
Lavoro
La logistica nel capitalismo straccione all’italiana
Un saggio meticoloso ma agile per capire le radici storiche della logistica italiana tra sfruttamento e illegalità diffusa.
Se vi interessa avvicinarvi a un argomento essenziale per capire l’odierna economia e il conflitto sindacale La logistica in Italia. Merci, lavoro e conflitti di Andrea Bottalico, ricercatore di Sociologia dei processi economici e del lavoro all’Università di Napoli, è consigliatissimo. Il saggio, appena pubblicato da Carocci, è agile, ben scritto, ricco di dati, un lavoro meticoloso ma senza una parola più del dovuto, che ha come primo merito di tracciare i confini di un tema complesso collocandolo nel contesto storico dello sviluppo capitalistico del secondo dopoguerra e, in particolare, della rivoluzione dei traffici avviata negli anni ‘50 con l’avvento del container.
La logistica è uno di quei temi di cui si può ben dire che ciascuno di noi sa cos’è finché qualcuno non ci chiede di spiegarglielo. Oggi si pensa soprattutto ai grandi corrieri, ad Amazon, Temu, SHEIN, alla possibilità di acquistare un oggetto in Cina e vederselo recapitare dopo pochi giorni sullo zerbino di casa. Ma è un modo di analizzare la questione schiacciato sul presente. La logistica, infatti, nasce come metodo di gestione razionale degli approvvigionamenti e delle scorte all’interno della fabbrica fordista, una funzione aziendale della produzione e, dunque, un fattore del processo di valorizzazione capitalistica.
Nella periodizzazione disegnata da Bottalico è la fase tra gli anni ‘50 e ‘70 a segnare l’ascesa di questa logistica, la logistica di produzione, all’epoca con tassi di esternalizzazione modesti; in quella successiva, fino agli anni ‘90 il progressivo disgregarsi del modello fordista fa emergere, soprattutto in Italia, il mito delle PMI e dei distretti industriali, la logistica è soggetta a un processo di razionalizzazione e, contestualmente, appare sulla scena il “punto di vista del cliente”; infine, a partire dagli anni 2000, con l’ascesa della lean production e della “fabbrica diffusa”, che permette di produrre e assemblare componenti dello stesso dispositivo a migliaia di chilometri di distanza in base alle esigenze aziendali, le supply chain globali diventano un fattore strategico, la logistica tende ad assumere un ruolo autonomo, compare la logistica di distribuzione legata all’e-commerce e l’affidamento a terzi diventa la regola.
In Italia questi processi assumono una forma peculiare legata alla sua particolare natura di capitalismo straccione, segnato da una parossistica frammentazione produttiva e dunque da un’ipertrofica piccola borghesia. Nella logistica questa peculiarità si riflette nella scelta di investire sulla gomma piuttosto che sul ferro e nella conseguente ascesa sociale del padroncino. In nessun paese europeo come l’Italia le ferrovie crescono così poco rispetto alle autostrade e si affida una quota così elevata di merci ad autotrasportatori proprietari perlopiù di un unico mezzo che guidano loro stessi su e giù per l’Italia con orari e condizioni di lavoro da incubo.
Bottalico affronta in parallelo lo sviluppo dell’economia e quello del conflitto di classe: l’ascesa del padroncino va di pari passo col declino di due figure eroiche dell’aristocrazia operaia, ferroviere e portuale. Complice il fatto che se per un verso l’unificazione dei sindacati di mestiere in un unico sindacato dei trasporti coglie correttamente la dinamica storica, per un altro non riesce a dare adeguata rappresentanza alle istanze dei lavoratori e, soprattutto, a organizzare quella massa di autotrasportatori, giuridicamente padroni ma socialmente no, che garantiscono ai padroni veri il grosso dei traffici.
Anche da qui l’attuale difficoltà dei sindacati confederali nel reggere la concorrenza di quelle organizzazioni di base, come Si e Adl Cobas, che per prime hanno organizzato i facchini della nuova logistica di distribuzione e messo in fila una lunga sequenza di piccole ma significative lotte. Alcune culminate tragicamente proprio nello scontro, a volte mortale, tra picchetti dei facchini e camionisti che tentano di aprirsi un varco per difendere il proprio lavoro, percepito come altro dal lavoro di chi blocca i cancelli.
Un mondo, quello dei facchini immigrati senza diritti, delle finte cooperative, dell’elusione fiscale e delle infiltrazioni criminali, che – argomenta efficacemente l’Autore – affonda le proprie radici in decisioni di 40-50 anni fa (ma i cui effetti scontiamo ancora oggi), ignorando i tentativi di una parte dell’establishment politico-economico di considerare la logistica in modo razionale, come un investimento e non semplicemente come un costo. Ed è proprio per questo che il saggio merita di essere letto.
Recensione tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info dell’1 luglio 2025.
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