Il più famoso artista di strada del mondo
Se siete stati giovani a Roma negli anni 70, allora conoscete Garibaldi. Il suo vero nome non lo sapeva nessuno, era un artista di strada che, la sera, girava per le pizzerie del centro e suonava la tromba, o in giacca lisa, oppure vestito di rosso, come un garibaldino. Il regista Fausto Tozzi lo ha immortalato nel film “Trastevere” del 1971. I miei amici di allora dicono di averlo incontrato anche in altre città. Era un uomo gentile e timido, ed io ero un ragazzino e lo consideravo una parte del mondo meraviglioso dei dintorni di Via dei Volsci – il cuore pulsante della Roma che ho amato. Mai avrei avuto il coraggio di parlargli.
Gli artisti di strada ci sono anche ora, e ne conosco diversi. Forse vi ricordate di Otto e Barnelli, il duo che girava l’Italia anche negli anni 80 e che Renzo Arbore aveva portato in televisione. Ebbene, io ho suonato con Otto, ad una manifestazione a Trastevere, e per me equivale ad essere stato sul palco con Bob Dylan. Ed è stato un altro di questi artisti che, per la prima volta, mi ha raccontato la splendida favola dello Zio Remo, che canta in una band in cui suona il bravissimo chitarrista livornese Roberto Luti. Dopodiché Youtube ha fatto il resto, ed eccomi qui, a raccontare anche a voi questa storia romantica d’oltre Oceano.
All’inizio c’erano sette romanzi dello scrittore sudista Joel Chandler Harris. Harris crea Uncle Remus, Zio Remo, una figura di afroamericano bonaccione, allegro ed a metà strada tra il saggio e lo svitato – che parla con quell’accento degli schiavi neri del 18° secolo, che è apertamente spregiativo, e che in italiano è stato tradotto con il celebre “zi badrone”. D’altro canto, Uncle Remus è il narratore di quei libri: Harris lo usa per raccontare leggende di animali e di bimbi che scoprono la natura, mentre l’eroe dei libri è Br’er Rabbit, Fratello Coniglio, che è saggio e buono e combatte contro Br’er Bear e Br’er Fox, che sono cattivi e furbastri.
Il primo di questi libri è uscito nel 1881, quando la Guerra di Secessione, finita nel 1865 dopo quattro anni di feroci battaglie, lascia ancora strascichi profondi nel Sud sconfitto, umiliato, e costretto a liberare gli schiavi che erano alla base della ricchezza dell’aristocrazia terriera che, nei cento anni precedenti, aveva scacciato i pellerossa e stabilito su metà degli Stati Uniti una serie di governi locali che riproducevano il feudalesimo europeo.
Uncle Remus è una rottura con quel passato, perché racconta apertamente le terribili sofferenze degli afroamericani, ma allo stesso tempo conferma tutti i pregiudizi sulla superiorità della razza bianca. Nel 1947, oltre mezzo secolo dopo, le cose non erano cambiate: Walt Disney scrittura l’attore teatrale James Baskett per il suo film parzialmente a cartoni animati chiamato Song of the South, in cui l’attore afroamericano, che morirà l’anno dopo in circostanze mai chiarite a soli 49 anni, finalmente canta in inglese perfetto, e vince l’oscar 1947 per la migliore canzone originale, “Zeep a-dee doo-dah”.
Nel 1974 Frank Zappa scrive e pubblica, nel suo capolavoro “Apostrophe (‘)”, una canzone chiamata “Uncle Remus”, in cui il musicista di origine siciliana descrive con il solito sarcasmo le tensioni razziali e la barbara violenza del suprematismo bianco. Ma l’eroe della canzone di Zappa non è più il personaggio di Harris, ma una persona vera, l’artista di strada Elliott Small, oggi chiamato Grandpa Elliott (Nonno Elliott), ma che allora aveva 30 anni, era una sorta di mito di New Orleans, e si faceva chiamare Uncle Remus. Cresciuto nel Lafitte Housing Project, una casa gestita da una fondazione per bambini di famiglie estremamente violente, Elliott c’è arrivato a tre anni, ed è in quel periodo che ha visto il film di Disney ed ha deciso di diventare il vero, unico Uncle Remus.
È andato a New York per fare il musicista. Suonava l’armonica a bocca con i grandi del soul, oppure cantava nel coro, e dopo aver lavorato con Smokey Robinson e Curtis Mayfield, per lui erano spalancate tutte le porte. Una delle sue canzoni, “Eenie meenie”, gli è stata rubata dalla sala di incisione ed è stata portata al successo dai Jackson 5, la boy band di Michael Jackson e dei suoi fratelli. Elliott, schifato, è tornato a New Orleans, dove Frank Zappa lo ha trovato e ne è diventato amico.
Con il passare degli anni, Elliott è diventato una istituzione. Ha continuato a cantare e suonare nei dischi altrui, ma ha deciso di vivere, poverissimo, in una baracca ai confini del centro della sua città. Fino al 2005, quando un glaucoma lo ha reso quasi cieco, e la città si è mossa per aiutarlo. Lo hanno lasciato là dove lui vuole vivere, ma gli hanno pagato l’operazione agli occhi. A quel punto la star Withney Ann Kroenke lo ha chiamato per cantare nel suo progetto “Playing for the Change”: canzoni suonate in tutto il mondo da artisti famosissimi insieme ad artisti di strada, e prodotti professionalmente da Mark Johnson, che è uno che ha vinto anche un Grammy Award.
Con la registrazione di “Stand by me”, che ha avuto milioni di visite sui social media, Uncle Remus è diventato famoso in tutto il mondo, ed ora ci sono persone da tutto il pianeta che vanno a New Orleans per conoscerlo. Ma lui, che ha 77 anni ed è evidentemente stremato da una vita durissima, diventa sempre più schivo. Ma la sua voce non deve sparire, lui non può essere dimenticato. Simbolo di una delle professioni nobili più antiche del mondo, Grandpa Elliott è il simbolo dell’artista vero, quello che suona non per soldi, ma per amore. Della musica, della libertà personale, dell’umanità.
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