Adozioni, parlano i protagonisti: i genitori

9 Novembre 2021

Il desiderio di diventare genitori adottivi, in Italia e non solo, si scontra con una serie di problemi economici, burocratici e di assistenza post adottiva. I numeri, in calo a causa della pandemia, sono in leggera ripresa anche grazie alla riapertura di alcuni Paesi per le adozioni internazionali. Chi non si è mai avvicinato al tema, difficilmente ne conosce i risvolti e spesso chi parla di adozione, senza conoscerla, sbaglia i termini della narrazione, andando solo a creare più confusione e alimentando falsi miti, che non aiutano il processo di inserimento sociale, che queste nuove famiglie devono affrontare, prima, durante e soprattutto dopo la loro nascita. Abbiamo voluto affrontare l’argomento facendo parlare direttamente i protagonisti, cercando di ascoltare tutti gli attori dell’iter adottivo: dalla CAI, Commissione Adozione Internazionale, fino agli adulti adottati, passando per le associazioni di genitori.

Iniziamo proprio con loro, grazie all’incontro con Chiara Valleggi, Presidente di Genitori Si Diventa, un’associazione di volontariato che dal 1999 offre supporto, ascolto e formazione alle coppie che scelgono il percorso adottivo, attiva su tutto il territorio nazionale, con 16 sezioni e 7 punti informativi

Chiara Valleggi, Presidente Genitori Si Diventa

Gentile Presidente, partiamo subito raccontando chi è Genitori Si Diventa e cosa fa?

Siamo un’associazione di volontariato e nasciamo nel 1999 grazie alla mente e al cuore di alcune famiglie adottive che hanno intuito quanto creare una rete di accoglienza, incontro e informazione possa essere prezioso. Da allora siamo molto cresciuti e adesso siamo presenti in quasi tutta Italia con 23 sezioni e punti informativi che portano avanti le nostre attività. Mi piace pensare a Gsd come una grande famiglia di famiglie, famiglie tutte diverse ma che scelgono di fare insieme un pezzo di vita. Siamo una famiglia ricca di diversità e colori e un punto fermo della nostra identità è proprio accogliere e includere la diversità di cui ognuno è portatore: i figli che abbiamo incontrato, le famiglie che si avvicinano a noi durante l’iter del percorso adottivo e noi stessi che già siamo parte di Gsd. Vogliamo essere una famiglia che ascolta, condivide e sostiene. Per questo organizziamo gratuitamente incontri informativi per le coppie che si stanno avvicinando all’adozione e gruppi di mutuo aiuto per vivere insieme sia il momento dell’attesa che il post adozione. In tutti questi gruppi, anche quando è prevista la moderazione di un operatore (generalmente psicologi/psicoterapeuti esperti di adozione) sono presenti i nostri volontari a condividere la propria storia e a donare la risorsa più preziosa che ognuno di noi ha: parte del proprio tempo. Siamo una famiglia inserita nella società e che incontra altre famiglie, per cui abbiamo la nostra voce: abbiamo un magazine che pubblica regolarmente articoli sul mondo dell’adozione, una collaborazione con la casa editrice ETS con la quale pubblichiamo una nostra collana di libri e siamo soci fondatori del CARE, un coordinamento di associazioni familiari affidatarie e adottive di respiro nazionale. Portiamo la nostra voce organizzando eventi con esperti gratuiti aperti a tutta la cittadinanza: parliamo certamente di adozione, ma anche di genitorialità in genere, inclusione e accoglienza. Da sempre siamo molto attenti al mondo della scuola e della salute. Riusciamo a sostenere queste iniziative grazie a chi sceglie di diventare socio della nostra Associazione, alle erogazioni liberali e a chi ci sceglie per devolvere il 5 per 1000. Infine, siamo anche una famiglia a cui piace divertirsi per cui organizziamo feste e momenti di incontro, in cui anche i nostri figli abbiano possibilità di stare insieme e sentirsi una volta ogni tanto parte di una maggioranza.

Perchè è così importante, per una coppia che si avvicina all’adozione e per una famiglia adottiva, avere una rete di confronto e supporto?

