Zolotova, giornalista bielorussa ora in carcere: “Ci arrestano quando vogliono”

8 Giugno 2021

“Sappiamo tutti che se il regime vuole arrestare un giornalista, un motivo lo troverà sempre. In Bielorussia non c’è più una legge. Ma io e i miei colleghi, ormai, abbiamo fatto la nostra scelta”. Le parole di Maryna Zolotova, scritte il 15 febbraio scorso in un’intervista che pubblichiamo per la prima volta oggi, suonano come una oscura profezia. Perché Maryna, il 18 maggio scorso, è stata arrestata. Detenuta nel centro di Volodarskogo, oggi rischia fino a sette anni di carcere per una presunta frode fiscale. Alla frode credono in pochi: Maryna Zolotova è infatti la direttrice di Tut.by, il più popolare sito di informazione bielorusso con circa 3 milioni di utenti unici al mese. Una cifra enorme in un Paese in cui vivono meno di dieci milioni di persone.

Con il suo arresto, che ha coinvolto altri 14 tra giornalisti e staff della testata giornalistica, si è chiusa (almeno per ora) l’esperienza di Tut, che è andato ad aggiungersi alla lunga lista di pagine web di informazione libera oscurati dalle autorità. Maryna pensava che fosse una realtà troppo grande per essere imbavagliata dall’oggi al domani. Ma i fatti hanno dimostrato che sbagliava. Oggi Tut resiste sui canali social (Facebook), Instagram e Telegram. Dall’estate del 2020, quella delle elezioni contestate, i giornalisti di Tut hanno continuato a fare il proprio mestiere: documentare le proteste di piazza, denunciare gli arresti arbitrari, i pestaggi contro donne e uomini inermi a opera di uomini incappucciati, a seguire i processi farsa contro gli oppositori, a riportare i goffi tentativi di rimuovere vessilli bianchi rossi e bianchi da balconi, alberi e strade. Sono i colori della Repubblica Popolare Bielorussa nata alla fine della Prima guerra mondiale e inghiottita dall’Unione Sovietica pochi mesi più tardi, oggi il simbolo della protesta anti Lukashenko.

Per dare un’idea delle condizioni in cui si fa informazione in Bielorussia, nel solo 2020 sono stati arrestati 477 giornalisti per un totale di oltre 1200 giorni di carcere, almeno 62 sono stati picchiati. Cinquanta siti di notizie sono stati silenziati, quattro quotidiani hanno dovuto sospendere le pubblicazioni e le sanzioni hanno superato i 20.000 euro. I dati sono dell’Associazione dei giornalisti bielorussi (Baj), i cui uffici sono stati perquisiti e chiusi proprio poche ore dopo il nostro colloquio con Maryna Zolotova.

Questo è quello che ci ha detto Maryna a febbraio 2021, quando era ancora una donna libera.

Ci parli del sito che dirigi? Sappiamo che è il più visitato in Bielorussia.
Siamo un vero e proprio mass media. Ci occupiamo di tutto: politica, economia, temi sociali, sport, intrattenimento. Tuttavia dall’estate 2020 ci siamo concentrati sugli eventi che sono seguiti alle elezioni: le proteste, le repressioni. Ci finanziamo soprattutto con la pubblicità online, non avendo alcun finanziamento dallo Stato.

Molti media bielorussi sono stati oscurati dal regime. Perché secondo te questo non è ancora avvenuto a Tut.by?
Non ho una risposta. Posso solo supporre che bloccare Tut.by causerebbe un grosso scandalo e forse anche delle proteste perché siamo molto popolari. Comunque le autorità usano molti altri strumenti per esercitare pressione su di noi. Dal maggio 2020 a oggi, 18 nostri giornalisti sono stati detenuti per un totale di 39 volte. Due sono stati picchiati. Tutto questo perché hanno fatto il loro lavoro, seguendo quel che avveniva nelle nostre città. Durante il picco delle proteste, tra il 9 e l’11 agosto, il governo ha totalmente oscurato internet. In quei giorni abbiamo dovuto ricordarci di com’era, il nostro lavoro, prima che arrivasse il web.

