Nord Irlanda, la cura delle ferite del passato e la memoria del Bloody Sunday

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31 Gennaio 2017

Sono giorni molto particolari in Nord Irlanda questi. Le dimissioni di Martin Mc Guinness, storico leader dello Sinn Féin dalla guida condivisa del Parlamento di Stormont, hanno aperto una crisi politica che porta a nuove elezioni a Marzo. E se la decisione della Corte suprema di fare passare la Brexit dal voto del Parlamento britannico non porterà a una coincidenza di tempi con il processo di uscita dall’Unione europea, di certo queste elezioni sono un cuneo importante nei tavoli che Theresa May ha detto di voler aprire con Galles, Scozia e, appunto, Nord Irlanda.

Nello stesso tempo il Partito di Mc Guinness ha nominato come suo successore l’attuale ministro della Salute Michelle O’Neill. E non sarebbe corretto dire che non sia stata in un certo senso una sorpresa. Quarant’anni, O’Neill è il primo politico alla guida dello Sinn Féin che non abbia preso parte ai Troubles. In una delle sue  dichiarazioni ha detto di avere un compito: “curare le ferite del passato”.

Non sono questi tempi di ritorno di scontri in una terra martoriata 45 anni fa dalla violenza settaria. E i muri che ancora sono presenti a West Belfast, con i cancelli che si aprono e si chiudono ogni sera tra la parte cattolica e quella protestante del quartiere, sono certo una misura di contenimento di una convivenza che ancora non è pace piena. Ma non possono essere l’immagine di  una società che sta cambiando. Una società in cui i protestanti sono scesi al 50% e l’immigrazione, anche dal nostro Paese, è un tratto distintivo dal cambiamento.

La reale preoccupazione di Mc Guinness nei mesi scorsi è stata quella che hanno moltissimi cittadini che vivono al confine tra le sei contee rimaste in mano alla Gran Bretagna e la Repubblica, il resto dell’isola: che il border, appunto, il confine non sia “duro”. Che la possibilità di prendere il doppio passaporto – britannico e dell’Eire – non sia riservata come gli accordi del Venerdì Santo prevedono solo ai cittadini del Nord Irlanda ma almeno a quegli irlandesi che a Nord lavorano. La paura del confine non è solo una paura che si porta dietro i fantasmi del passato. E un reale timore che una fragile economia di un piccolo quanto anomalo Paese possa subire un ulteriore contraccolpo. Quando Gerry Adams lo scorso 21 gennaio a Dublino ha parlato di una “United Ireland” ed ha agitato lo spettro dell’uscita dagli accordi del Venerdì Santo non stava chiedendo altro che questo: che la Brexit possa tenere in considerazione l’estrema complessità dell’Irlanda di oggi. Ieri, durante la visita al Parlamento Irlandese, la May ha rassicurato il primo ministro Enda Kenny: “ci sarà un confine senza frizioni”. Kenny ha chiesto che i movimenti a livello commerciale possano essere liberi.

La premier britannica si è recata a Dublino proprio nello stesso giorno in cui a Derry veniva celebrata la memoria del Bloody Sunday, che, 45 anni fa, con i 14 morti inermi per mano dei paramilitari inglesi diede inizio agli anni della guerra civile, originata da una violenza settaria contro la comunità cattolica, che doveva rimanere povera e reclusa in quartieri ghetto, come era allora appunto il Bogside.

C’é da augurarsi dunque che questa stagione politica piena di incertezze possa trarre lezione dal passato perché nulla di simile accada ancora: rivedere quelle immagini di repertorio oggi suscita ancora profonda commozione. La fierezza e la mitezza del popolo di Derry, a cominciare dai familiari delle vittime,  ha da insegnare qualcosa ad ognuno di noi, per la determinazione con cui hanno portato avanti la richiesta di verità, fino alle scuse pronunciate in Parlamento da David Cameron nel 2010.

C’é da augurarselo oggi più che mai che un altro genere di settarismi, ma non dissimili nelle divisioni che rischiano di creare, si affacciano al nostro orizzonte.

 

TAG: nord irlanda, sinn féin, Theresa may
CAT: diritti umani, Politiche comunitarie

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