La Russia ha due problemi: le strade e gli imbecilli (N. Gogol)

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2 Marzo 2022

Non solo la Russia, ahimè.

Oggi ho avuto un’illuminazione. Dopo aver visto come il maestro Valerij Gergiev è stato cacciato con ignominia da tutti i teatri d’Europa e d’oltremare mi sono detto: ma perché mai dovrei continuare ad ascoltare Lo Schiaccianoci? In fondo quella marcia militare dei soldatini di stagno sotto l’albero di Natale è l’anima russa, guerrafondaia fino in fondo. Ho distrutto colle mie mani il CD, che, per di più era un’incisione dell’orchestra della Radio di Mosca diretta da un russissimo direttore. Basta! Russia go home. Ma perché si ostinano a dover fare per forza la Dama di Picche alla Scala? È un’opera russa in russo, porca miseria! Facciano La Regina di Cuori opera in un prologo, quattro atti e un epilogo di Piero Pelouche, tutta erotismo latino.

Basta coll’insalata russa, non sta bene, e nemmeno il manzo Stroganoff, per favore! Basta con Sbiten e Medovukha, che non sono due principesse di una fiaba russa, ma due bevande popolari. Insomma qualsiasi cosa scritta in cirillico o pronunciata con accento russo è l’orrore del momento.

Ma perché mai soffermarsi su Tolstoj, Dostoevskij, Puškin, siccome sono russi sono nemici, e perché ascoltare Una notte sul Monte Calvo di Mussorgskij? Meglio su Montecarlo, dove pure si abbonda di oligarchi russi.

Pensiamo per un solo momento se durante la seconda guerra mondiale si fosse smesso di leggere Kant e Nietzsche, di ascoltare ed eseguire Mozart o Schubert, di ammirare i quadri di Caspar Friedrich nei musei oppure di abolire tutte le opere di Verdi, Rossini, Bellini dai cartelloni di Londra e New York solo perché culture di un paese nemico.

Eppure l’università degli studi di milano bicocca (volutamente tutto con minuscole, perché le maiuscole non se le merita) ha bocciato un corso di Paolo Nori su Dostoevskij proprio perché russo. Codesta follia, che fa il paio colla cultura della cancellazione di stampo anglosassone per cui Shakespeare era razzista così come l’Aida o la Lakmé sono opere liriche colonialiste, è un segnale della deriva a cui stiamo assistendo.

No, no, no, io non ci sto! Chi non salta con me, cretino è!

Prudono le mani. Dove cazzo sono gli intellettuali, quelli veri, quelli che vincerebbero i Premi Ostrega o Campielli o Coppe Volpi o Tazze da Caffè di qualsiasi risma, che facciano sentire le loro voci contro queste censure, questi maccartismi di paese di sindaci e rettori ridicoli? Viene la nausea. Chi non capisce che solo attraverso la cultura e la conoscenza si può arrivare a una consapevolezza e imboccare un sentiero verso la pace deve immediatamente lasciare il posto dirigenziale che occupa e questo vale per i sindaci così come per i rettori e i direttori dei teatri, perché i veri nemici della conoscenza e della pace sono loro.

Povero Dostoevskij, proprio lui che ne ha passate di cotte e di crude per il regime zarista, imprigionato, vilipeso. Ma queste cose le sanno i dirigenti universitari che hanno deciso di sospendere il corso (per poi pentirsene e ripristinarlo dopo la mala figura universale: ops! Che cosa abbiamo fatto?)? Vergogna! oppure, se si preferisce l’attualità: Capre! Capre! Capre!

 

TAG: Bicocca, censura Dostoevskij, milano, putin, Sala, Scala, ucraina
CAT: enti culturali, Storia

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