Perché dare servizi è quasi sempre meglio che dare soldi

12 Agosto 2018

Sempre più spesso si parla dei Comuni come l’Istituzione più vicina ai cittadini e in grado di rispondere alle loro problematiche, ma la sensazione negli ultimi anni è che i servizi non riescano più a rispondere alla diversificazione e alla crescita dei bisogni. La crisi ha lasciato segni profondi e prodotto processi di impoverimento che hanno toccato la carne delle nostre comunità portando i cittadini ad attribuire una serie di inefficienze ai flussi migratori e all’assistenza verso gli stranieri.

Per comprendere le reali ragioni del nostro welfare locale crediamo sia necessario presentare brevemente la dinamica della spesa sociale e le scelte che la politica mette in atto nei processi di sussidiarietà verticale.

Del resto, se è vero che per alcuni anni c’è stata una flessione degli investimenti, è altrettanto reale che dal 2014 assistiamo ad un aumento dell’investimento nei servizi sociali locali. Nell’arco dei due anni rileviamo un aumento dell’1%, tale dato indica che i Comuni stanno investendo in welfare, fosse anche solo per mantenere i servizi in essere.

Contemporaneamente negli ultimi 20 anni rileviamo un’enfasi verso la sussidiarietà verticale – dove la delega agli enti più vicini ai cittadini è sembrata un mantra da ripetere all’infinito – e la promozione di un’azione federalista che vedesse nel decentramento un elemento di qualità.

Il punto è domandarsi come vengono pagati i servizi territoriali. Semplificando la risposta è la seguente: risorse proprie dei Comuni (60,5%) e delle associazioni di Comuni (7,1%), fondo indistinto per le politiche sociali (9,2%), fondi regionali vincolati per le politiche sociali (14,8%), fondi vincolati statali o dell’Unione europea (4,5%), altri Enti pubblici (2,5%) e risorse dei privati (1,4%). (Per un approfondimento qui)

Settimana scorsa, durante l’assestamento di bilancio di Regione Lombardia, la maggioranza ha rigettato un emendamento che prevedeva un aumento del Fondo Regionale Politiche Sociali e che avrebbe allineato le risorse al livello dell’anno precedente.

In Regione Lombardia, culla della sussidiarietà orizzontale e delle politiche federali, ci si aspetterebbero interventi differenti. Invece no. Assistiamo a continui tagli del Fondo Regionale delle Politiche Sociali (vedi grafico) a fronte di una serie di misure di erogazione dirette ai cittadini (voucher di diversa natura).

L’indicazione appare chiara, ancora una volta si predilige un’azione di carattere erogativo anziché il mantenimento della rete dei servizi sociali, per capirci: asili nido, servizi domiciliari per anziani, interventi a favore dei minori, ecc. Quei servizi che producono risposte concrete per le famiglie, i minori, gli anziani. Quei servizi che partecipano alla trasformazione del territorio in comunità.

Tale decisioni, ancora una volta, porta ad un lenta ma continua asfissia della rete di servizi. Mette in difficoltà i comuni che sono obbligati ad una serie di scelte difficili. Porta a rispondere in maniera alternata ai cittadini generando così distanza e incomprensioni.

Gli effetti che ricadono sui territori, anche in questo caso semplificando, sono principalmente tre e colpiscono target differenti.

La prima, che spesso ha un impatto meno evidente, è quella di creare liste di attesa nei servizi non obbligatori. Questo intervento tocca pochi cittadini e spesso non collegati tra di loro (ad esempio, pasti per gli anziani, alcuni servizi domiciliari, ecc). In alcune situazioni i cittadini ormai decidono di non fare neanche più richiesta del servizio, perché sanno (o pensano) che non gli verrà fornito.

La seconda, invece, obbliga ad un aumento della compartecipazione della spesa da parte dei cittadini. La decisione spesso cade sui servizi a domanda individuale e investe gruppi specifici di cittadini (ad esempio, le famiglie che hanno i figli in età scolare e devono affrontare i costi della mensa oppure i neo-genitori che si trovano a sostenere la spesa degli asili nido).

L’ultima opzione, quella più traumatica, porta alla chiusura dei servizi. Il più delle volte ne sono vittime i servizi di carattere promozionale e che si pensa possano avere un impatto minore in termini di consenso (es. Centri di Aggregazione Giovanili, Spazi per la famiglia, ecc).

Tutte le decisioni descritte producono, da un lato, un allontanamento dell’Ente locale dai cittadini, dall’altro, invece ad una riduzione degli interventi di welfare locale. Anni di politiche di questo tipo stanno portando ad un lento smantellamento dello stesso e ad una destrutturazione del sistema dei servizi territoriali che si devono sempre più barcamenare in mezzo a mille difficoltà. Il processo descritto annulla la possibilità di mettere in atto programmi sociali in grado di incidere sulle disuguaglianze.

Non sempre, insomma, dare risorse economiche direttamente ai cittadini è il miglior intervento possibile.

Perché WelfareForDummies: 70 anni di Welfare State (unico caso nella Storia umana) hanno prodotto un’Europa con livelli di tutele, salute e longevità con pochi eguali nel mondo, e, allo stesso tempo, con forti disuguaglianze geografiche, generazionali e sempre meno propensa a condividere le conquiste raggiunte con altri. Questa rubrica, dal titolo volontariamente provocatorio, nasce dalla convinzione che oggi, senza una diffusa reale e consapevolezza su come funzioni il welfare, da inclusivo esso rischi di diventare uno strumento di esclusione e disuguaglianza e i diritti diventino privilegi. Si tratta di temi complessi che qui non si vuole banalizzare, ma rendere più comprensibili. In fondo, rispetto al welfare rischiamo tutti di fare la figura degli stupidi.

 

TAG: welfare
CAT: Enti locali, P.A.

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