Premetto che secondo me avere una rete di confronto e supporto è un’enorme ricchezza non solo per le famiglie adottive, ma per tutte, indipendentemente dal modo in cui si è diventati famiglia. La famiglia che nasce per adozione ha delle specificità e un linguaggio propri. La maggior parte delle volte il pensiero dell’adozione si innesta dopo la scoperta dell’impossibilità a procreare biologicamente e a volte dopo percorsi falliti di fecondazione assistita, per cui incontriamo persone ferite e spesso accompagnate da un grande dolore. È necessario affrontare ed elaborare il proprio vissuto per essere pronti a diventare genitori. Già da questo momento il confronto con chi è già passato da situazioni simili diventa prezioso. Le famiglie dovranno poi affrontare il percorso con i servizi sociali e il Tribunali dei Minori, alla fine del quale riceveranno un giudizio di idoneità o meno all’adozione. Durante questo percorso verrà chiesto loro di riflettere sul desiderio di genitorialità ed esplorarlo a fondo. Dovranno capire se si sentono pronti a diventare genitori di un figlio nato da altri e che porta sempre con sé un bagaglio di emozioni e dolore già vissuti, anche nel caso in cui il bambino che incontriamo sia neonato.  I genitori adottivi si fanno carico di questo bagaglio, lo accolgono e rendono parte della storia di famiglia, dovranno accompagnare i figli nell’elaborazione del proprio vissuto e del proprio dolore. Come tutti i ragazzi, anche i nostri figli crescendo avranno bisogno di appropriarsi in un modo nuovo e più adulto della propria storia: questo può significare mettere in discussione ciò che è accaduto, come è accaduto e perché. Sarà quindi una nuova prova per la famiglia adottiva, che dovrà riscrivere il patto stretto al momento dell’incontro. Questi che ho citato sono solo alcuni dei momenti di complessità che caratterizzano le nostre storie. L’adozione non cancella il passato, né il nostro né tantomeno quello dei nostri figli, non deve farlo. Mi piace pensare a noi genitori adottivi come a costruttori di un ponte che unisce il passato dei nostri figli al loro futuro, un ponte sicuro che permetta loro di guardare sia avanti che indietro con la certezza che noi saremo al loro fianco per sempre. Per costruirlo sono preziosi il confronto con chi il ponte lo ha costruito e ha magari già affrontato delle intemperie e anche con gli esperti che possono darci indicazioni su come posizionare i pilastri, in modo da resistere anche quando i nostri figli decideranno di mettersi a correre e saltare su questo ponte.

Quali sono le maggiori difficoltà che vi vengono esplicitate dalle coppie preadottive e dalle famiglie che incontrate? come cercate di intervenire?

Appena si affacciano al mondo dell’adozione le difficoltà maggiori sono individuate nel percorso stesso con i servizi e il Tribunale dei Minori, che viene percepito come un esame da superare per diventare genitori. Spesso si chiedono perché a chi diventa genitore biologico non si chiede niente e loro devono dimostrare di essere pronti e idonei.  Sono spaventati dai tempi di attesa e dall’incertezza dell’esito. Hanno timore di incontrare bambini già grandi e di non riuscire a sentirsi realmente loro genitori. Inoltre, sono molti i luoghi comuni e i pregiudizi sull’adozione e dobbiamo svelarli insieme a loro uno alla volta. Per far fronte a queste difficoltà cerchiamo innanzitutto di essere un luogo accogliente e non giudicante.  L’adozione può essere una grande occasione di crescita e trasformazione personale: è comprensibile avere all’inizio idee che supereremo in un secondo momento. I tempi di attesa possono essere effettivamente molto lunghi, noi cerchiamo di renderli tempo utile per “far fiorire” quella trasformazione di cui ho già detto. Una criticità che invece intravediamo noi è che all’inizio le famiglie spesso sono concentrate su se stesse e su quello che loro ritengono il proprio diritto a diventare genitori. Quello che cerchiamo di fare è spostare il punto di vista: intanto parliamo di diritto di un bambino ad avere una famiglia, non di diritto a diventare mamma e papà. Li invitiamo a guardare al mondo e a questa storia che sta cominciando a scriversi dalla prospettiva del bambino che incontreranno. Soprattutto cerchiamo di esserci e di essere facilmente raggiungibili: non solo con le iniziative che proponiamo, ma dando la nostra disponibilità a essere contattati e ad avere un confronto anche individuale su dubbi e paure. Cerchiamo in sintesi di essere dei buoni compagni di viaggio.

Quanto è necessario che una cultura dell’adozione, non riguardi solo chi ne è strettamente coinvolto, ma tutta la comunità? come genitori si diventa che tipo di azione sociale mettete in atto?

È fortemente necessario. L’adozione ha necessità di essere raccontata prima di tutto alla famiglia allargata e poi in termini più ampi alla società. Spesso i nostri figli devono inserirsi in un contesto sociale, come per esempio quello scolastico, quando si stanno ancora formando i legami di appartenenza con i loro genitori “per sempre”. E il contesto sociale frequentemente non è pronto. Ogni famiglia adottiva potrebbe raccogliere uno stupidario con tutte le frasi che ci siamo sentiti dire ai parchi gioco o fuori dall’uscita di scuola o a fare la spesa. Si parte con il classico “i suoi veri genitori dove sono?”, “ma ti chiama mamma?”, “l’hai incontrato da piccolo? Vabbè allora è come se fosse tuo”. Tutte frasi dette incuranti della presenza o meno dei nostri figli in ascolto. Noi siamo genitori veri, come veri sono i nostri figli e vere le nostre famiglie. Questo speriamo presto possa diventare un assunto per la società in genere. Siamo convinti che si possa costruire una società capace di includere la diversità e considerarla un tesoro prezioso. Come associazione cerchiamo di fare la nostra parte facendo cultura: con i nostri articoli, i libri della collana, organizzando incontri che coinvolgano anche persone esterne al mondo dell’adozione (per esempio gli insegnanti) che possano poi diventare i portavoce di una conoscenza del nostro mondo e del suo linguaggio. Le occasioni come questa intervista sono importanti momenti per raccontarci al mondo.

