Geopolitica

Ecco come l’Europa può fermare la Russia: più riarmo, più diplomazia, più cooperazione internazionale

8 Dicembre 2025

L’Europa deve fare di più per l’Ucraina, democrazia europea che resiste eroica alla barbarie russa. Non che il nostro continente sia inerte: se si consulta il Kiel Institut Ukraine Support Tracker, l’aiuto europeo a Kyïv da gennaio ad agosto 2025 ha sfiorato i 50 miliardi di euro, superando di gran lunga quello statunitense, pari a meno di mezzo miliardo (Washington, in sostanza, ha già voltato le spalle al paese esteuropeo).

Ma non è abbastanza. Bruxelles, Berlino, Parigi, Roma, Madrid, Londra ecc. devono moltiplicare gli sforzi. Perché la lotta dell’Ucraina contro l’aggressore russo è cruciale anche per la sicurezza, la libertà e la prosperità dell’Europa, di fronte all’evidente disimpegno statunitense dal nostro continente e alla crescente pericolosità del tonitruante regime russo. Dunque, che cosa fare? A parere di chi scrive, all’Europa serve un tridente: più riarmo, più diplomazia, più cooperazione internazionale. Un tridente davvero in grado di fermare la Russia.

Ad alcuni la cosa sembrerà un ossimoro. Però l’alta politica si nutre di ossimori. Genera strani compagni di letto. E costringe ad acrobazie spregiudicate. In un periodo storico segnato dalle polarizzazioni pseudo-ideologiche, dal narcisismo e dal pensiero binario, occorre pensare in modo diverso. Estremamente articolato. Rinunciando ad aut aut e boria.

Partiamo dal riarmo. Pensare, come fanno certi irenisti ingenui, che la Russia putiniana, che nel XXI secolo ha già attaccato la Georgia e per ben due volte l’Ucraina, non possa aggredire, fra tre o sei anni, un paese membro della UE (come la Lettonia o l’Estonia) è un gigantesco, incosciente azzardo. Da quasi due decenni il regime putiniano minaccia, denigra e lancia azioni di guerra ibrida contro i paesi baltici, e risale al 2007 (in concomitanza con forti tensioni politiche tra Mosca e Tallinn) un attacco cibernetico – di matrice russa, con estrema probabilità – così intenso da paralizzare l’Estonia.

Considerando che gli Stati Uniti chiedono entro pochi anni una NATO a trazione europea (per quanto riguarda le capacità di difesa convenzionali), e mostrano crescente disinteresse verso la sicurezza europea, è ovvio che il rischio di un attacco russo a un paese baltico non è più vicino allo zero – come già notato dal sottoscritto nel marzo 2024, ben prima di altri analisti. E se un rischio di pioggia del 9% non impedisce (quasi) a nessuno di andare a fare un picnic in una soleggiata domenica d’aprile, non credo che nessuno di noi mangerebbe un budino sapendo che c’è il 4,5% di probabilità che quel dessert possa contenere botulino: sulle cose importanti ciascuno di noi esige il rischio più basso possibile…

Un’Europa ben armata è più credibile e più sicura, meno vulnerabile alle pressioni di potenze neoimperialiste come la Russia, finalmente dotata di quella capacità deterrente che non causa le guerre, ma le scongiura, se scevra da obiettivi neoimperialisti. Ovviamente l’ideale sarebbe una difesa comune, ma al momento non sembra che ci sia una volontà politica in tal senso; e se anche ci fosse (a Parigi, Berlino e Roma) ci vorrebbero comunque anni di negoziazioni per arrivare al dunque. E purtroppo il tempo scarseggia. Del resto è dal 1954, quando la Francia spazzò via la CED, che periodicamente si torna a discutere di creare una difesa comune, e in oltre mezzo secolo ben poco si è fatto.

Ecco perché ha senso che le nazioni europee – a partire da quelle in primissima linea, come l’Estonia e la Polonia – si riarmino in modo massiccio. Riarmo, è bene notare, che in Russia è in corso dall’inizio di questo millennio, e che si è concretizzato in guerre e interventi militari non solo in Eurasia ma in Medio Oriente e Africa (in quest’ultimo caso avvalendosi in primis di forze mercenarie, come Redut e Africa Corps, ex Wagner).