Quali pretesti vengono utilizzati per arrestare i giornalisti?
Fino agli inizi di settembre 2020 erano solo dei fermi “solo per controllare i documenti”. Con questo metodo, il 27 agosto, circa trenta giornalisti di diversi media sono rimasti fino a cinque ore nella stazione di Polizia di Minsk. Gli stavano “controllando i documenti”, appunto. Poi, hanno cominciato ad arrestare e a condannare per pochi giorni. Le accuse? Aver partecipato alle proteste, anche se, di fatto, non stavano prendendo parte alle manifestazioni ma erano lì per fare la cronaca. È molto diverso. Ma ci sono anche altri pretesti: due reporter di Belsat Tv si sono presi 10 e 15 giorni di carcere per “vandalismo” (anche loro stavano coprendo una manifestazione ndr). Adesso la repressione è all’apice. I giornalisti vengono incriminati per reati più gravi e rischiano condanne più lunghe.

Come avvengono i processi in questi casi?
I giudici prendono le loro decisioni basandosi sulle deposizioni dei testimoni. Il problema è questi “testimoni” sono spesso ufficiali delle forze dell’ordine, le cui deposizioni sono rilasciate a distanza, in video, e a volto coperto. Sembra un racconto di fantasia, vero? Eppure l’ho visto con i miei occhi partecipando al processo per Aleksei Sudnikov (uno dei tanti giornalisti incarcerati durante le proteste di agosto 2020 ndr).

È ancora possibile, in Bielorussia, accedere a un’informazione che non sia propaganda di regime?
Negli ultimi mesi molti siti sono stati oscurati, persino uno di sport (Tribuna.by) che pubblicava notizie scomode. Dal 2 ottobre 2020 nessun giornalista straniero può lavorare in Bielorussia, perlomeno non legalmente visto che sono stati ritirati tutti gli accrediti e non ne vengono più concessi. Noi stessi siamo stati privati dello status di testata giornalistica. Molti colleghi bielorussi hanno lasciato il Paese. Però, nel 2021, è impossibile fermare la diffusione delle notizie. Ad esempio su Telegram, il canale più popolare di tutto il Paese, con oltre un milione e mezzo di follower, è stato dichiarato “estremista” (il riferimento è al canale Nexta, il cui fondatore Roman Protasevich è stato arrestato mentre era a bordo di un volo diretto a Vilnius il 23 maggio scorso, un’operazione che ha portato l’Unione europea a chiudere il proprio spazio aereo ai voli bielorussi ndr). Nel nostro Paese Telegram non è usato solo dai giovani. II regime ha bloccato la versione web, ma la app non può essere bloccata! Bisogna anche dire, però, che le informazioni che circolano su Telegram non sono facili da verificare. La sostanza però non cambia: nonostante la repressione, l’informazione è a portata di tutti. Basta voler scoprire la realtà per quello che è.

I media europei continuano a parlare della Bielorussia. Ma, non avendo giornalisti sul posto, secondo te c’è qualcosa che sta sfuggendo in questa narrazione? Qualcosa di non detto?
Sì. La repressione che è seguita alle elezioni del 9 agosto – che non sono state corrette né trasparenti – non ha fermato il dissenso, che continua a manifestarsi nonostante tutto. Dovete capire che Lukashenko non sta facendo la guerra ai suoi oppositori. Sta lottando contro il popolo bielorusso. Dalle elezioni a oggi sono state arrestate 33mila persone. Di queste, 256 sono considerati prigionieri politici. Oggi puoi andare in carcere per due settimane se esponi una bandiera bianca rossa e bianca, oppure se hai i pantaloni di quei colori, o se prendi un tè e ascolti un po’ di musica nel giardino di casa tua insieme a degli amici. Questi sono fatti realmente accaduti. Alla luce di tutto questo, per favore, continuate a parlare della Bielorussia. Non lasciate che un Paese al centro dell’Europa venga trasformato in un campo di concentramento.

Lukashenko non ha intenzione di lasciare il potere né di fare alcuna concessione. Nel frattempo la pressione internazionale aumenta. Come pensi che potrebbe evolvere la situazione?
Indietro non si torna. La gente è arrabbiata e questo livore aumenta ogni giorno. L’unico fattore che gioca a favore di Lukashenko sono le forze di sicurezza, che sono dalla sua parte. Non ha più il supporto popolare che aveva vent’anni fa. Secondo i sondaggi ufficiali, ai quali non crede nessuno, ha l’approvazione del 66,5% dei bielorussi. Secondo altri sondaggi, non ufficiali, siamo intorno al 27%. Siamo alla fine del regime di Lukashenko, di questo sono certa. Però è impossibile sapere quanto durerà questa agonia. Dipende da vari fattori: soprattutto la situazione dell’economia e il supporto di Putin.

TAG:
CAT: diritti umani, Geopolitica

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