
Geopolitica
Dal gollismo al caos: la lunga ombra di Mélenchon e Bardella
Il pensiero di Miguel de Unamuno, grande filosofo spagnolo, risuona con impressionante attualità:
“Bolscevismo y fascismo son las dos formas – cóncava y convexa – de una misma y sola enfermedad mental colectiva. Exterminar… extirpar… fulminar.”
Il prossimo 8 settembre, la Francia potrebbe trovarsi davanti a un bivio storico. François Bayrou, attuale figura di equilibrio e garante di una fragile stabilità, sarà sottoposto a un pericoloso voto di sfiducia. Un dettaglio che non va sottovalutato: secondo la Costituzione della Quinta Repubblica, non esistono voti di fiducia, ma soltanto voti di sfiducia. Se la mozione dovesse passare, non sarebbe soltanto la fine politica di un uomo, ma l’ennesima scossa tellurica capace di mettere in discussione le fondamenta stesse del sistema istituzionale francese. Alcuni osservatori parlano addirittura di “fine della V Repubblica”, con la prospettiva che si ritorni, in forme nuove e distorte, alla fragilità della IV Repubblica.
Un ritorno al passato che incute timore. La Quarta Repubblica, nata nel 1946 dalle macerie della Seconda guerra mondiale, si rivelò presto un sistema debole e instabile. In appena dodici anni, dal 1946 al 1958, si alternarono ben 22 governi, alcuni dei quali con una durata di pochi mesi. La politica era dominata da tre grandi forze: il Partito Comunista Francese (PCF), la Sezione Francese dell’Internazionale Operaia (SFIO) e il Movimento Repubblicano Popolare (MRP), un partito centrista e moderato. Nessuna di queste riusciva a imporsi come forza maggioritaria. La mancanza di una chiara leadership favorì alleanze fragili, compromessi instabili e un logoramento continuo che impedì alla Francia di affrontare con decisione i grandi problemi del tempo.
La storia insegna: senza un potere esecutivo forte e legittimato, la Francia rischia di tornare prigioniera di un parlamentarismo litigioso e incapace di governare. Il generale De Gaulle, nel 1958, fu chiamato a salvare il Paese proprio da quel caos, dando vita alla Quinta Repubblica, fondata su un presidenzialismo che assicurava stabilità e decisione.
Oggi, però, la Francia sembra ripiombare nella stessa spirale. A minacciarne l’equilibrio non sono soltanto i meccanismi istituzionali, ma soprattutto i protagonisti della scena politica attuale. Da un lato c’è Jean-Luc Mélenchon, tribuno della sinistra radicale, populista e incendiario, le cui proposte economiche e sociali rischiano di trascinare il Paese verso un caos economico e sociale. Il suo programma, per quanto affascinante per ampi settori popolari, poggia su presupposti di spesa pubblica e di conflittualità istituzionale che potrebbero minare le basi stesse della solidità finanziaria francese.
Dall’altro lato, c’è Jordan Bardella, giovane leader dell’estrema destra e delfino designato da Marine Le Pen. Bardella incarna un populismo spinto, alimentato dalla retorica identitaria. Pur evitando di nominare apertamente la teoria della “grande sostituzione” – per ragioni di opportunità politica e perché Marine Le Pen ne ha vietato l’uso diretto – il suo discorso non fa che riproporre in forma allusiva quella stessa narrativa, secondo cui la popolazione francese starebbe venendo progressivamente sostituita da flussi migratori provenienti dall’Africa e dal Maghreb.
Il paradosso è evidente e persino ironico: Bardella, che agita la bandiera dell’identità etnica e culturale, proviene da una famiglia di immigrati italiani e algerini. Suo nonno paterno, Guerino, arrivò da Alvito, nel Lazio, mentre la parte materna della sua famiglia emigrò da Torino negli anni ’60. Ancora più eloquente, la sua ascendenza paterna lo lega a un nonno algerino giunto in Francia come manovale. È dunque il simbolo vivente di quella Francia meticcia che oggi rinnega nei suoi discorsi politici. Una contraddizione che però non ne limita il successo presso una parte dell’elettorato, sempre più attratto da slogan semplici e radicali.
Il quadro complessivo è desolante. Da un lato un populismo di estrema sinistra che propone soluzioni radicali e rischiose, dall’altro un populismo di estrema destra che gioca con il fuoco dell’identità e della paura. In mezzo, un centro sempre più fragile, privo di figure di statura pari a quelle del passato. Dove sono i De Gaulle, i Mitterrand, i leader capaci di immaginare una Francia forte, repubblicana e guida morale d’Europa?
Il pensiero di Miguel de Unamuno, grande filosofo spagnolo, risuona con impressionante attualità:
“Bolscevismo y fascismo son las dos formas – cóncava y convexa – de una misma y sola enfermedad mental colectiva. Exterminar… extirpar… fulminar.”
Il bolscevismo e il fascismo, ovvero gli estremi opposti della politica, sono due facce della stessa malattia: quella che porta le società a distruggere sé stesse. La Francia sembra oggi prigioniera proprio di questo dualismo mortale.
Eppure, l’esito della crisi non riguarda soltanto la Francia. L’intera Europa rischia di subirne le conseguenze. Una Francia instabile significherebbe un’Unione Europea indebolita, incapace di bilanciare una Germania sempre più riarmata e ambiziosa verso est. La storia del XX secolo dovrebbe bastare a metterci in guardia contro simili squilibri. Senza una Francia forte, repubblicana e coesa, l’Europa potrebbe ripiombare in dinamiche pericolose, fatte di competizioni nazionali e riarmo incontrollato.
È dunque urgente che si ricostruiscano non soltanto gli equilibri istituzionali, ma anche quelli politici. Serve una destra repubblicana e una sinistra repubblicana, capaci di rappresentare l’alternanza senza scivolare nell’estremismo. Serve un nuovo compromesso repubblicano, non molto diverso da quello che negli anni ’80 aveva saputo incarnare François Mitterrand, o da quello che lo stesso De Gaulle aveva imposto vent’anni prima. Senza questo, la Francia sarà destinata a oscillare pericolosamente tra due estremi ugualmente distruttivi.
La speranza è che i francesi, ancora una volta, dimostrino di avere la saggezza di non consegnarsi né al populismo di Mélenchon né all’estremismo identitario di Bardella.
La storia della Francia è fatta di rivoluzioni, ma anche di capacità di rigenerarsi. È questo il momento di un nuovo slancio repubblicano, che possa salvare non soltanto Parigi, ma l’intera Europa dal baratro di una nuova instabilità.
La posta in gioco, oggi come ieri, è il destino stesso della Repubblica e dell’intera Europa. Una Europa che ne Bardella ne Mélenchon vogliono.
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