“La collagista”, stupefacente fermo immagine di una passione perpetua
Può una passione, degna di essere definita tale, cioè con le dovute e significative sfaccettature di piacere, dolore, sensualità e amorevolezza, accogliere tutte le precedenti e quelle future? Questo, è l’interrogativo che accompagna il lettore non appena scorge le chiavi di violino, sapientemente distribuite tra le pagine dall’autrice, per aprire il pentagramma letterario di una storia di fascinazione e di frontiera e leggervi la musica struggente contenuta dallo spartito del libro. E, a intervallo del ricordo e, dunque, della trama, ma, nella continuità del racconto, si susseguono intermezzi che rivelano ogni volta collage intimistici, ibride forme d’arte a sostegno di un’anima inquieta, espressioni d’istinto tra parole semplicemente ragionate e ben accatastate l’una sull’altra, l’una accanto all’altra, l’una a rinforzare l’altra, o a contraddirla se necessario. La prosa de “La collagista”, di Francesca Mazzucato, edito da Arkadia nella collana SideKar, ci introduce in una sorta di mulinello emozionale, dove la lettura stabilisce, man mano che la si consuma, un grado di stretta confidenzialità con la protagonista femminile, che si manifesta attraverso un forte senso di empatia nei confronti della sua pena d’amore, ora necessario bisogno e tensione, ora erotismo sfrenato.
Eppure, F., la nostra donna, non è una persona delusa, o irrimediabilmente malinconica. Nel ripercorrere, con tratti da collagista, la sua levigata e finanche candida “histoire d’O”, ella trasmette, nella disinvoltura che è propria del personaggio, l’entusiasmo temperante dei suoi incontri, pronto a trasformarsi in qualcosa di diverso che la tormenta, diventando sofferenza, angoscia. Una figura complessa, F., ma autentica e lineare, nel saliscendi dei suoi desideri, nell’andirivieni della sua voluttuosa esaltazione. Frammenti che delineano un percorso da “montagne russe”, ai bordi del precipizio desiderato, in cui, tuttavia, resta difficile inoltrarsi. Più nessuno, a differenza di come ha fatto A., il suo amato prediletto, sembra essere in grado di condurla nella voragine erotica e sentimentale del tormento d’amore. E più che rifugiarsi nel suo lavoro di artista, F. vi cerca spunti per continuare a essere, ricordare, conservare: “Può sembrare incredibile cosa riesce a fare un frammento. Quanto riesce a diventare significativo, appiccicato su un pezzo di cartone. Rileggo, prima, decido quali assenze usare, quali parole ritagliare e cosa, invece, conservare scritto, quali appunti desidero che rimangano nei miei quaderni. Sono una donna che non vuole nascondersi… ma non voglio essere una donna senza passato. Voglio che i collage lo rappresentino…”
Lontano dalla tentazione della celebrazione melodrammatica di un “corazon espinado”, la collagista si racconta universalmente da Parigi, città che detta tempi sincronici, coesistenti con i ricordi, simultanei ai progetti del presente. Che si trovi a reperire materiale per i suoi collage, o a concedersi svago, i luoghi della sua esistenza sembrano dar conto di un’eternità che appartiene alla magia della narrazione, alla capacità di offrire in lettura un chiaroscuro da interpretare convenientemente, o da equivocare, a scelta. Ed è in questo segmento che il testo della Mazzucato sfugge alle valutazioni epidermiche di un dilettantismo critico. Ciò che nel racconto non è erotismo ed emotività è qualcosa da cui non si può prescindere per interpretarne l’essenza. Un parco pubblico per cercare, una “rue” da sperimentare, o una brasserie da vivere diventano luoghi dell’anima, da scoprire in una Parigi che l’autrice ha fissato in un tempo e una data, senza connotarla di un limite evocativo. Mi piace infine pensare a “La collagista” come a una storia d’amore delicatamente raccontata, dove per delicatezza si intende l’abilità dell’autrice di rivelare e descrivere appena, quel tanto che basta per non alterare il gusto della comprensione e dell’intuizione, senza sovraesposizione di quadri coreografici, senza addentrarsi in scene che si possono ben immaginare. A patto, però, ci si ricordi che “ogni storia d’amore è la storia di uno squilibrio”.
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