcune persone nascano ricche o molto ricche e altre povere o molto povere? Il problema della filosofia politica è tutto qui.

John Vertrag – La tua domanda potrebbe riguardare individui avvantaggiati e svantaggiati all’interno di una società, ma il problema si dovrebbe piuttosto porre a livello globale. Esso richiede un confronto tra differenti società.

Straniero di Treviri – Il mondo del capitalismo e della finanza è un mondo alla rovescia, pieno di disugualianze e ingiustizie, sia all’interno di una società che nel confronto tra diverse società, comunità o paesi. Qui a Francoforte sul Meno, dove vivo da quando mi sono reincarnato, ci sono bambini che nascono in abitazioni confortevoli e agiate, in ville su più piani, i figli dei dipendenti della Banca Centrale Europea, ma altrove essi sono in fuga dalla miseria, quando ci riescono, ovviamente, e attraversano il deserto, i controlli polizieschi, la schiavitù e la detenzione. E, se sopravvivono al mare, cercano di arrivare in Europa, spinti dal bisogno e dalla paura della morte violenta o per fame, alla ricerca dei diritti, del benessere. Ti sembra giusto, chiedo, che chi nasce svantaggiato abbia un’elevata probabilità di restarlo e che, viceversa, chi nasce avvantaggiato abbia al contrario un’elevata probabilità di esserlo ancora di più?

John Vertrag – La tua è una domanda elementare. Ti poni il problema della giustizia perché sei colpito sgradevolmente dal fatto che la sorte di nascere in un certo ambiente, essendo di un certo sesso, credendo in una certa divinità possa determinare le vite future, per lo più senza nessuna possibilità di cambiare il proprio destino, raramente, invece, con qualche possibilità, a prezzo di enormi rischi e fatiche.

Straniero di Treviri – Questa domanda è allo stesso tempo il problema del valore e del disvalore della vita di una persona. Perché la vita di qualcuno deve valere di più solo per il fatto della sua nascita? Bisogna essere in grado di rispondere, o di riformulare la domanda attraverso un criterio di giudizio.

John Vertrag – Eppure potremmo anche solo pensare che si tratta di un fatto. C’è chi nasce fortunato e chi sfortunato. Come sosteneva Epitteto, ci sono cose che non dipendono da noi, e dobbiamo tralasciarle, se non vogliamo soffrire inutilmente, in quanto non potremmo cambiarle. Sarebbe come non essere d’accordo con la legge di gravità. O la pensi diversamente?

Straniero di Treviri – Ma gli stoici non rifiutavano l’azione. È bensì vero che accettavano ciò che non dipendeva da loro, tuttavia si impegnavano ad agire per cambiarlo (se lo ritenevano un loro dovere), pur senza legarsi all’esito delle loro azioni. Sapevano che i fini avrebbero potuto non realizzarsi e che, legandosi a essi (desiderando che si realizzasse ciò che ritenevano un bene, o l’utile proprio e della società), avrebbero sofferto qualora non si fossero realizzati (o, in altri termini, qualora si fossero realizzate le circostanze che detestavano). Del resto lo sai bene, come la penso. La disuguaglianza è un fatto, ma dipende da relazioni di potere (economico) basate sull’ingiustizia. E anche tu la vedi così. Si tratta di trovare la giustificazione per rettificarle o cancellarle, ribaltando l’intera società.

John Vertrag – Salvo il fatto che il ribaltamento dell’intera società, se condotto violentemente e da incompetenti (qualsiasi allusione a eventuali governi attualmente in carica è meramente casuale, non si sa mai, con i tempi che corrono), rischia di rendere tutti uguali, certo, ma nella miseria. Il problema non è il fine, ma i mezzi. Ti chiedo allora, se concordiamo sul fatto che le disuguaglianze sono sbagliate e inaccettabili, e che non sono colpa degli individui che ne soffrono, in quanto non dipendono dalle loro scelte volontarie, se le istituzioni di governo, se le autorità possano, e se debbano, fare qualcosa, anche collettivamente, per ridurre o eliminare le disuguaglianze che non dipendono da chi ne è vittima.

