
Medio Oriente
I distruttori di Gaza e l’antisemitismo occidentale sono nemici dell’umanità, allo stesso modo
Nel rapido pendolo delle opinioni pubbliche algoritmiche di questo tempo, il giorno della marmotta di ieri azzera quello dell’altroieri, in attesa naturalmente di domani. Così, non si fa neanche in tempo a registrare un cambiamento significativo nei toni e nelle consapevolezze di chi da sempre “sta con Israele”, che le cronache riportano di un aggressione antisemita in un autogrill alle porte di Milano, e con esse il florilegio di commenti quasi confortati di molti “amici di Israele”: vedete cosa succede a dire falsità sugli “immaginari crimini di Israele” a Gaza, chiedono in coro retorici? “Succede che poi qualcuno, armato dalle menzogne dei media che credono alle bugie di Hamas se la prende con la prima kippà che passa per strada”, dicono, fino a preconizzare vicine notti dei Cristalli, nuove deportazioni, nuove leggi razziali anti-ebraiche che sarebbero già pronte per finire sulle Gazzette Ufficiali di mezza Europa. Posa speculare e contraria all’atteggiamento di quanti tra “gli amici dei palestinesi”, invece di discostarsene, rivendicano il nesso: “Certo, gli ebrei non si dissociano in massa dal governo israeliano, ed è ovvio che poi succedano queste cose”. In pochi arrivano a dire che ciò che è ovvio è anche giusto, ma è abbastanza chiaro che a fermarli sia solo un residuale, forse inconscio pudore. Più ampia, tra “gli amici di Gaza”, è poi la cerchia di chi minimizza: non solo il singolo episodio, questo o un altro, ma più in generale l’esistenza e la pericolosa, già attuale e ancor più potenziale, recrudescenza dell’antisemitismo in Europa e in Occidente, scivolando nel giustificazionismo.
Naturalmente, i due fronti si rafforzano a vicenda, e si alimentano di sangue ed energia. Ad ogni “buona notizia” per il proprio fronte – che è poi una cattiva notizia: un aggressione antisemita, un’altra strage a Gaza – alzano il ditino, o lo puntano, per dire: “Ecco, vedete?”. Mi è chiaro, ovviamente, che non tutti quanti prendono parola sono preda di questo cinismo incosapevole. So e conosco che in molte persone sono una sincera umanità e passione per i diritti di tutti a sanguinare, di fronte all’ingiustizia distruttiva subita dal popolo Gazawi, che anche in Israele comincia ad essere chiamata “genocidio”, come negli “altri” ci sono una cosciente e memore preoccupazione per l’antisemitismo in Europa, per le nostre responsabilità storiche e culturali: una barriera anche per non dimenticare che obbrobrio criminale sia stato il 7 Ottobre di Hamas. Il punto e il problema però è proprio questo: i due gruppi di sensibili, parlo dei sinceramente sensibili alle due ragioni, sembrano avere uno spazio di interesezione molto ridotto, sempre di più. Come se il diritto dei Gazawi ad avere una terra, una vita degna, pane e libertà sia alternativo a quello degli ebrei di tutto il mondo a vivere sereni e sicuri. Due diritti universali che prescindono dalle idee professate. E che quindi valgono anche per i palestinesi che in cuor loro vorrebbero vedere la “Palestina libera dal fiume al mare”, e per gli ebrei di qualunque professione politica, perfino quelli che non si dissociano da Netanyahu perchè ne condividono pensiero e azione.
Già, il problema dei veri sensibili dei quali parliamo sta proprio qui, ed è comprensibile: come si può difendere il diritto, come si possono difendere i diritti umani di chi, in fondo, o neanche tanto in fondo, ritiene prevalente il proprio, potenzialmente fino alla distruzione del diritto e magari anche della vita, dell’altro? Non è un problema da poco. Ma si chiamano diritti umani perchè concepiti, sull’onda dell’ottimismo della ragione, perchè fossero di tutti, e uguali per tutti. Perchè questo diventi realtà, serve a ciascuno di riconoscere gli errori e i crimini di quelli che si ritengono “amici”, della propria parte. E condannare e combattere l’antisemitismo con ogni fermezza e durezza, come se la distruzione di Gaza non ci fosse, e condannare Netanyahu e il suo governo, perchè la distruzione di Gaza, purtroppo, tragicamente, c’è e continua: senza sbocchi e senza fine.
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