Geopolitica
Cile, un paese sconosciuto
Felipe Portales, sociologo, analizza la vittoria della candidata comunista, Jeannette Jara, e la débacle di Boric alle primarie presidenziali della coalizione di governo e ricapitola il ruolo del centro-sinistra cileno, alfiere delle politiche neoliberali dagli anni ‘90.
Felipe Portales, autore di ‘Chile: una democracia tutelada’, ‘Los mitos de la democracia chilena’, ‘Historias desconocidas de Chile’ commenta l’esito delle primarie presidenziali della coalizione di governo e rievoca l’azione del centro-sinistra cileno quale alfiere del neoliberalismo. Lo ringraziamo per averci inviato questa interessante ricostruzione storica.
Il trionfo comunista nelle primarie presidenziali dei partiti di governo è stato certamente una sorpresa, non solo nel nostro paese, ma ancor più all’estero, dato che in tutto il mondo i partiti comunisti stanno scomparendo dal novero delle forze politiche di rilievo. Questo strano evento potrebbe di per sé incoraggiarci ad acquisire una maggiore conoscenza di noi stessi e della nostra storia e a promuoverle nel mondo. Di sicuro il fatto di essere di fatto un’isola nell’angolo più remoto del pianeta, unito alla particolare abilità delle nostre élites di edulcorare abilmente la nostra realtà – per scopi sia interni che esterni – ci ha reso un paese particolarmente sconosciuto.
Ci presentiamo, insomma, come un paese con una tradizione storica democratica, a differenza della maggior parte dei paesi latino-americani. Ma possiamo farlo perché gli aspetti formali della nostra storia hanno occultato molto bene quelli sostanziali. Inizialmente, dall’indipendenza fino alla guerra civile del 1891, il Cile era strutturato di fatto come una monarchia assoluta non ereditaria, ma dotata di una veste repubblicana, in cui il sistema elettorale era totalmente controllato dal presidente, che di fatto nominava il Congresso, il potere giudiziario e il proprio successore.
In seguito abbiamo avuto una repubblica parlamentare esclusivamente oligarchica, estremamente repressiva nei confronti dell’emergente proletariato delle miniere e dei centri urbani, repressione che nel 1925 si estese ai ceti medi, e fondata su un presidenzialismo autoritario, Questo, oltre a promuovere una politica di industrializzazione attraverso la sostituzione delle importazioni, mantenne una repressione sistematica dei ceti popolari, che culminò, tra il 1948 e il 1958, nella messa al bando del Partito Comunista (PC) e in severe restrizioni al movimento sindacale, oltre al mantenimento dei contadini nella condizione di fatto di schiavi dei latifondisti. E dal 1891 ebbe un sistema elettorale che distorceva radicalmente la volontà popolare mediante la corruzione nei centri urbani e il “trasferimento” degli affittuari dei ceti proprietari nelle campagne. Ciò fu possibile perché erano i partiti a stampare ciascuno le proprie schede elettorali e perché la cultura popolare era ancora assai docile. L’abrogazione di quelle restrizioni legali nel 1958 e l’istituzione di una scheda unica ci permisero, per la prima volta, di avere un sistema effettivamente democratico.
Purtroppo però, nonostante tale sistema abbia prodotto in breve tempo profondi cambiamenti economici e sociali (come la fine del latifondo e la nazionalizzazione del rame), la divisione fratricida tra il centro e la sinistra politica (che nel 1965 avevano ottenuto 138 deputati contro i 9 della destra!), come è universalmente noto, fece sì che grazie al colpo di Stato militare del 1973 la destra rifondasse il nostro paese sulla base di un neoliberismo estremo, che di atto diede a poche decine di grandi gruppi economici un potere illimitato sulla società.
Ma il fatto finora quasi del tutto sconosciuto è che dopo aver sconfitto Pinochet nel plebiscito del 1988 e aver vinto le elezioni presidenziali del 1989, la leadership del centro-sinistra (la “Concertación”) ha guidato la “democrazia” consentita dalla Costituzione imposta dalla dittatura nel 1980 (concordando alcuni cambiamenti con la destra) e ha legittimato, consolidato e approfondito il modello neoliberista prescritto da quest’ultima. A tal fine prima regalò subdolamente alla destra – in piena dittatura, e attraverso una riforma costituzionale concordata con essa nel 1989, che modificò i quorum necessari per approvare le leggi – la futura maggioranza parlamentare, per poter giustificare agli occhi della propria base la mancata realizzazione delle riforme che aveva promesso, ma in cui, senza poterlo confessare, non credeva più! Poi mise in atto l’altrettanto subdolo eccidio della stampa di centro-sinistra – soprattutto con la silente discriminazione a mezzo della pubblicità di Stato – affinché nessuno potesse disilludere la popolazione informandola che quella leadership non era più di centro-sinistra…
Ciò spiega perfettamente perché dopo l’elezione, dal 1990, di sei governi apparentemente di centro-sinistra il modello neoliberista imposto dalla dittatura col suo insieme di istituzioni economiche, sociali e culturali sia stato mantenuto e consolidato. E perché i partiti politici che hanno sostenuto tali governi abbiano potuto continuare a ingannare con successo la società cilena – e il mondo tutto! – rivendicando la continuità col vecchio “centro-sinistra”.
