Agenda 2030, quando l’obiettivo è agire per un mondo sostenibilmente umano

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23 Novembre 2020

How can I save my little boy from Oppenheimer’s deadly toy?

There is no monopoly on common sense

On either side of political fence

We share the same biology, regardless of ideology-

There’s no such thing as a winnable war

It’s a lie we don’t believe anymore” 

 

A partire da quest’anno scolastico l’insegnamento dell’educazione civica sarà obbligatorio. Lo sviluppo sostenibile, secondo pilastro su cui ruota l’insegnamento dell’educazione civica, è in linea con quanto previsto dall’Agenda 2030. Approvata nel settembre 2015 dagli Stati membri dell’ONU, i suoi 17 obiettivi per uno sviluppo sostenibile riguardano tutti i paesi coinvolti,  con particolare attenzione alle popolazione e ai paesi poveri del Sud del mondo. Gli obiettivi “tengono conto in maniera equilibrata delle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile, ossia economica, sociale ed ecologica. Per la prima volta, un solo documento programmatico riunisce lo sviluppo sostenibile e la lotta alla povertà”.

Mi viene in mente in quel momento l’immagine di Youseff, il bambino migrante di soli sei mesi morto durante uno degli ultimi naufragi a largo della Libia che, pur essendosi solo affacciato alla vita, è stato deposto in una bara da adulto. Niente feretro piccolo e bianco. Non sarebbe cambiato nulla, ma è emblematico di quanto queste persone disperate al punto da sfidare la possibilità di incontrare la morte, siano prive di tutto. Sorte migliore è capitata agli otto immigrati, tra cui tre minori e una donna, trovati all’interno di un camion frigorifero che percorreva la statale alle porte di Benevento con destinazione Germania. Si nascondevano tra gli yougurt, mentre l’11 settembre sempre nel Sannio, altri otto extracomunitari si nascondevano su un camion frigo tra le cassette di frutta. Quello che cambia è la modalità del mezzo di trasporto o del prodotto tra cui ci si mimetizza, stesse sono le sofferenze di chi cerca realizzare un’esistenza a cui possa darsi il nome di vita.

È paradossale come il periodo storico in cui è più frequente entrare in contatto con persone di provenienze, etnie e culture diverse, in cui sarebbe necessario svolgere un percorso di incontro e conoscenza, affrontando irrisolti secolari, è anche quello in cui le divisioni si approfondiscono e diventano più sistematiche e spietate.

Malgrado la sua diffusione, il razzismo è completamente infondato, basato sul falso presupposto che esistano diversi gradi di umanità; la distinzione delle razze non sono varianti che riguardano caratteri derivanti dall’adattamento all’ambiente, ma l’insieme dei tratti biologici e soprattutto qualità umane più propriamente caratterizzanti. Il provocatorio e lesivo disprezzo che i razzisti esprimono verso chi arriva in Italia in fuga da guerre e calamità dimentica che nella storia arcaica della nostra specie, i gruppi umani non si sono costituiti nell’isolamento o come popolazioni intatte, ma derivano da migrazioni e spostamenti, viaggi di conquiste di nuove terre che hanno determinato contaminazioni e assorbimenti. Ci formiamo e deformiamo grazie alla relazionalità. Talvolta il contatto è stato foriero di scambi materiali, culturali e umani arricchenti, altre volte ha rappresentato lo scontro, la guerra, la distruzione e la sopraffazione.

In un mondo che cambia velocemente, ci si appiglia a preconcetti, vengono ripresentati e acuiti motivi di divisioni, mentre le pretese ideologiche di libertà, uguaglianza, fratellanza sono sempre più un ricordo lontano.

Le differenze linguistiche, culturali, religiose, lontane dall’essere fonte di ricchezza da rispettare e apprezzare, invito al confronto e all’apertura, diventano un problema poiché si ignorano le similitudini di fondo. Si tenta di eliminare le differenziazioni in nome dell’unicità di riferimenti identitari. La diversità, in realtà, apparirebbe solo apparente se si pensasse in termini di esigenze esistenziali intime e analoghe, caratteristiche congenite che si presentano sotto forma di intenzioni, bisogni, suggestioni empatiche e sentimentali positive. La diversità si nutre dell’unicità di ciascuno.

Il pregiudizio, invece, che vorrebbe l’esistenza di gruppi umani superiori ad altri per natura biologica, per caratteristiche intellettive, per ragioni culturali e storiche – evolutive serve ancora oggi a legittimare forme di sfruttamento come è il caso della schiavitù nella modernità. Un’umanità verso cui si è ostili, gruppi etnici considerati subalterni verso cui si è escludenti, verso cui forme di razzismo palese fanno parte della quotidianità.

Garantire modelli di consumo e produzione sostenibili significa considerare il bene come scambio reciproco e condivisione affettiva con gli altri, bisogna richiamarsi ad una concezione del bene che sproporziona l’aspetto quantitativo, materiale, da possedere, da arrogarsi. Un bene che non si esprima nella sua forma contratta, quello che considera la rovina dell’altro, come è possibile leggere dagli slogan “America first”, “Prima gli Italiani” e da visioni nazionaliste che sono state all’origine di emarginazione, genocidi e pulizie etniche.

Penso, allora, alla comunità di Massa Lubrense dove i 14 uomini e 2 donne di nazionalità afghana e irachena, dopo essere sbarcati, hanno trovato il calore dell’accoglienza; a Rosa Esposito, la salumiera di Nerano che ha alzato la serranda del suo negozietto e ha rifocillato i migranti. Dice che si è fatta una buona nominata coi suoi panini, non è nemmeno consapevole dell’impatto del suo gesto, dell’eco mediatico ricevuto, per lei aiutare chi era in difficoltà è stato un gesto naturale.

Prendere coscienza dei diversi modi di essere, pensare, agire, non basta, come non basta censurarne le espressioni, ma è fondamentale adoperarsi perché questi modi diversi diventino comunicazione, scambio fertile.

A livello planetario, è necessario attribuire un carattere naturale allo straordinario. Garantire modelli di consumo e produzione sostenibili significa, allora, ridurre le disuguaglianze, recuperare la dignità del lavoro attraverso un processo partecipativo nuovo che rilancia la democrazia economica, promuovendo un modello di crescita integro che lontano da logiche cannibalistiche, considera la sinergia e la comunione come l’anima dell’economia del futuro.

Agli interessi particolaristici ed egoistici di gruppi ristretti, alla barbarie della decadenza che affligge la nostra società bisogna inderogabilmente preferire criteri valoriali tesi ad affermare una possibilità di bene comune e durevole perché solo la solidarietà e cooperazione consentono alla nostra specie di continuare a vivere sotto il segno di un’unione, comprensione e riconoscimento.

 

TAG: immigrazione
CAT: diritti umani, relazioni

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