ONU

Geopolitica

Apocalypse Now. Chi ha paura di Francesca Albanese?

Mentre il calendario segna l’ottantesimo anniversario della Carta dell’ONU, ovunque i signori del mondo, della guerra e ultimamente anche della pace, fanno a gara a delegittimare l’ONU, a sabotare le sue agenzie e a zittire le sue voci più libere

31 Ottobre 2025

Un’apocalisse, un tempo di rivelazione della verità che sta oltre la percezione ordinaria: questo è il tempo presente. Ecco il cuore del discorso che Francesca Albanese ha tenuto dalla prestigiosa cattedra della  23ª Nelson Mandela Lecture, a Johannesburg  sabato 25 ottobre, di fronte a migliaia di persone – e ai milioni che l’hanno seguita o la seguiranno in rete. Ecco, in una sola formula, l’indicazione di un “oltre” verso cui guardare per dare un senso alla “percezione ordinaria” di ciò che avviene. Mentre il calendario segna l’ottantesimo anniversario della Carta dell’ONU, ovunque i signori del mondo, della guerra e ultimamente anche della pace (o meglio i custodi del macello ancora attivo che chiamano pace, in Palestina), fanno a gara a delegittimare l’ONU, a sabotare le sue agenzie e a zittire le sue voci più libere. E decine di convegni, articoli, discorsi di compleanno per l’ONU  sono litanie sulla sua morte, sul tramonto dell’ideale di una legalità internazionale che vincoli i Leviatani, sull’illusione dei pacifisti, quando non addirittura trombonate sul nemico che preme ai confini d’Europa ed elogi della corsa delle sovranità nazionali piccole e grandi al riarmo, a partire dall’educazione militare nelle scuole. Questo, senza dubbio, è il dato della “percezione ordinaria”. Ma “oltre”, allora, qual è la verità da vedere?

“Volevamo salvare la Palestina, la Palestina ha salvato noi”. Dalla cecità della mente e del cuore.  Ha squarciato il velo dell’ignoranza colpevole – non solo sul tardivo e tragico progetto coloniale cui si è avvinghiato il sionismo, con la sua Nakba a varia intensità che perdura dal ’48 e riesplode negli ultimi due anni di genocidio a Gaza e di intensificazione mai vista prima della pulizia etnica in Cisgiordania e a Gerusalemme. Ma sulla complicità attiva degli Usa e della maggioranza degli stati europei in questi crimini, e soprattutto sulle profondissime radici di questa complicità: tutto quello che la nostra tradizione umanistica  e l’educazione scolastica hanno rimosso su cinque secoli di rapina dei continenti, sui genocidi sui quali si è fondata, coprendosi gli occhi, la civiltà “occidentale” moderna. Il genocidio di Gaza, questo “gene dormiente di ogni società di apartheid”, ci obbliga a prendere coscienza del sistema globale in cui e di cui tutti noi viviamo, di questa orrida realtà, dove la decolonizzazione ha lasciato intatte o immensamente potenziato le strutture economiche della spoliazione, mentre, dimentica delle grandi Carte cui si era inchinata, la politica dell’impero d’occidente ha gradualmente svuotato dall’interno le istituzioni e costituzioni globali che pure dalle tragedie del Novecento erano nate.

Quelle istituzioni in forza delle quali ancora può levarsi alta sul mondo la voce della Relatrice speciale – che, pesantemente sanzionata dagli Stati Uniti, proprio dalla terra di Nelson Mandela anticipa al mondo il suo ultimo rapporto, già disponibile in rete: Il genocidio di Gaza: un crimine collettivo. Dove il primo strato del vero reso visibile viene analiticamente articolato. “Il mondo si trova ora  in bilico su un filo di lama fra il collasso della legalità internazionale e la speranza di un rinnovamento…. possibile soltanto se la nostra complicità viene affrontata, le responsabilità individuate, la giustizia assicurata”. Ma c’è un secondo strato di realtà a sostenere il primo, ed è quello di cui parlava il penultimo rapporto: Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio – questo rapporto-inchiesta sulle aziende che – anche dall’Italia – fanno girare gli ingranaggi materiali dello sterminio.

E infine c’è un terzo strato del vero, dal quale oggi dovrebbe ripartire la riflessione sull’ONU e sul sospiro dei millenni – altro che modernità occidentale – che fin dalle pagine del profeta Isaia invoca un “Giudice fra le nazioni – arbitro fra molti popoli”. Il sacrificio della Palestina ha “rimodellato le coscienze” – soprattutto quelle nascenti, sull’intero pianeta. “Eppure qualcosa sta nascendo. E’ come il dolore di un parto, di tutti noi”. Questa frase Albanese l’ha ripetuta spesso, in occasioni meno ufficiali e solenni – ma il suo spirito era anche lì, a Johannesburg. 

Un’ipotesi: è esattamente questo spirito che provoca all’odio i politici e i loro araldi che fin dal suo primo rapporto – Sulla situazione dei diritti umani in Palestina, nell’ottobre 2022 –  hanno lanciato la loro caccia alla “strega”, formalizzata oggi (29 ottobre) dal rappresentante israeliano all’ONU Danny Danon, e amplificata oltre il grottesco dal rappresentante italiano Maurizio Massari, che chiama “assenza di imparzialità” la passione per la verità, fattuale e normativa, che anima ogni suo scritto. E che fa pendere dalle sue labbra i milioni e milioni di persone, che la legge del più forte ovunque imperante, oggi nel mondo, sta riducendo alla disperazione. Immensa responsabilità, immenso peso: forse schiacciante, a volte. È la normalizzazione dell’atroce e dell’abnorme che da sempre Albanese combatte, a colpi di diritto. Ma a differenza dei suoi predecessori, lei ha reso visibile al mondo l’idea, l’anima stessa del diritto universale. Splendeva nel sorriso con cui ha risposto al delegato di Israele: “se potessi fare incantesimi, li userei per mettere fine ai vostri crimini, e assicurare che i loro responsabili finiscano dietro le sbarre”. 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è anche piattaforma di giornalismo partecipativo

Vuoi collaborare ?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.