La prova più evidente l’hanno fornita le diverse testimonianze di politici, economisti, imprenditori e intellettuali di destra – cileni e stranieri – apparse su vari media. In particolare circa il governo del “socialista” Ricardo Lagos (2000-2006), che inizialmente incuté loro un certo timore, ma di cui poi si entusiasmarono per la sua radicale svolta a destra. Così, ad esempio, abbiamo le dichiarazioni dell’allora presidente della principale organizzazione dei grandi imprenditori del paese, la Confederación de la Producción y del Comercio, Hernán Somerville, che alla fine del suo mandato disse che Lagos “è amato da tutti i miei imprenditori, sia nell’APEC (Forum di cooperazione economica Asia-Pacifico) che qui (in Cile), perché nutrono davvero una grande ammirazione per il suo superiore livello intellettuale e anche perché ha tratto ampio vantaggio da un paese che tutti percepiscono come un modello” (La Segunda, 14/10/2005).
Ma possiamo citare anche l’economista e dirigente d’azienda César Barros: “Un gruppo di amici imprenditori che chiamavano Don Ricardo “Il Principe” (sia per via di Machiavelli sia perché era il primo cittadino della Repubblica) hanno deciso di chiamarlo d’ora in poi ‘Zar di tutti i cileni’”, perché “li ha convinti di essere il miglior presidente di destra di tutti i tempi” (La Tercera, 11/3/2006). Oppure il politico dell’UDI, Herman Chadwick: “Il presidente Lagos ci ha restituito l’orgoglio di essere cileni” (El Mercurio, 21/3/2006).
E, in termini più generali, quelle dell’imprenditore Fernando Boher: “I governi socialisti (…) hanno solo il nome di socialisti, ma la forma di governo è stata di totale apertura all’economia di mercato e alla globalizzazione, con la firma a trattati di libero scambio con l’Europa, gli Stati Uniti, la Corea, ecc. In questo sono stati spettacolari e non posso dire di non essere d’accordo con loro” (La Segunda, 1/2/2006). Nonché quelle del politologo di destra (RN) Oscar Godoy, che alla domanda se osservasse un certo sconcerto nella destra per “la capacità che ha avuto la Concertación di appropriarsi del modello economico” rispondeva: “Sì. E credo che dovrebbe essere motivo di grande gioia, perché è la soddisfazione che prova un credente quando l’altro si converte. Ecco perché ho tanti amici nella Concertación: ai miei tempi eravamo antagonisti, ma ora li vedo pensare come liberali, impegnati nel progetto di sviluppare una costruzione economica liberale. A me dà molta soddisfazione” (La Nacion, 16/4/2006).
A livello internazionale abbiamo Arnold Harberger, braccio destro di Milton Friedman alla Scuola di Economia dell’Università di Chicago, che nel 2007 ha dichiarato: “L’estate scorsa sono stato in Colombia per partecipare a una conferenza, e subito prima di me ha parlato l’ex presidente Ricardo Lagos. Il suo discorso avrebbe potuto essere pronunciato da un professore di economia del periodo aureo dell’Università di Chicago. È un economista e ha spiegato le cose col nostro stesso linguaggio. Il fatto che i partiti politici di sinistra infine abbiano abbracciato le lezioni della buona scienza economica è una benedizione per il mondo” (El País, Spagna, 14/3/2007). Lo stesso Harberger, durante una visita in Cile nel 2010, ha elogiato senza riserve i successivi governi della Concertación: “Credo che ci sia stata una grande evoluzione della politica economica in Cile durante il periodo del governo militare e, una volta formatosi il team di Patricio Aylwin, Alejandro Foxley e altri, si è seguita la stessa linea (…) e si è andati avanti fino a oggi” (El Mercurio, 19/12/2010).
