
Geopolitica
Gaza: pace fatta? Ho i miei dubbi
Tutti festeggiano. Si parla di “pace storica” tra Hamas e Israele, si sbandierano accordi, promesse di tregua e aperture diplomatiche. Ma guardando appena sotto la superficie, i conti non tornano.
L’apparente distensione tra Tel Aviv e la Striscia di Gaza arriva in un momento in cui il Medio Oriente è attraversato da tensioni irrisolte e l’Europa è un bersaglio sempre più esposto nella guerra ibrida globale. Difficile credere che Hamas, isolata e indebolita, abbia deciso autonomamente di cambiare rotta.
Il puzzle della “Global Sumud Flotilla”
La chiave per comprendere quanto accade potrebbe trovarsi nel mare. La cosiddetta Global Sumud Flotilla — l’iniziativa internazionale che ha tentato di forzare il blocco su Gaza portando aiuti “umanitari” — è stata letta da Israele come un’operazione sostenuta, direttamente o indirettamente, da Hamas.
Eppure, osservando meglio, emergono elementi che spostano il baricentro dell’analisi: la Flotilla non sembra tanto un atto spontaneo di solidarietà quanto una mossa di un disegno molto più grande.
Perché mai un’organizzazione come Hamas, priva di una struttura diplomatica internazionale, senza reti globali di supporto logistico e con scarsa capacità di coordinamento mediatico, dovrebbe essere in grado di orchestrare un evento di portata mondiale?
Non può.
E allora la domanda si impone: chi c’è davvero dietro?
L’ombra lunga di Mosca, ma non solo…
Non sarebbe la prima volta che Mosca utilizza il Medio Oriente come campo di manovra per i propri interessi strategici.
Negli anni della Guerra Fredda, i servizi sovietici sostennero indirettamente l’OLP e altre organizzazioni palestinesi, mentre Carlos “Lo Sciacallo” faceva da cerniera tra i gruppi armati europei e le cause mediorientali. Oggi, la storia sembra ripetersi con nuovi strumenti: disinformazione, propaganda digitale, manipolazione dei movimenti pacifisti e uso politico delle crisi umanitarie.
Le manifestazioni pro-Gaza esplose in varie capitali europee hanno avuto un effetto destabilizzante: tensioni sociali, divisioni interne, radicalizzazione dell’opinione pubblica.
Un copione perfetto per chi, come il Cremlino, punta (ma non è il solo) a indebolire l’unità europea dall’interno.
È la classica guerra ibrida: nessun carro armato, ma una combinazione di messaggi, crisi mediatiche e operazioni “umanitarie” che diventano strumenti geopolitici.
Turchia, Iran e il gioco delle ombre
In questo scenario, Turchia e Iran recitano un ruolo ambiguo.
Ankara mantiene rapporti solidi con Hamas, ma anche con Mosca e con il generale Haftar in Libia — che a sua volta intrattiene legami con i residui della Wagner. Un triangolo di potere in cui tutto si tiene: energia, migrazioni, guerra per procura e influenza sul Mediterraneo.
Teheran, dal canto suo, è sempre più cauta: il logoramento interno e le pressioni internazionali la spingono a evitare mosse troppo evidenti. E Hamas, privata dei vecchi appoggi, deve adattarsi.
Ecco allora la “pace”: non un gesto di riconciliazione, ma una resa tattica. Una mossa di sopravvivenza politica.
Trump, Kyiv e il nuovo asse del caos
L’apertura dell’amministrazione Trump verso Kyiv — con la promessa di forniture missilistiche e un ritorno simbolico di sostegno — ha costretto Mosca a rivedere le proprie priorità.
Con l’Ucraina che torna al centro del confronto, Putin non può permettersi un secondo fronte mediorientale acceso.
Serve una pausa. E quando Mosca si ritira, anche i suoi “alleati di comodo” devono adeguarsi.
Hamas, priva del paracadute russo e con Teheran in difficoltà, non ha più scelta: trattare.
Ma trattare non è fare pace. È soltanto prendere fiato.
Una pace che odora di inganno
Quando gli equilibri geopolitici cambiano, anche le guerre si fermano. Non per bontà, ma per convenienza.
Questa tregua ha l’odore acre dell’opportunità, non quello della riconciliazione.
È una sospensione tattica, una manovra per guadagnare tempo, per ricompattare file interne, per spostare le attenzioni altrove.
E quando il bluff di Trump sull’Ucraina verrà scoperto — quando sarà chiaro che Washington non ha intenzione di impegnarsi a lungo — Mosca tornerà a giocare la carta del caos.
A quel punto, Hamas tornerà utile. Ancora una volta.
Conclusione: la guerra è solo in pausa
Non è finita. Quella di Gaza non è una pace, è un intermezzo.
