America
Il Codice Leone: “Essere contro l’aborto e a favore della pena di morte non è essere pro Vita”
Papa Leone XIV non è un Pontefice che ama i riflettori. La sua cifra è la sobrietà, quasi il silenzio, una presenza che si manifesta più nei gesti che nelle parole. Eppure, quando ha deciso di parlare direttamente con i giornalisti – un fatto già di per sé raro e inedito – lo ha fatto con una chiarezza e una fermezza che hanno segnato un punto di svolta. Le sue parole, pronunciate a commento della decisione del cardinale Blase Cupich di onorare il senatore Dick Durbin, noto per le sue posizioni favorevoli al diritto di aborto, hanno suscitato stupore e dibattito. Non tanto perché il Papa abbia preso posizione su un singolo caso, quanto per il modo in cui ha ridefinito il quadro complessivo: l’essere davvero “pro-vita”.
“Penso che sia molto importante considerare il lavoro complessivo svolto da questo senatore durante, se non sbaglio, 40 anni di servizio al Senato degli Stati Uniti”, ha affermato Leone XIV. Non una difesa acritica, dunque, ma un invito a guardare al quadro generale, all’insieme delle scelte e dei contributi, piuttosto che a una singola posizione politica. È qui che emerge quello che molti osservatori hanno iniziato a chiamare il “Codice Leone”: un approccio capace di superare le etichette facili, di rifiutare lo scontro ideologico, e di rimettere al centro la coerenza evangelica come criterio di discernimento.
Il Papa ha poi aggiunto, con parole che non hanno lasciato indifferenti: “Chi dice di essere contrario all’aborto ma favorevole alla pena di morte non è realmente pro-vita. Allo stesso modo, qualcuno che dice di essere contrario all’aborto ma d’accordo con il trattamento disumano riservato agli immigrati che si trovano negli Stati Uniti, non so se sia pro-vita.”
Qui il Papa ha colpito al cuore una contraddizione che da decenni attraversa non solo la politica americana, ma anche il dibattito cattolico internazionale: si può davvero ridurre il “pro-life” alla sola questione dell’aborto? O, al contrario, non è proprio la frammentazione selettiva di queste battaglie a svuotare di senso la testimonianza cristiana?
Il messaggio è chiaro: il Vangelo non ammette una geometria variabile della dignità umana. La vita va difesa sempre, in ogni fase e in ogni condizione, dalla nascita alla morte naturale, nella libertà e nella migrazione, nella malattia e nella povertà.
Non sorprende che questo discorso sia emerso negli Stati Uniti, un Paese segnato da polarizzazioni feroci. Da una parte, settori cattolici che concentrano l’intera battaglia pubblica sulla lotta contro l’aborto. Dall’altra, una cultura politica che spesso relega le questioni sociali – pena di morte, giustizia razziale, politiche migratorie – a un piano secondario, come se non avessero un legame intrinseco con l’etica della vita.
In questo quadro, la scelta del cardinale Cupich di rendere omaggio a un senatore come Durbin non è priva di tensioni. Ma Papa Leone XIV ha invitato a leggerla in una chiave diversa: non come un cedimento, ma come un riconoscimento della complessità. Non basta fissarsi su una singola ferita per ignorare tutte le altre.
E qui sta la sua forza comunicativa: pur essendo un Papa che parla poco, quando apre bocca obbliga a ripensare gli schemi, a smascherare le ipocrisie, a chiedersi se la coerenza evangelica sia davvero rispettata o se ci si stia limitando a un uso politico della fede.
C’è poi un’altra dimensione che merita attenzione. Leone XIV non si è limitato a richiamare i principi; ha insistito sul metodo. “Chiederei innanzitutto che ci fosse un maggiore rispetto reciproco e che cercassimo insieme, sia come esseri umani, sia come cittadini americani o cittadini dello Stato dell’Illinois, sia come cattolici, di dire che dobbiamo davvero esaminare attentamente tutte queste questioni etiche e trovare la strada da seguire come Chiesa.”
Parole semplici, ma potenti: non si tratta solo di avere ragione, ma di riconoscere la dignità dell’altro anche quando non la pensa come noi. In un tempo in cui il dibattito pubblico si trasforma sempre più in arena, dove vince chi grida di più e non chi argomenta meglio, un Papa che ricorda la necessità del rispetto reciproco offre non una via di fuga, ma una via di salvezza civile ed ecclesiale.
È in questo appello alla responsabilità condivisa che il “Codice Leone” trova la sua cifra: il cristianesimo non come bandiera da sventolare contro l’avversario, ma come lente che obbliga a guardare più a fondo, a comprendere prima di giudicare, a cercare la verità con umiltà.
Al tempo stesso, il Papa non ha lasciato dubbi sulla posizione della Chiesa: “L’insegnamento della Chiesa su ciascuna di queste questioni è molto chiaro.” Nessun relativismo, dunque, ma la consapevolezza che tradurre l’insegnamento in scelte politiche, in rapporti sociali, in discernimenti concreti, comporta inevitabilmente delle tensioni.
Il “Codice Leone” non è una nuova dottrina, ma un nuovo stile. Non dice cose inedite sul piano dei principi, ma costringe a tenerli insieme senza semplificazioni ideologiche. In questo senso, ricorda il magistero dei predecessori, ma con un accento particolare: la coerenza come criterio per smascherare gli schieramenti parziali.
Forse il dettaglio più sorprendente di tutto questo episodio non sono nemmeno le parole in sé, ma il fatto che Leone XIV le abbia pronunciate davanti ai giornalisti, rompendo una prassi di riservatezza estrema. Per un Papa descritto come schivo, quasi allergico alle telecamere, il gesto assume un valore simbolico: quando la posta in gioco è alta, non si può restare in silenzio.
E così il Papa che “parla poco” dimostra che, proprio perché le sue parole sono rare, hanno un peso specifico enorme. Non parlano all’oggi soltanto, ma tracciano un sentiero per il domani: quello di una Chiesa meno schiacciata sugli slogan, più capace di pensare e di integrare, di difendere la vita intera e non a compartimenti stagni.
Il “Codice Leone” non è ancora diventato un’espressione che circola tra i vaticanisti e gli osservatori internazionali. È il codice di un Papa che non concede nulla alla semplificazione, che invita a guardare la complessità senza paura, che ricorda che la vita è sacra sempre e comunque. In tempi di polarizzazioni, è un messaggio che può risultare scomodo, ma proprio per questo necessario.
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