Medio Oriente
Aluff Benn a Repubblica: “Gli avversari politici di Netanyahu, in fondo, la pensano come lui”
Aluf Benn, direttore di Haaretz, il più importante quotidiano progressista d’Israele, in un’intervista concessa a Repubblica tratteggia un quadro disilluso della situazione sociopolitica di Israele, dal quale emerge la forza e l’efficacia della propaganda di Netanyahu, da un lato, e l’assenza di vere alternative politiche.
“I sondaggi lo danno ancora in vantaggio, anche dopo otto mesi di guerra. Ha perso consenso, ma gli altri non guadagnano. E oggi potrebbe pure decidere di andare a elezioni anticipate per capitalizzare sondaggi in risalita”. Così Aluf Benn, direttore di Haaretz, sintetizza in un’intervista a Repubblica il paradosso israeliano: Benjamin Netanyahu è criticato, contestato, ritenuto colpevole della catastrofe del 7 ottobre e dell’impasse a Gaza, ma resta saldo al potere. Non per meriti, ma per vuoti. “Netanyahu si mantiene al potere perché non c’è un progetto alternativo. Gli avversari non dicono che cosa vogliono fare dopo”. È un paese inchiodato al suo leader, più per mancanza di futuro che per convinzione. “Bennett Lieberman e Gantz non hanno un’idea di Israele diversa dalla sua, e infatti lo hanno lodato per aver colpito l’Iran”.
Secondo Benn, non è solo un fenomeno politico, ma anche culturale e mediatico. In Israele, la guerra è scomparsa dal racconto quotidiano. “I media israeliani non parlano quasi più della guerra, non ci sono notizie da Gaza”, afferma. Non si tratta solo di censura, ma di assuefazione. Le immagini di distruzione, i numeri delle vittime, le accuse internazionali: tutto ciò che riguarda la devastazione di Gaza è diventato rumore di fondo. Questo silenzio consente al governo di evitare un vero dibattito sul prezzo umano del conflitto.
Eppure Netanyahu continua ad apparire come l’unico in grado di “tenere il volante”. Gantz si è ritirato, Lapid è in ombra, le piazze si riempiono ma non trasformano la rabbia in programma. “È l’unico con un’agenda. Tutti gli altri si limitano a dire: ‘Basta con Bibi’. Ma non è un programma di governo”. Per Benn, l’intera scena politica israeliana è paralizzata. La guerra, paradossalmente, ha rafforzato il bisogno di continuità, anche se guidata da un leader logorato.
Netanyahu, che governa da più di quindici anni ed è stato premier per la prima volta quasi trent’anni fa, è accusato da una parte del paese di voler trascinare Israele in un confronto senza uscita. Ma dall’altra, rappresenta ancora la stabilità, soprattutto economica. “Sotto la sua guida, l’economia israeliana ha avuto un enorme successo, in particolare nei settori high tech, difesa e cybersicurezza e molti gli sono riconoscenti”. Anche sotto le bombe, Tel Aviv continua a trattare con investitori e startup globali.
Nonostante la sua immagine compromessa all’estero, Netanyahu incarna per molti israeliani una certezza. Una certezza priva di alternative, forse prossima alla fine, ma non ancora rimpiazzabile. Ed è proprio in questa assenza di visioni rivali che il premier trova linfa. Come se, in fondo, fosse ancora l’unico a sapere dove Israele dovrebbe andare. Anche se nessuno vuole più seguirlo davvero.
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