La Grande Mela non riesce a nascondere il marcio delle sue contraddizioni

:
26 Agosto 2023

Come andare a New York e non perdersi tra i grattacieli di vetro che si trasformano in specchi e si riflettono l’un l’altro, come se la città stessa mettesse in scena uno spettacolo per i suoi abitanti per farli vivere tra sogno e realtà. Grattacieli che ci costringono ad alzare la testa verso il cielo e che sembrano voler raggiungere in una perenne sfida alla gravità, strade squadrate che dettano il ritmo, viali che sembrano infiniti e il cui punto di fuga fa girare la testa a chi lo cerca. New York ha un senso dello stile, tra territori chic e quartieri super trendy dove il buon gusto e il cattivo gusto si sfiorano senza mai toccarsi. Per sentirsi toccati, devi abbassare la testa, per poter scorgere la disperazione, l’emarginazione e la miseria sociale.
“From the cradle to the grave”, dalla culla alla tomba. Una volta questa frase era la descrizione dell’ambizione dello stato sociale. Adesso è l’illustrazione di quanto quella vecchia visione sia crollata. Un’ illustrazione, anche di quanto la disuguaglianza modelli la vita delle persone dal momento in cui nascono a quello in cui muoiono, spesso con la complicità e il supporto della politica.
Vivere tra la 75esima e la First Avenue, nell’Upper East Side di Manhattan può costare un occhio della testa, o un sacco a pelo. Dipende dal dettaglio se occupi l’ultimo piano di un palazzo anni ’50 con terrazza o il marciapiede, al termine di una fila di vetrine di uno store dal nome “Rainbow”, arcobaleno.
La povertà nello stato di New York continua a superare i livelli nazionali e quelli degli stati vicini, con le minoranze razziali e altri gruppi storicamente emarginati che sopportano il fardello più pesante, che vive al di sotto della soglia di povertà. Un quarto dei residenti statali di tutte le età che vivono in povertà sono nati al di fuori degli Stati Uniti
Una povertà tangibile dal numero di persone che vive per strada e neppure la cerca la carità, dormono perché chiudere gli occhi al mondo che li ha travolti e sommersi è l’unico rifugio contro la pazzia. La malattia mentale è diffusa perché se non sei integrato, se vivi ai margini, se sopravvivere è la lotta che devi affrontare ogni giorno per procacciarti un po’ di cibo -a volte scartandolo tra gli avanzi dell’immondizia- per tirare avanti fino al giorno successivo, la mente percorre sentieri alternativi dove la sofferenza è più sopportabile. Un quarto dei residenti statali di tutte le età che vivono in povertà sono nati al di fuori degli Stati Uniti, se sono impiegati, fanno i lavori più umili, diversamente li trovi a vendere bibite o leccornie in quelle che definiresti la Hell’s Kitchen di Manhattan, le metropolitane, dove il calore insopportabile e irrespirabile di una città sotterranea composta per lo più dal ferro di binari e piloni e una scarsa areazione rendono bene l’idea dell’inferno. Le ragioni dell’aumento dei senzatetto a New York sono molteplici e includono l’aumento dei costi degli affitti, la mancanza di accesso a servizi di assistenza sanitaria mentale e la crescente disuguaglianza economica. L’accumulo di rifiuti e sporcizia nelle aree in cui i senzatetto si accampano con relativa mancanza di servizi igienici è ciò che balza maggiormente all’occhio, anche se le principali lamentele degli abitanti dei quartieri “bene” riguarda il tema della sicurezza. Rumori, odori di cibo cucinato per strada, problemi di aggressività con i residenti oltre a essere un problema in sé vengono valutati in funzione economica, principalmente per la riduzione del valore immobiliare.
Per avere un’idea di cosa sia realmente New York, e comprendere le numerose problematiche sociali legate al razzismo, è necessario lasciare Manhattan e fare un giro per i suoi quartieri.
Harlem ad esempio ha una popolazione composta per la maggior parte da afroamericani e ispanici. Fin dagli anni 20 non è mai stato solo un “Quartiere pericoloso”, è qui che la cultura afroamericana ha piantato le sue radici culturali, portando avanti sia movimenti artistici, come il jazz, sia movimenti per l’uguaglianza sociale. Qui è nato Malcom X, qui si possono scorgere manifesti che ricordano personaggi iconici come Alberta Hunter che segna la storia del blues. Se le dive del cinema pagano la loro libertà con la pesantissima scure del giudizio morale, nel mondo della musica – quello sotterraneo, clandestino e violento dei “bassifondi” – nascono dive forgiate dal dolore e dalle brutture della vita, che si pongono al di sopra di qualsiasi codice morale o etico. Non angeli del focolare, ma neanche dive patinate in gabbie dorate, le nuove idee del blues, e ora anche del jazz, cominciano ad incantare il mondo con la loro sensualità a tratti dolente, a tratti sfrontata, esibita, corrosiva.
In anni di segregazione razziale istituzionalizzata, sono gli afroamericani a decidere le sorti musicali di tutto il mondo: la loro musica, frutto del dolore e dell’oppressione secolare di un popolo intero, inventa nuovi codici espressivi capaci non solo di raccontare un’epoca, ma anche di plasmarla e di darle una voce.
Tappe fondamentali sono L’Apollo theatre, cattedrale della musica nera, qui infatti si sono esibiti artisti divenuti delle vere leggende come ad esempio Ella Fitzgerald, Lionel Rechie, Michael Jackson, Louis Armstrong.
Merita una visita anche la casa del Langston Hughes, uno dei più famosi scrittori del Rinascimento di Harlem. Le sue opere, sebbene condivise con il mondo letterario in generale, sono state formate in modo unapologetico dall’esperienza afroamericana. A differenza dei principali intellettuali neri del suo tempo, Hughes non tentò di rimodellare la sua lingua o temi per adattarsi a un pubblico bianco. Il suo lavoro riflette l’influenza pesante dell’esperienza nera ordinaria così come la cultura jazz di spicco della sua epoca.
Al Moma, Ernest Cole, artista che in House of Bondage aveva fotografato le conseguenze di trecento anni di supremazia bianca in Sud Africa, sono esposte le sue fotografie di Harlem che mostrano il suo interesse per i ritmi della vita quotidiana e per gli incontri come le funzioni religiose, gli spettacoli musicali e le proteste. Colpito dal razzismo di cui fu testimone e affrontò negli Stati Uniti, Cole tracciò un parallelismo tra le esperienze dei neri in America e in Sud Africa. Ha scritto che le sue foto in House of Bondage potrebbero “spiegare perché, tra tutti i paesi, dovrei sentirmi un po’ a casa negli Stati Uniti”.
Il Paese che ha dispensato sogni sul come potersi riscattare dall’amaro destino di essere nato nel posto sbagliato del mondo, non riesce a risolvere le sue contraddizioni e sono coloro che fanno fatica ad incarnare il “great again”, il sempre più in alto, più lontano, più veloce, che fanno anche battere il cuore della città. Il sogno americano non sembra riconoscersi nella fragilità o la tristezza o il fallimento. È un peccato. La povertà è un insulto alla dignità. Impedisce di sognare il futuro e di vivere liberi, anche nel Paese che incarna la libertà nel mondo.

Ernest Cole

Ernest Cole

Ernest Cole

TAG:
CAT: discriminazioni, Integrazione

Nessun commento

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

CARICAMENTO...