Geopolitica

Artico: la partita che coinvolge tutti

La Federazione Russa ha già militarizzato il confine Artico riconosciutogli legalmente, mentre gli Stati Uniti hanno l’obbiettivo di sfruttare zone strategiche come la Groenlandia (per ora) e aggiudicarsi la rotta commerciale Artica

19 Luglio 2025

La guerra ombra per il dominio del Polo Nord.

Lontano dalle telecamere dei telegiornali e dall’opinione pubblica si trova una delle regioni strategicamente più importanti del pianeta: si tratta dell’Artico.

 

Durante quest’ultimo secolo, l’interesse delle grandi potenze e degli stati minori si è rivolto al Polo Nord: ad attirare l’attenzione sono state le sue dimensioni (ben 21 milioni di km²) e con esse le sue grandi risorse; a questo si aggiunge la posizione confinante tra il mare del nord, il continente americano e quello asiatico. 

 

Sono infatti ben otto gli stati che possiedono territori nell’Artico: Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti. Nel 1996, dal comune accordo di questo gruppo di stati, é stato fondato il Consiglio Artico, nato per la tutela della regione a scopo ambientale e civile, ma non a scopo strategico militare.

 

Entriamo più nel dettaglio. 

 

L’Artico possiede risorse strategico-economiche per via della rotta commerciale privilegiata (sempre più eccessibile con le nuove tecnologie), data dal confine con i 3 continenti più avanzati del pianeta.

Riconosciuto con lo status di “acque internazionali” dalla conferenza di Montego Bay del 69′, l’Artico possiede inoltre il maggior numero di risorse minerarie non sfruttate: secondo le statistiche dell’USGS (United States Geological Survey), al Polo Nord risiede il 13% delle riserve mondiali non scoperte di petrolio, il 30% delle riserve non scoperte di gas naturale ed il 20% di liquidi di gas naturale. A tutto questo si aggiunge la presenza di minerali preziosi (oro e argento) e minerali strategici per batterie e tecnologie avanzate (nickel, cobalto, zinco, piombo, rame, uranio e le terre rare groenlandesi).

 

Dal 2022 il Consiglio Artico è congelato, come ci si aspetterebbe viste le temperature. Battute a parte, il clima successivo allo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina acuisce le tensioni già alte in quella zona. La situazione si è intensificata dopo gli interessi di aziende come ExxxonMobil, Shell (Usa, Uk), Gazprom, Rosneft (Russia), e la collaborazione cinese con le imprese russe (la RPC ha attualmente progetti attivi di ricerca energetica nell’artico e investimenti in idrocarburi in Russia).

L’accerchiamento russo da parte dei paesi europei post-22′ ha accelerato la Federazione Russa nel tentativo di acquisire la maggior parte di quelle zone già in atto dal 2001, con la conseguente presa di posizione di tutti gli altri stati con territori artici a fare lo stesso. Un esempio sono le pressioni USA in Groenlandia (nella quale sono già presenti basi statunitensi).

 

La Federazione Russa ha già militarizzato il confine Artico riconosciutogli legalmente, mentre gli Stati Uniti hanno l’obbiettivo di sfruttare zone strategiche come la Groenlandia (per ora) e aggiudicarsi la rotta commerciale Artica, che con lo scioglimento della calotta polare agevola la navigazione di navi di grossa taglia a spese di 8 miliardi di persone.

Si tratta di una contesa di eccezionale gravità per motivi politici, ecologici ed economici, che rischia di infliggere il colpo di grazia ad una comunità internazionale già in crisi e il ritorno di logiche nazionaliste (causa della prima e della seconda guerra mondiale) per il possesso delle risorse. Non solo sarebbe uno scontro diretto tra potenze mondiali, ma non porterebbe nemmeno un vincitore: il vantaggio energetico e strategico che ne deriverebbe sarebbe talmente ampio da rendere l’ipotetico vincitore un bersaglio, che verrebbe rovesciato da coalizioni di paesi rivali orientati ad una redistribuzione paritaria (con una perdita immensa di risorse generali). Dal punto di vista ecologico sarebbe un disastro epocale perché andrebbe ad esaurire le risorse finite di un pianeta nel quale la sopravvivenza umana non è più scontata. Lo scioglimento della calotta polare (aumentato per via delle rinunce alle politiche green delle principali potenze mondiali) aumenterebbe i transiti di navi di grossa taglia in zone precedentemente inaccessibili per via della calotta glaciale. Lo scioglimento dei ghiacci polari distruggerebbe l’ecosistema globale per via del rilascio dello stoccaggio di CO2 contenuto al suo interno.

Infine, sul campo economico, non solo il vincitore monopolizzerebbe il mercato rendendolo inefficente, ma andrebbe ad arricchire in modo spaventoso le industrie private sacrificando, oltre alle meraviglie naturali e le zone abitate dai civili, anche gli investimenti pubblici. Non sarebbero la prima volta: per le stesse ragioni paesi come Libia e Iraq versano in condizioni tutt’oggi caotiche dovute alla lotta occidentale per i combustibili fossili. Sarebbe l’ulteriore asservimento delle democrazie e dello stato al sistema del Capitale e del ruolo delle nazioni a mastino del profitto di pochi a discapito di tutti noi.

 

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