“il Filo di Arianna” nuovo libro della collana ETS

La pandemia ha cambiato profondamente il modo di relazionarci, come ha influito sulla vostra attività e di conseguenza sulle coppie e le famiglie che si rivolgono a voi?

Noi basiamo la nostra attività sull’incontro, quindi quando è scoppiata la pandemia abbiamo dovuto scegliere cosa fare: o reinventarci o congelare le nostre attività in attesa di momenti migliori. Abbiamo scelto la strada del cambiamento: siamo diventati super esperti di programmi per incontri da remoto e in tutta Italia abbiamo convertito le nostre attività dalla presenza all’online. Come dice un nostro volontario il computer è un mezzo, cioè metà e quindi non possiamo aspettarci che ci restituisca tutta la ricchezza dell’incontro con l’altro, ma almeno una parte sì. Siamo riusciti a rimanere in contatto con le famiglie del nostro territorio con i gruppi di mutuo aiuto e l’azzeramento delle distanze ha permesso di vivere i nostri incontri con esperti in una dimensione nazionale: per esempio un incontro organizzato da una sezione in centro Italia ha potuto essere seguito da chiunque lo volesse indipendentemente che stesse a Milano o Palermo. Siamo riusciti a incontrare persone che abitando in luoghi difficilmente raggiungibili, con la modalità online hanno avuto una grande facilitazione nel poter partecipare alle nostre iniziative. Con il miglioramento della situazione pandemica e nel rispetto completo delle regole sanitarie stiamo cercando di riprendere qualche attività in presenza, ma la maggior parte degli appuntamenti sono ancora online. Per noi è molto importante la possibilità di incontrarci fra volontari attivi di tutto il territorio e anche quello è stato trasferito online: abbiamo fatto due assemblee nazionali completamente da remoto e abbiamo sfruttato questo mezzo anche per fare un “Giro d’Italia” fra le sezioni e incontrare i volontari di ogni territorio. Siamo fiduciosi che il migliorare della situazione pandemica possa consentirci di fare la prossima ad Aprile 2022 in presenza e siamo molto emozionati al pensiero di poterci finalmente ritrovare.

Da un punto di vista più personale ed esperienziale, quanto è difficile essere volontaria di un’associazione familiare di questo tipo? di cosa hanno bisogno i volontari della sua associazione?

Essere volontario in un’associazione come GSd è certamente molto impegnativo: ci confrontiamo con il dolore e le ferite delle famiglie, sia prima dell’incontro con il figlio che dopo, quando possono subentrare difficoltà e incomprensioni. I nostri volontari, che ringrazio ogni volta che posso, sono là quando ci sono le difficoltà pronti a un ascolto generoso e non giudicante. Penso che per affrontare tutto questo sia importante essere formati, sull’adozione, sul modo di condurre i gruppi, su un ascolto attivo. Incentiviamo quindi la partecipazione a cicli formativi, come per esempio la formazione organizzata dal CARE per le associazioni che fanno parte del proprio circuito, o quella organizzata dalla Commissione Adozioni Internazionali in collaborazione con l’Istituto degli innocenti.  Acquistiamo centralmente iscrizioni a eventi riguardanti il mondo dell’adozione per dare ai nostri volontari la possibilità di partecipare gratuitamente. Oltre alla formazione è importante l’ascolto dei volontari stessi: stiamo cercando di organizzare uno sportello con operatore che possa sostenere i nostri volontari quando le situazioni accolte diventano troppo complesse da sostenere. Ci confrontiamo però anche con la bellezza di vedere sorrisi che invadono i volti, famiglie che nascono e sperimentiamo che il dolore non impedisce di fiorire. Per questo mi sento di dire che personalmente è molto più quello che ricevo che ciò che dono di me.

laboratorio presso GsD

 

Come associazione di famiglie adottive, cosa vorreste per il futuro dell’adozione?

Vorremmo intanto che si cominciasse con l’usare un linguaggio corretto quando si parla di adozione, che non fosse sminuente e fuorviante la nostra realtà. Vorremmo che anche i media fossero sensibilizzati a questo tipo di linguaggio e non rinforzassero ulteriormente luoghi comuni o pregiudizi radicati. Vorremmo che lo Stato fosse più presente concretamente nel sostegno sia alle famiglie che affrontano l’adozione internazionale e che si trovano a sostenere spese ingenti legate all’incarico all’ente e al viaggio nel paese, sia nel post adozione delle famiglie adottive che spesso si trovano a sostenere privatamente costi per specialisti che aiutino in un percorso di riabilitazione e recupero che può essere necessario. Vorremmo che la scuola fosse messa nelle condizioni di poter attuare le Linee di indirizzo per il diritto allo studio degli alunni adottati come prassi ordinarie. Vorremmo una società veramente inclusiva della diversità: pensiamo che sarebbe un mondo migliore dove crescere i nostri figli, adottivi o no.

TAG: adozione, diritto dei minori, genitori adottivi
CAT: diritti umani, terzo settore

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