©WFP. Sudan

Geopolitica

Sudan. Anatomia di un conflitto rimosso

Crimini di guerra, pulizia etnica e collasso umanitario in un paese dimenticato dalla comunità internazionale.

24 Settembre 2025

Mentre l’attenzione globale si concentra su teatri di guerra più visibili e geopoliticamente strategici, il Sudan sprofonda in una spirale di violenza estrema, ignorata dai media mainstream e dalle cancellerie occidentali. Il più recente rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), pubblicato nel settembre 2025, documenta una realtà agghiacciante: esecuzioni sommarie, bombardamenti indiscriminati, violenze sessuali sistematiche e una crisi umanitaria senza precedenti. Il silenzio che avvolge questo conflitto non è neutro: legittima l’impunità e mette in discussione le fondamenta del sistema internazionale di protezione dei diritti umani.

Una guerra contro i civili

Tra gennaio e giugno 2025, oltre 3.300 civili sono stati uccisi, principalmente nelle regioni del Darfur, del Kordofan e nella capitale Khartoum. La maggior parte delle vittime (circa 2.400) è caduta sotto i colpi degli scontri tra le Forze Armate Sudanesi (FAS) e le Forze di Supporto Rapido (FSR), combattuti in aree densamente popolate. L’uso di artiglieria pesante, droni e raid aerei ha trasformato quartieri urbani e campi profughi in bersagli militari. Solo nell’offensiva di aprile su El Fasher e nei campi di Zamzam e Abou Shouk sono morte oltre 270 persone. A marzo i bombardamenti sul mercato di Tora hanno causato almeno 350 vittime, tra cui tredici membri di una stessa famiglia.

Ma la violenza non si limita ai combattimenti. Il rapporto dell’OHCHR denuncia l’esecuzione extragiudiziale di almeno 990 civili tra febbraio e aprile, spesso come rappresaglia rispetto alla riconquista di territori da parte delle FAS. A Khartoum adolescenti di quattordici anni sono stati uccisi per presunta affiliazione alle FSR. Una video-testimonianza mostra l’esecuzione di trenta uomini in abiti civili ad Al Salha, Omdurman — alcuni sembravano minorenni.

Questi atti non sono eccessi isolati. Si inseriscono in schemi di violenza sistematica che potrebbero configurare crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Il rapporto evidenzia anche l’uso ricorrente della violenza sessuale come arma bellica: stupri, schiavitù sessuale, matrimoni forzati, spesso perpetrati durante attacchi coordinati contro comunità specifiche.

Pulizia etnica e persecuzione comunitaria

L’etnicizzazione del conflitto, già presente nei precedenti cicli di violenza in Darfur, si è intensificata. Discorsi d’odio, storiche disuguaglianze e dinamiche di vendetta alimentano attacchi mirati contro le comunità Zaghawa, Four, Massalit e Tunjur. Queste popolazioni non solo subiscono violenze armate, ma vengono discriminate nell’accesso agli aiuti umanitari, alle cure mediche e alla protezione.

Il rapporto documenta casi di profilazione etnica nelle detenzioni arbitrarie. Civili vengono arrestati in base alla loro appartenenza comunitaria o a sospetti di collaborazione con il nemico. Attivisti, operatori umanitari e giornalisti sono presi di mira. Sette professionisti dei media sono stati uccisi nel primo semestre del 2025, in quella che appare come una strategia deliberata di repressione della voce dissidente.

Una crisi umanitaria senza precedenti

Secondo le Nazioni Unite il Sudan affronta oggi la più grave crisi umanitaria al mondo. Circa 25 milioni di persone soffrono di insicurezza alimentare acuta. Diciannove milioni non hanno accesso all’acqua potabile né a servizi igienico-sanitari. Il colera si diffonde senza controllo. Le infrastrutture civili — ospedali, mercati, fonti d’acqua, convogli umanitari — sono deliberatamente attaccate. Trenta operatori sanitari e umanitari sono stati uccisi in sei mesi, alcuni durante assalti mirati.

L’assistenza internazionale, già insufficiente, è ostacolata da barriere logistiche e politiche. Le strade sono bloccate, i convogli saccheggiati, le autorizzazioni negate. Le sanzioni internazionali, quando esistono, sono inefficaci e mal calibrate. Il Sudan, sull’orlo del collasso, non mobilita né fondi né volontà politica per una risposta coordinata.

Il silenzio come complicità

Volker Türk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, ha dichiarato: «Il conflitto in Sudan è dimenticato e spero che il rapporto del mio ufficio possa far luce su questa situazione disastrosa in cui vengono commessi crimini atroci, compresi crimini di guerra.» Il suo appello a un’azione internazionale urgente è rimasto inascoltato.

Perché questo silenzio? Il Sudan non rientra nei racconti mediatici dominanti. Non si presta alle narrazioni binarie del “tiranno contro il popolo” o della “democrazia contro l’autoritarismo”. Il conflitto è frammentato, gli attori molteplici, le alleanze instabili. Questa complessità, invece di suscitare interesse, scoraggia l’attenzione.

Il paese non rappresenta un interesse strategico immediato per le grandi potenze. Le sue risorse minerarie, la posizione geografica e un passato di interventi fallimentari hanno generato una stanchezza diplomatica. Il Sudan è diventato un “conflitto di troppo”, un teatro di guerra senza pubblico.

Una crisi del sistema internazionale

Questo disinteresse ha conseguenze devastanti. Legittima l’impunità. I responsabili di crimini atroci continuano ad agire indisturbati. Le vittime vengono sepolte senza giustizia. I meccanismi internazionali di accertamento delle responsabilità — tribunali, commissioni d’inchiesta, sanzioni mirate — sono inattivi o inesistenti.

La guerra in Sudan non è solo una tragedia nazionale. Rivela le falle strutturali del sistema internazionale di protezione dei diritti umani. Mostra che, in assenza di volontà politica, i principi di giustizia, dignità e solidarietà restano lettera morta.

Interroga anche il nostro rapporto con l’informazione. Quali morti contano? Quali storie meritano di essere raccontate? Perché alcune sofferenze vengono giudicate meno degne di attenzione?

Il conflitto sudanese è un monito. Ricorda che l’indifferenza non è mai neutra. È una forma di complicità. Permette alla violenza di perpetuarsi. Condanna le vittime all’oblio.

Il Sudan sanguina nel silenzio. E il mondo, distratto da altri eventi, sceglie di non ascoltare.

Pubblicato sulla Newsletter di PuntoCritico del 23 settembre 2025.

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