L’anno scorso, poi, si è aggiunto nientemeno che il presidente argentino di estrema destra Javier Milei, che visitando il nostro paese ha detto: “Per noi il Cile è stato un chiaro esempio di ciò che va fatto per sostenere uno sviluppo economico duraturo. Sia per il suo sano rapporto tra pubblico e privato, sia per la sua politica economica non negoziabile che è andata avanti nonostante i cambiamenti politici nel paese”. E ha aggiunto: “questi valori consentono al Cile di lasciarsi alle spalle i vecchi ritardi e camminare verso un modello di prosperità. Anche noi alla fine siamo cambiati e crediamo in questi valori”… (El Mercurio, 9/8/2024).
Gli anni non passano invano e gli effetti gravi e persistenti che ha avuto l’applicazione del modello neoliberista estremo, in particolare sulla situazione sanitaria e previdenziale della maggior parte della popolazione, spiegano il crescente grado di delusione che colpisce i partiti storici dell’autoproclamato centro-sinistra. Così, il Partito Radicale (PR) e il Partito Democratico Cristiano (PDC), che un tempo erano stati i principali partiti del nostro paese, oggi sono del tutto irrilevanti. A loro volta i partiti della socialdemocrazia odierna – il Partito Socialista (PS) e il Partito per la Democrazia (PPD) – coi recenti risultati delle primarie sono rimasti per la terza volta (dopo il 2013) senza candidato presidenziale e sono stati sconfitti con un ampio margine dalla candidata comunista: 60% contro il 28%. Mentre il candidato del partito del presidente Boric (Frente Amplio) ha ottenuto un risultato disastroso: 123.913 voti, meno del 10%, cioè l’88% in meno di quanto lo stesso Boric aveva ottenuto alle primarie quattro anni fa (1.058.027)!
Tuttavia, nonostante i risultati sorprendenti, per il prossimo futuro non si intravede un’alternativa all’attuale modello economico-sociale. Innanzitutto tutti i sondaggi indicano che la somma dei risultati dei vari candidati di destra continua ad essere nettamente superiore a quella della candidata comunista, Jeannette Jara. Inoltre, più che un trionfo del PC, si è trattato di un grande fallimento dei partiti storici del “centro-sinistra”, la cui candidata ha visto crescere solo del 16% (826.417 voti in più) il risultato delle primarie quattro anni fa, quando, gareggiando col solo candidato del Frente Amplio (Boric), il PC ottenne 692.862 voti. Quegli 826.000 voti rappresentano all’incirca la quota di elettorato del 5% che il PC raccoglie ormai da tempo alle elezioni nazionali. Una percentuale che alle elezioni comunali dello scorso anno gli ha permesso di eleggere solo 3 sindaci su 345: meno dell’1%!
Inoltre il PC ha fatto parte degli ultimi due governi di “centro-sinistra”, aderendo, di fatto, alle loro politiche in continuità col passato. Anche la sua candidata, Jeannette Jara, è stata ministra del Lavoro di Boric e, in tale veste, è stata protagonista di una piccola riforma – discussa per molti anni – del sistema di “previdenza sociale” a capitalizzazione individuale imposto da Pinochet (Administradoras de Fondos de Pensiones, AFP) che, pur eliminandone alcuni degli aspetti più opprimenti, è stata percepita come un consolidamento del sistema nel prossimo futuro. Del resto le proposte della Jara in campagna elettorale non hanno affatto sollevato l’idea di soppiantare l’attuale modello neoliberista: sono semplici politiche di espansione della “domanda interna” di beni e servizi. Inoltre, anche se vincesse e volesse apportare cambiamenti di fondo, dovrebbe comunque dipendere dall’insieme della sua coalizione, cioè dai suoi alleati “di centro-sinistra”…
In ogni caso il fatto che (dopo tanti anni!) la maggioranza della popolazione abbia respinto la gestione neoliberista dei partiti storici della Concertación (PDC, PR, PS e PPD) e del candidato più in continuità con l’attuale governo (quello del Frente Amplio) indicano che la maggioranza della base del centro-sinistra è sempre più delusa e che in definitiva inizierà a cercare un’altra rappresentanza politica, desiderosa di abbandonare un modello economico foriero di grandi disuguaglianze nella distribuzione del reddito e gravi perdite per i settori popolari, soprattutto in termini di sanità e previdenza sociale.
FELIPE PORTALES.
Tradotto dallo spagnolo: Elena Rusca.
Pubblicato sulla Newsletter di PuntoCritico del 29 luglio 2025.
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