Una pausa strategica, decisa non tra Gerusalemme e Gaza, ma tra Washington, Mosca, Ankara e Teheran. Un equilibrio instabile, costruito sul filo del cinismo geopolitico, destinato a rompersi non appena uno degli attori percepirà un vantaggio nel farlo saltare.
La guerra, dunque, non è cessata. È solo in pausa.
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GAZA: PEACE MADE? I HAVE MY DOUBTS
Everyone is celebrating. There is talk of “historic peace” between Hamas and Israel, flaunting agreements, promises of truce and diplomatic openings. But looking just below the surface, the numbers don’t add up.
The apparent détente between Tel Aviv and the Gaza Strip comes at a time when the Middle East is riven by unresolved tensions and Europe is an increasingly exposed target in the global hybrid war. It is hard to believe that Hamas, isolated and weakened, has independently decided to change course.
The puzzle of the “Global Sumud Flotilla”
The key to understanding what is happening may lie in the sea. The so-called Global Sumud Flotilla – the international initiative that attempted to force the blockade on Gaza by bringing “humanitarian” aid – has been read by Israel as an operation supported, directly or indirectly, by Hamas.
Yet a closer look reveals elements that shift the center of gravity of the analysis: the Flotilla seems not so much a spontaneous act of solidarity as a move in a much larger design.
Why would an organization like Hamas, with no international diplomatic structure, no global networks of logistical support, and little capacity for media coordination, be able to orchestrate a global event?
It cannot.
Then the question begs to be asked: who is really behind it?
The long shadow of Moscow, but not only that…
It would not be the first time Moscow has used the Middle East as a field of maneuver for its strategic interests.
During the Cold War years, Soviet services indirectly supported the PLO and other Palestinian organizations, while Carlos “The Jackal” acted as a hinge between European armed groups and Middle Eastern causes. Today, history seems to be repeating itself with new tools: disinformation, digital propaganda, manipulation of peace movements, and political use of humanitarian crises.
The pro-Gaza demonstrations that exploded in various European capitals had a destabilizing effect: social tensions, internal divisions, radicalization of public opinion.
A perfect script for those, like the Kremlin, aiming (but not alone) to weaken European unity from within.
It is classic hybrid warfare: no tanks, but a combination of messages, media crises, and “humanitarian” operations that become geopolitical tools.
Turkey, Iran and the shadow play
In this scenario, Turkey and Iran play an ambiguous role.
Ankara maintains solid relations with Hamas, but also with Moscow and with General Haftar in Libya – who in turn maintains ties with the remnants of Wagner. A power triangle in which everything holds together: energy, migration, proxy warfare and influence over the Mediterranean.
Tehran, for its part, is increasingly cautious: internal attrition and international pressure are pushing it to avoid moves that are too obvious. And Hamas, deprived of old support, must adapt.
Here then is “peace”: not a gesture of reconciliation, but a tactical surrender. A political survival move.
Trump, Kyiv and the new axis of chaos
The Trump administration’s openness toward Kyiv-with the promise of missile supplies and a symbolic return of support-has forced Moscow to reassess its priorities.
With Ukraine returning to the center of confrontation, Putin cannot afford a second heated Middle East front.
A pause is needed. And when Moscow pulls back, its “allies of convenience” must adjust as well.
Hamas, deprived of the Russian parachute and with Tehran in trouble, no longer has a choice: negotiate.
But negotiating is not making peace. It is merely taking a breath.
A peace that smells of deception
When geopolitical balances change, wars also stop. Not out of goodness, but out of convenience.
This truce has the acrid smell of expediency, not the smell of reconciliation.
It is a tactical suspension, a maneuver to buy time, to recompose internal ranks, to shift attentions elsewhere.
And when Trump’s bluff on Ukraine is called – when it becomes clear that Washington has no intention of engaging for long – Moscow will return to play the chaos card.
At that point, Hamas will come in handy. Once again.
Conclusion: the war is only on pause
It is not over. Gaza’s is not a peace, it is an interlude.
A strategic pause, decided not between Jerusalem and Gaza, but between Washington, Moscow, Ankara and Tehran. An unstable balance, built on the edge of geopolitical cynicism, destined to break as soon as one of the actors perceives an advantage in blowing it up.
The war, then, has not ceased. It is only on pause.
Note
- ANSA, “Global Sumud Flotilla: ci seguono droni non identificati” – 22 settembre 2025.
- Sky TG24, “Global Sumud Flotilla, Israele: ‘legami con Hamas’” – 30 settembre 2025.
- Reuters, “Russia reconsiders Middle East involvement amid Ukraine escalation” – ottobre 2025.
- The Guardian, “Turkey’s dual diplomacy: between Hamas and Moscow” – ottobre 2025.
- Al Jazeera, “Hamas announces ceasefire: fragile calm or new strategy?” – ottobre 2025.
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