Più riarmo, ma anche più armi per Kyïv, che a dispetto di tutte le difficoltà e della sostanziale assenza di sostegno statunitense, resiste eroicamente (è da mesi che si proclama la caduta di Pokrovsk, ad esempio, e ciò non è ancora accaduto). E se inviare agli ucraini M777, SAMP/T e carri armati ha un costo significativo per gli europei, un’eventuale vittoria russa costerebbe ancora di più (in termini di ulteriori spese di difesa, aiuti ai profughi dall’Ucraina ecc.): sino a 1.633 miliardi tra il 2026 e il 2029, mentre un sostegno militare più robusto agli ucraini si attesterebbe intorno agli 838 miliardi. Per inciso, è degno di nota che in occasione della crisi finanziaria del 2010-2013 la UE arrivò a spendere oltre 2.600 miliardi…

Tuttavia il riarmo non basta. È condizione necessaria ma non sufficiente per il ritorno della pace in Ucraina e di una (relativa) sicurezza nel nostro continente. Urge anche una massiccia offensiva diplomatica. Non tanto nei confronti di Mosca – che da tempo rifiuta ogni confronto con i leader europei, docili primi ministri d’Ungheria e Slovacchia esclusi – quanto di altre grandi e medie potenze, a partire da India, Brasile, Messico, Sudafrica, Vietnam, Kazakistan, Turchia, Nigeria, Algeria, Pakistan, Indonesia, Colombia, Etiopia, Argentina, Marocco, Cile, Bangladesh, Malesia, Azerbaigian, Kenya, Angola, Filippine, Senegal.

Bruxelles e gli E5 (più il Portogallo per i paesi lusofoni, la Spagna per quelli ispanofoni ecc.) dovrebbero coordinarsi in modo stretto e inedito per spingere le potenze nuove ed emergenti a sostenere Kyïv con maggior impegno e su più piani, per cercare di allontanarli da Mosca, o almeno renderli più simpatetici alla causa ucraina e frenare la loro cooperazione con Mosca in alcune aree critiche. In cambio, ovviamente, di contropartite: commerciali, politiche, finanziarie ecc. È chiaro, per esempio, che l’India o la Turchia non volteranno mai le spalle a Mosca: tuttavia qualche concessione potrebbe essere strappata tanto a Modi quanto a Erdoğan, se costoro si trovassero di fronte a un’Europa compatta. Quando un capo di stato o di governo europeo si reca in visita a New Delhi o Ankara, il suo ospite sa che il tempo e la demografia stanno dalla sua parte: basti pensare che il PIL indiano (a PPA) è di gran lunga più alto di quello tedesco, e che già oggi la Turchia ha più abitanti (e assai più giovani) della Germania, e un PIL (sempre a PPA) superiore a Italia e Spagna. L’Europa invece è una bestia diversa, e questo è chiaro ad Ankara, a New Delhi e in altre capitali.

Il cosiddetto Global South non va lasciato a Mosca e Pechino. Ecco perché oltre al riarmo e alla diplomazia serve più cooperazione internazionale. Sostenere democrazie fragili come lo Sri Lanka, l’Armenia, il già citato Bangladesh o lo Zambia, o paesi strategici come la Tunisia e il Kirghizistan (in cambio di riforme e un maggior rispetto dello stato di diritto), contribuirebbe non soltanto a rendere il mondo un posto più giusto e sicuro, ma a isolare Mosca, privandola di voti utili all’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti, e di economie a cui appoggiarsi per eludere le sanzioni (sanzioni che vanno inasprite, a tutti i livelli).

Se l’Europa riuscirà, simultaneamente, in questi tre compiti (più riarmo, più diplomazia, più cooperazione internazionale) allora arriverà presto una nuova riscossa ucraina, e la Russia si rassegnerà a dialogare seriamente con Kyïv e con Bruxelles.

 

 

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