Geopolitica
Una CIA per l’Europa? Solo la Romania può guidarla
Con molto interesse ho letto l’articolo del caro amico George Milosan, con il quale condivido non solo una sincera amicizia ma anche la passione per la geopolitica. Nel suo ultimo lavoro, pubblicato in Romania e dal titolo eloquente “Servizi europei di controspionaggio, unitevi!”, Milosn affronta un tema tanto urgente quanto trascurato: la frammentazione dei servizi d’intelligence europei di fronte alla crescente aggressività russa.
Egli conclude con una riflessione che colpisce:
“Il caso Mostrello-Harmony è solo una goccia nell’oceano delle azioni dei servizi russi – in questo caso il GRU – in Occidente. È vero, si è scoperto, ma il rapporto proveniva da oltreoceano, dalla CIA. Al di là delle sanzioni del 19° pacchetto, sorge un’altra domanda: cosa stanno facendo i servizi europei? ‘Unione’ significa anche la loro unione o restano separati?”
Secondo quanto riportato da Politico, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen avrebbe chiesto all’ex presidente finlandese Sauli Niinistö di esplorare la creazione di una agenzia europea di intelligence, modellata sulla CIA americana. L’obiettivo sarebbe quello di coordinare le capacità di controspionaggio dell’Unione e di proteggere le infrastrutture critiche da minacce esterne e sabotaggi. Un progetto ambizioso, necessario, ma che solleva interrogativi di fondo: è davvero la Finlandia il Paese più adatto a guidare questo processo?
Non possiamo dimenticare quanto la Finlandia sia sempre stata, per posizione e storia, un Paese di frontiera. Nella Seconda guerra mondiale, Helsinki si alleò alla Germania nazista nella cosiddetta “guerra di continuazione” (1941–1944), mossa dal desiderio di recuperare i territori perduti nella guerra d’inverno. Ma l’alleanza con Berlino poggiava su basi fragili: il generale Carl Gustaf Emil Mannerheim, comandante delle truppe finlandesi, si rifiutò di partecipare all’assedio di Leningrado, mostrando riluttanza a spingersi oltre i limiti della difesa nazionale.
La storia ci insegna che la Finlandia ha sempre agito con pragmatismo, cercando di sopravvivere tra potenze più grandi. Tuttavia, questa posizione di equilibrio, spesso forzato, la rende troppo esposta geograficamente e strategicamente per assumere il ruolo di “regista” dell’intelligence europea. E, permettetemi di dirlo senza offesa, manca anche del bagaglio culturale e psicologico necessario per comprendere a fondo la mentalità russa.
Nel “grande gioco” dell’intelligence, conoscere il nemico non significa solo sapere cosa fa, ma capire come pensa, anticiparne i movimenti, leggere il suo linguaggio implicito.
E nessuna nazione dell’Europa occidentale, e ancor meno la Finlandia, possiede questa capacità.
A mio avviso, solo una nazione è realmente in grado di guidare un futuro “servizio d’informazione europeo”: la Romania.
I servizi romeni, il SRI (Serviciul Român de Informații) per l’interno e il SIE (Serviciul de Informații Externe) per l’estero, sono eredi della scuola sovietica ma hanno saputo evolversi in chiave moderna e occidentale.
Tra tutti i Paesi dell’Est, soltanto la Romania ha mantenuto una tradizione di intelligence capace di coniugare due dimensioni: la conoscenza profonda del mondo russo e una solida integrazione nel sistema euro-atlantico.
La Bulgaria, storicamente affidabile come “manovalanza” dei servizi sovietici, oggi non ha la stessa struttura autonoma; Ungheria, Cechia, Slovacchia e Polonia furono invece nazioni “ribelli” al modello sovietico, e quindi prive di continuità operativa. Resta la Romania: l’unico Paese dell’Est che comprende la mentalità russa, ma parla il linguaggio dell’Occidente.
Per capire il presente, bisogna ricordare il passato. La Securitate, oggi soppressa, fu in proporzione alla popolazione una delle più grandi e pervasive polizie segrete del blocco orientale. Alla fondazione, nel 1948, contava 4.641 addetti; nel 1951 erano già cinque volte tanto, e nel 1956 oltre 25.000.
Sotto il regime di Nicolae Ceaușescu, impiegava quasi 11.000 agenti e circa mezzo milione di informatori — una rete capillare, silenziosa, invisibile, ma estremamente efficace.
La Securitate non nacque spontaneamente: fu creata con l’aiuto dello SMERŠ, un’unità speciale dell’NKVD sovietico. In Romania, come in altri Paesi occupati dai russi, le vecchie agenzie di intelligence furono sostituite da corpi modellati secondo lo stile di Mosca.
Ma c’è una differenza sostanziale: i romeni seppero adattare il modello sovietico al proprio carattere nazionale, discreto ma acuto, analitico e pragmatico. La loro rete, meno appariscente di quella di altri Paesi del blocco orientale, fu probabilmente la più silenziosa ma anche la più pervasiva, persino in Occidente.
È un argomento che meriterebbe un intero saggio, ma basti dire che la Romania ha mantenuto nel tempo una cultura dell’intelligence unica nel suo genere: una scuola che unisce realismo, intuito e un profondo senso dello Stato.
Oggi la Romania è membro della NATO, rappresenta il baluardo orientale dell’Alleanza Atlantica e mantiene un rapporto di collaborazione stretta con Washington.
Ma ciò che la rende davvero indispensabile è il suo sapere storico e culturale: conosce la Russia, ne comprende i codici, ma appartiene pienamente all’Occidente.
Se l’Europa vuole davvero costruire una propria “CIA europea”, capace di garantire sicurezza, autonomia e visione strategica, non può prescindere da Bucarest.
L’intelligence non si improvvisa: si eredita, si affina, si trasmette.
E la Romania, tra tutte le nazioni d’Europa, è l’unica che possiede questa eredità.
Forse è giunto il momento di riconoscerlo apertamente.
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