Inceneritore acceso, passione spenta: Parma non si piace più

7 Dicembre 2014

La città si chiama Parma. L’evento che ospita oggi ha invece nomi diversi: i 5 Stelle l’hanno battezzato Agorà, i detrattori Leopoldina, i nemici giurati Federica. Nome ufficiale: “Giornata dello Statuto”, che sarebbe poi quello della città ospitante. In concreto un “open day” per lealisti e dissidenti del movimento grillino, amministratori, parlamentari e ovviamente i cittadini. Lo organizza il sindaco  Federico Pizzarotti, che da mesi cammina sul filo dell’espulsione dal m5s. Tema dell’incontro: spiegare ai grillini in arrivo da tutta Italia cosa significhi stare al governo. Concetto che Pizzarotti aveva già chiarito a Beppe Grillo su Facebook: «Quando da cittadini ci si fa Stato, si comprende la differenza tra ciò che si può fare e quello che si vorrebbe fare». Promesse elettorali contro atti di governo: una differenza che Parma conosce.

La città è infatti la stessa che nella primavera del 2012 si è alzata al solito tardi, tóla su dolsa si dice qui, non prendertela, e guardandosi allo specchio ha visto un corpo in ritardo per la prova costume. Come darle torto dopo un anno di mazzate ai tributi inferte dal commissario arrivato in seguito all’arresto del sindaco civico/PdL Pietro Vignali. Come non compatirla per l’imbarazzante mostra di mutande: 840 milioni di debiti, 32 società partecipate di cui otto in liquidazione o in concordato, opere inaugurate più volte e mai concluse, vigili che massacrano un ragazzo con l’unico brutto vizio di esser “negro”, lo slogan “Parma un modo di vivere” da specchio delle mie brame a mostruosa fiera delle vanità.

Così, grottescamente, ha scelto un amante che le spianasse la ruga interiore, così, nell’urna, ha scritto un messaggio d’amore a Federico Pizzarotti. Poteva puntare sul barboso marito Vincenzo Bernazzoli, presidente Pd della Provincia che come slogan si era scelto “Il nuovo sindaco di Parma”, quasi una didascalia. Ma ha scelto il 39enne senza slogan con un’unica idea ma chiara: no inceneritore.

Dopo due anni l’inceneritore è acceso e la passione spenta, con buona pace di ogni classifica: da sesta a diciannovesima per qualità della vita, da seconda a decima tra le Smart City, ultimissima la squadra di calcio, calano persino gli immigrati ed è la prima volta in 20 anni. Austerity. Volare basso. Lo specchio s’è rotto, Parma non si piace più.

 

Lo specchio s’è rotto. Ma quando?
Il regista Francesco Barilli, figlio d’arte e allievo di Bertolucci, sta presentando il suo documentario dedicato a Parma e al cinema.

«A tavola, qui, si discuteva di Proust. Oggi di immondizia. E ho mia sorella alle calcagna se butto una cicca sulla strada».

Affameremo l’inceneritore visto che non l’abbiamo potuto spegnere, dicono i 5 Stelle. Ed ecco che chi non butta mozziconi o i volontari che rassettano i parchi sono i nuovi eroi grillini di una città che ha bisogno di mariti in affitto per le faccende quotidiane. Da Proust all’immondizia, che salto.

 

Lo specchio s’è rotto. Ma quando?
Carlo Pioli, ex proprietario del marchio Borsari, è l’ultimo industriale del profumo rimasto in città:

«Nel 2013 non abbiamo neanche festeggiato il Bicentenario verdiano. Poi arrivano quelli di Expò e ti dicono che Parma deve puntare tutto sul cibo. Facciamo un logo col maiale in un campo di grano? Povero Verdi».

A Parma avere un palco o un posto in loggione al Regio è cosa seria, non primeggiare nel Bicentenario una buffonata. Quest’anno poi il Festival Verdi ha toccato il punto più basso della  storia: una sola opera. Finita è la pacchia di Fondazione Parma Capitale della Musica: dal 2003 al 2011 il Regio ha bruciato 94 milioni di euro, con una media di 10,5 milioni l’anno. Il Bicentenario l’ha fatto con due.

 

Lo specchio s’è rotto. Ma quando?
Il commissario Soneri in tivù è Luca Barbareschi ma su carta è un origami di Valerio Varesi, parmigiano. Il suo ultimo romanzo è un’indagine ambientata proprio qui.

«Una città marcita a guardarsi allo specchio pensando d’essere il più bel posto del mondo. Sono anni che ci cantano la gloria dei nostri illustri avi senza progettare un cazzo, coi parmigiani pronti a seguire il primo pifferaio che promette una nuova grandeur per la piccola Parigi! Stronzate!».

