Geopolitica
Siamo vicini a una soluzione diplomatica per l’Ucraina? Il pragmatismo di Trump e le nuove mosse di Mosca
«Siamo vicini a una soluzione diplomatica per l’Ucraina». Le parole di Kirill Dmitriev, rappresentante personale di Vladimir Putin per la cooperazione economica con l’estero, pronunciate in un’intervista alla CNN, hanno riacceso il dibattito internazionale su un possibile punto di svolta nella guerra che da oltre tre anni insanguina l’Europa orientale. Dmitriev, che si trova negli Stati Uniti per incontri riservati, ha lasciato intendere che un vertice tra Putin e Donald Trump “accadrà presto” e che la Russia “vuole porre fine al conflitto il più rapidamente possibile”.
Una dichiarazione carica di sfumature, più politica che diplomatica, ma che riflette un cambio di tono percepibile da alcune settimane nei circoli del potere russo. L’uomo che gestisce il Fondo sovrano russo non parla mai a caso: i suoi messaggi, anche se avvolti da retorica conciliatoria, servono a testare le reazioni di Washington e a preparare il terreno per possibili negoziati.
Dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, si sono imposte le dinamiche internazionali americane. Quella che chiamo “Dottrina Trump”, fondata su un pragmatismo economico e su una concezione transazionale della politica estera, si è già mostrata in passato capace di risultati inattesi:dalla distensione con la Corea del Nord ( durante il primo mandato) ai nuovi equilibri in Medio Oriente. Il Presidente USA non crede nei grandi schemi ideologici, ma nelle trattative dirette e nei vantaggi reciproci.
Secondo i suoi consiglieri, questa stessa logica potrebbe ora essere applicata all’Ucraina. L’obiettivo sarebbe arrivare a un accordo che garantisca a Mosca una via d’uscita onorevole e agli Stati Uniti un successo diplomatico spendibile sul piano interno, magari in chiave elettorale per le elezioni di medio termine e per il futuro di Vance. Per Trump la sintesi è : «Fare affari», non “fare guerre”: è questa la sintesi brutale ma efficace del suo approccio.
La Russia, dal canto suo, ha tutto l’interesse a rientrare nei circuiti economici occidentali e a ridurre la dipendenza dal suo alleato forzato: la Cina. Le sanzioni occidentali hanno spinto Mosca verso Pechino, ma la relazione è sbilanciata. L’economia russa, basata su energia e materie prime, è diventata un satellite del gigante asiatico, che impone prezzi, condizioni e infrastrutture.
Un riavvicinamento agli Stati Uniti, anche solo parziale, consentirebbe a Putin di recuperare margini di autonomia strategica. È in quest’ottica che va interpretata anche la ripresa del discorso sugli “interessi artici” condivisi. L’idea di un tunnel tra la Russia e l’Alaska – visionaria e simbolica – serve più come segnale politico che come progetto ingegneristico: mostra la volontà di costruire canali diretti con Washington e, al tempo stesso, di escludere Pechino da un’area strategica come l’Artico.
Nel frattempo, sul fronte ucraino la guerra non accenna a fermarsi. Anzi, in questi giorni gli attacchi si sono intensificati. È un paradosso solo apparente: in tutte le guerre, le fasi immediatamente precedenti alle trattative di pace coincidono con un aumento della pressione militare. Ogni metro di territorio conquistato o difeso diventa una moneta di scambio nei negoziati.
L’Ucraina si trova in una situazione estremamente delicata. L’esercito resiste, ma la capacità economica e industriale del Paese è al limite. Le tensioni sociali interne crescono, e senza riforme strutturali – in particolare un processo di federalizzazione che riconosca le diverse identità regionali – Kiev rischia, nei prossimi anni, una crisi interna di natura etnica ed economica.
Sul versante occidentale, la Polonia si muove con pragmatismo e interesse. Varsavia ha già rafforzato la propria presenza economica nella Galizia, la storica regione ucraina di influenza polacca, e osserva da vicino la possibilità di un suo progressivo riavvicinamento a ovest. Non si tratta (ancora) di un progetto di annessione, ma di una realtà economica che prepara il terreno a una nuova geografia politica regionale.
L’Europa, invece, appare ancora una volta spettatrice. Nel Medio Oriente come in Ucraina, l’Unione Europea mostra di non essere riuscita a tradurre la sua forza economica in potere geopolitico. Ragiona, come nel XIX secolo, da potenza morale e normativa, ma incapace di esercitare pressione effettiva sui grandi attori. Bruxelles parla di principi, Washington e Mosca parlano di interessi.
Il risultato è una marginalizzazione crescente. Se gli Stati Uniti troveranno un accordo diretto con la Russia, l’Europa ne subirà le conseguenze senza aver avuto un ruolo reale nella trattativa. E ancora una volta, le sue divisioni interne e la mancanza di una strategia di difesa comune saranno il tallone d’Achille.
Se davvero un incontro Putin–Trump dovesse tenersi, il rischio è che la pace in Ucraina venga costruita più sugli equilibri di potere che sulla giustizia del diritto internazionale. Una “pace dei forti”, basata su un cessate il fuoco lungo la linea del fronte e su garanzie economiche reciproche.
Mosca potrebbe ottenere il riconoscimento di fatto delle aree occupate, Washington potrebbe rivendicare di aver “fermata la guerra” e Trump potrebbe presentarsi come l’uomo che ha riportato l’ordine nel caos globale. Ma una pace imposta, senza un processo inclusivo e una reale garanzia di sicurezza per Kiev, rischia di durare poco.
Il pragmatismo può essere un’arma potente, ma anche un’illusione. Chi guarda solo al vantaggio immediato dimentica che la stabilità si costruisce su basi politiche e sociali solide. La “Dottrina Trump”, così come l’approccio tattico di Putin, può forse congelare il conflitto, ma non risolverlo.
L’Ucraina rimarrà un Paese devastato, da ricostruire e da reintegrare nel sistema internazionale. L’Europa continuerà a interrogarsi sul proprio ruolo, mentre gli Stati Uniti e la Russia testeranno i limiti della loro cooperazione.
Dmitriev parla di ottimismo e di pace vicina. Forse ha ragione, ma la domanda resta aperta: sarà una pace per l’Ucraina, o una tregua per il mondo?
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