Straniero di Treviri – E se invece dipendessero da loro? In quanto scelta individuale tu non la discuteresti, probabilmente, ma certo il discorso non lo faresti valere nel caso in cui la scelta dipendesse dalla scelta deliberata di altri individui.

John Vertrag – In effetti. Pensa alla discriminazione religiosa, o razziale, o sessuale.

Straniero di Treviri – Le ho sempre considerate discriminazioni di facciata, in quanto la base delle disuguaglianze è materiale, cioè economica.

John Vertrag – Ma forse sui rapporti tra struttura, la base economica, e sovrastruttura (le idee, la cultura, le leggi ecc.) hai cambiato idea, visto che la disuguaglianza permane anche in condizioni di uguaglianza economica.

Straniero di Treviri – Per la verità questa è una questione di scuola. Io non sono così rigido. Cerchiamo di non perdere di vista il punto centrale della discussione: sono le istituzioni a essere intrinsecamente ingiuste. La conseguenza, la discriminazione, non è altro che l’applicazione della regola. Per te, comunque, e anche per me, queste disuguaglianze sono inaccettabili. Quali risposte abbiamo?

John Vertrag – Sostanzialmente due. Ecco la prima. L’equità richiede che le opportunità siano uguali per chiunque. Le istituzioni devono conseguentemente impegnarsi per rimuovere le barriere e gli ostacoli che discriminano e a promuovere e far rispettare l’uguaglianza di opportunità.

Straniero di Treviri – Questa risposta è tipica del liberalismo. Non basta. Ecco la seconda. Le istituzioni devono intraprendere politiche di discriminazione alla rovescia, o affirmative action, come si dice da voi. Se la storia (l’economia) ha scritto sulla lavagna le ingiustizie, dobbiamo usare il cancellino per eliminarle e riscrivere una nuova società.

John Vertrag – Però la risposta diventa difficile se cambiamo punto di vista. Da un lato abbiamo disuguaglianze che derivano da discriminazione deliberata, da politiche che possono essere cancellate (più o meno facilmente); dall’altro, invece, circostanze che si producono da sé, nel corso degli eventi, senza essere imputabili a scelte inique. Ricorrerò a un mito: immagina che in una società si sia realizzata l’uguaglianza generalizzata delle pari opportunità e che sia stata rimossa qualsiasi discriminazione. Ciò nonostante, l’eguale opportunità genera risultati ineguali, sulla base delle doti e dei talenti naturali. Chi partirà in testa, nella nostra società ideale, finirà probabilmente con benefici maggiori di chi possiede gli stessi talenti. E questo non lo potremo forse cambiare. D’altro lato, il problema è anche che in un sistema competitivo le differenze nei talenti naturali tenderanno a creare differenze e disuguaglianze, anche molto rilevanti, al punto di arrivo.

Straniero di Treviri – Nelle giuste condizioni, chi ha certi talenti piuttosto che altri tenderà darwinianamente a imporsi, ma è giusto che la società riequilibri il risultato, specialmente se la vittoria o la sconfitta sono indipendenti dalla responsabilità degli attori. Da un certo punto di vista le diseguaglianze possono essere generate da scelte e azioni che non sembrano di per sé sbagliate: tutti cercano di crescere bene i loro figli, di dare loro migliori opportunità di educazione, e c’è chi ha più tempo, o più soldi di altri, per farlo. Cosa c’è di male, in fondo, se un’impresa o un’organizzazione cercano di avere i più bravi e sono disposte a pagarli di più? Eppure, come nel caso della discriminazione diretta, anche qui il risultato complessivo è che molti, nei paesi ricchi, e troppi, nei paesi poveri, si trovano in una situazione di svantaggio che non dipende da loro, vittime senza colpa.

TAG: affirmative action, eguaglianza di opportunità, Karl Marx e John Rawls
CAT: diritti umani, Filosofia

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