Il soggetto mai nominato, perché Soneri è fiction, è Pietro Vignali, che oggi chiede di patteggiare per le accuse di peculato e corruzione. La Procura gli contesta 600mila euro di soldi pubblici spesi in vizi privati. Si è fatto pagare – anche da chi non l’ha votato – la campagna elettorale e il ringraziamento via posta per avere vinto. Un giornalista che con studenti e dozzine di account fake lo lodasse su Facebook. Tre sedi elettorali. La scuderia di Lele Mora che lo accompagnasse a Teatro. Interviste ai giornali. E, colpo da maestro, le comparse tivù che applaudivano i suoi interventi. Erano finti anche gli applausi.

 

Lo specchio s’è rotto. Ma quando?
Paolo Scarpa è presidente de Il Borgo, circolo culturale con un osservatorio economico sulla città.

«Parma è depressa e indossa il cilicio dopo anni di mito del fare. Ne sono responsabili tutti, anche il Pd, che alle ultime elezioni ha giocato una partita tutta autoreferenziale».

Il Pd appunto. Che fa? Ebbene: nel 2002 mandava contro Elvio Ubaldi, sindaco della città cantiere, una reggiana, la senatrice Albertina Soliani. Spacciata. Nel 2007 ha opposto a Vignali un politico venuto dalla provincia, Alfredo Peri. Una voragine, e il perdente è tornato a fare l’assessore in Regione. Nel 2012, dopo gli arresti, c’è pronto Giorgio Pagliari, che aveva più volte denunciato in Consiglio comunale gli sprechi Vignali, ma quand’è ora di afferrare la fascia, il partito candida appunto Bernazzoli, disastro. Lui ha abbandonato la battaglia, Pagliari ha il suo bel seggio in Senato. E un candidato sindaco per il 2017 non c’è.

 

Lo specchio s’è rotto. Ma quando?
Giancarlo Ilari è un attore, nome storico del Festival del Teatro Universitario che dal ’54 al ‘75 ha portato a Parma la meglio gioventù d’Europa. Oggi di anni ne ha 87.

«Ogni volta che vedo il Ponte Nord mi dico che sono stato un folle a permettere che fosse costruito».

Il Ponte Nord, 25 milioni per una struttura tipo Ponte Vecchio di Firenze, ma nella più livida delle periferie e senz’Arno, strada a quattro corsie e negozi. Oggi spalanca una bocca vuota. I grillini volevano abbatterlo, se lo sono dovuti bere: come ha detto l’assessore all’Urbanistica “un’opera fatta con fondi pubblici non si può lasciare andare in rovina”.

 

Lo specchio s’è rotto. Ma quando?
Il segretario Flai-Cgil di Parma Luca Ferrari sembra un falegname a forza di aprire tavoli di crisi con le imprese.

«Le seconde e terze generazioni d’industriali hanno demolito molto del business agroalimentare. Ma lo shock che ha risvegliato Parma dalla grandeur è Parmalat: un’impresa mondiale crollata in due giorni».

 Calisto Tanzi, dunque. Monastico, silenziosa pantofola che entrava fra inchini di tonache in Curia in grazia delle generose donazioni, premio Sant’Ilario, presidente dell’Ordine Costantiniano, laurea honoris causa in Economia, con il rettore che di sotto al suo ermellino scandiva “il merito di aver contribuito, con impegno e rigore etico, a innovare e rendere migliore il suo settore”. Il resto è storia.Nel frattempo sono passati i francesi a far due spese: Parmalat, ma anche Acqua di Parma, Cariparma. Banca Monte Parma, nata Mons Pietatis Almae Civitatis Parmae, l’anima l’ha venduta a Torino, Violetta di Parma è passata ad Hut International.

Di quei big aziendali un po’ Disney un po’ Rai Fiction restano Barilla e Chiesi farmaceutici, Mutti e lo zar del mattone Pizzarotti. Viceversa, la Parmacotto di Marco Rosi doveva fare a fette l’America e oggi rischia il fallimento. L’Unione Parmense Industriali non è più quella di una volta, quando decideva per alzata di mano il futuro sindaco. Nel 2008 tra città e provincia si contavano 48mila imprese, la crisi ne ha uccise 1227. A voler essere ottimisti, il 2014 segna produzione e fatturati in crescita grazie all’export alimentare. Ma il Prosciutto di Parma produce 700 mila cosce in meno l’anno, il Culatello di Zibello 48mila pezzi contro i 78mila del 2011. E così l’agroalimentare – 7,6 miliardi di euro e 15mila posti di lavoro – patisce la fame.

L’estero mangia aziende e prodotti locali, Parma s’è ridotta a mangiar leggero, raccogliere cicche per strada, soffrire di sindrome del volare basso dopo anni da aquila reale. Ridotta a sentire la nostalgia dei cassonetti, uccisi con tanto di funerale in piazza.

 


Foto in alto, Ponte Europa a Parma, di Renata Testa (CC)

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CAT: Enti locali

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