I titoli di Libero e la loro sfida alla nostra intelligenza

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25 Gennaio 2019

Sì è vero: a giudicare dalle reazioni sui social, il titolo apparso in prima pagina mercoledì scorso su Libero: “Calano fatturato e Pil ma aumentano i gay” con tanto di occhiello rosso: “C’è poco da stare allegri.” non è piaciuto affatto… per usare un eufemismo!

Ammetto che, in quanto omosessuale, la tentazione di farsi cullare dalle ondate di sdegno collettivo è sempre grande; far parte di una cosiddetta minoranza ha i suoi vantaggi: la vittimizzazione è una delle più appetitose. Come sarebbe rassicurante per una volta farsi coccolare da quella fetta di industriali, pubblicitari e giornalisti mainstream o di semplice opinione pubblica che coralmente sembrano in questi giorni simpatizzare con quella che promette di diventare una delle ‘più avvicenti battaglie del nuovo anno’: meglio froci che lettori di Libero!

Confesso tuttavia, allo stesso tempo, di aver sempre avuto un particolare debole per la libertà di pensiero e della sua relativa espressione, sin dai tempi in cui studiavo filosofia all’università; mi risulta difficile, perciò, lasciarmi andare completamente allo sdegno senza filtri da social.

Nelle Vite e Dottrine dei filosofi illustri, scritto nella prima metà del III secolo d.C., lo storico greco Diogene Laerzio scriveva: “Interrogato quale fosse la cosa più bella tra gli uomini, Diogene di Sinope disse: «La libertà di parola».”

Forte in me, fin d’allora, il disagio di fronte alla cosiddetta censura ‘morale’, specialmente quando questa viene agitata come bandiera per proteggere il ‘popolo dei lettori’ da un pericoloso e presunto abuso di tale libertà. Ho sempre creduto che questo ‘popolo’ fosse un popolo costituito da persone adulte e che, in quanto ‘lettori’,  fosse formato da individui capaci di leggere: la comprensione di un testo scritto, l’analisi della sua forma e la sintesi del suo contenuto costituiscono gli elementi che ci aiutano a distinguere la lettura dalla ventriloquia e persino le persone dai fantocci. Allora uno si potrebbe chiedere: qual’è dunque la forma e il contenuto di quel titolo? Facile: la forma è quella ben nota della ‘provocazione da bar’, dell’insulto sconclusionato, della pernacchia da Bagaglino mentre il contenuto, beh… il contenuto non c’è! O meglio, un contenuto può essere immaginato, creato e ricreato dalla nostra fantasia, sulla falsa riga dei collage dadaisti o di quel famoso sketch su “La Casa delle Libertà” di Marcorè e Guzzanti di inizio anni duemila: “Facciamo un po’ come cazzo ci pare!”

Così grande è la mia stima nei confronti del lettori, ovvero di quegli individui capaci di comprensione, analisi e sintesi di un testo, che qualsiasi atto di censura ‘morale’ ha sempre rappresentato per me la peggiore delle offese, perché diretta alle nostre intelligenze.

Ed è questa offesa – quella diretta alla mia intelligenza – l’unica che io trovo inaccettabile.

Accanto ad essa, vi è poi un’altra offesa (o presunta tale) ed è quella che mi vorrebbe veder ferito in quanto ‘oggetto di scherno di quel titolo’, in quanto appartenente alla categoria dei finocchi vilipesi dal quotidiano di Vittorio Feltri.

Questa ‘offesa’, che è puramente emotiva, è simile a quella che porta i bambini alle lacrime e i marmocchi viziati ad infuriarsi e a divincolarsi in preda all’isteria di fronte al papà che ha alzato la voce in maniera inappropriata; ed è solo e soltanto per proteggere i pargoli dalle brutalità di alcune parole oscene che un qualche tipo di (auto)censura avrebbe forse ancora un suo senso nella società attuale degli (s)costumi, a cui siamo da tempo abituati.

L’Ordine dei giornalisti che segnala questo infelice titolo al consiglio di disciplina, insieme alle aziende che in queste ore annunciano di voler rimuovere i propri finanziamenti pubblicitari, si muovono esattamente sulla falsariga emotiva di questa censura ‘morale’; nell’invocarla, tuttavia, offendono me ‘intellettualmente’ molto di più di quanto Libero possa averlo fatto col suo titolaccio: mi confinano nella categoria di ‘lettore omosessuale’ da tutelare e mi degradano al livello di quell’infante di cui sopra, in lacrime di fronte al babbo che fa la voce grossa! Come se io, adulto e vaccinato, non mi potessi difendere da quel titolo con un semplice sorriso.

Cosa ci insegna questa storia? Una lezione su tutte: sarebbe auspicabile tornare a pensarci più come individui adulti, dotati di raziocinio e spirito critico e meno come parte lesa di minoranze indifese, in perenne bisogno di soccorso e tutela.

Quindi no, lo dico chiaramente: nel leggere quel titolo non mi sono sentito offeso!

Ciò che, al contrario, offende è l’ironia della sorte: se non fosse stato per i detrattori del giornale di Feltri, quel titolo non sarebbe mai diventato virale sui social ed io, da ‘non-lettore’ di Libero, di quel titolo non me ne sarei mai accorto.

 

 

TAG:
CAT: discriminazioni, Media

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