Medio Oriente

Israele: la radicalizzazione in corso

14 Novembre 2025

Degli insediamenti nell’area della Cisgiordania, cinquantotto anni dopo la “guerra dei sei giorni” e cinquanta dall’inizio vero e proprio dell’avvio consistente del fenomeno, si sa molto in termini di cronaca, poco, invece, in termini di gruppo umano, di storie di vita, di culture.

Una prima volta, nel 1997, fu Renzo Guolo (Terra e redenzione, Guerini e Associati) a fornire una mappa dei percorsi culturali dei coloni («mitnachalim» in ebraico).

Quando la notte dell’assassinio di Rabin qualcuno ha cominciato indagare intorno alla costellazione dell’estremismo religioso ebraico-israeliano, sono corse lungo le agenzie giornalistiche le analisi più inverosimili: dalla figura del pazzo estremista si è passati abbastanza facilmente a una raffigurazione secca in cui sembrava ripresentarsi la vecchia conflittualità tutta ottocentesca tra laici e religiosi, tra moderni e tradizionalisti. Forse come in nessun caso, all’ interno del cosmo politico-culturale israeliano questa classica dicotomia mostra assolutamente i suoi limiti.

Dieci anni dopo, nel 2007, è stato Jacopo Tondelli (Mitra e kippah, Marsilio), all’indomani del ritiro da Gaza nell’estate 2005, a provare a dare un volto a quel mondo intrecciando storie di persone e «scelte di vita» in un tempo ancora incerto in cui stavano prendendo corpo i protagonisti di oggi: i religiosi radicali in Israele, l’ascesa di Hamas all’interno del mondo palestinese.

Poi di nuovo nel 2022 è stato Pietro Frenquellucci (Coloni. Gli uomini  e le donne che stanno cambiando Israele e cambieranno il Medi Oriente, Leg) a darci uno sguardo interno in grado di dirci non solo che realtà rappresentino i “coloni” (mezzo milione di persone), ma chi siano i loro figli o i loro nipoti perché spesso stiamo parlando non più della generazione di chi iniziò il movimento ma già delle generazioni successive.

La ricostruzione proposta da  Ronen Bergman e Mark Mazzetti, nel libro che apre la nuova collana di “Internazionale” (L’impunità dei coloni. Come un movimento estremista ha conquistato Israele,  Internazionale EL) consente di fare un aggiornamento sulle culture politiche e l’egemonia politica nel quadro israeliano trasferendo lo sguardo da Gaza alla Cisgiordania, il vero terreno di conflitto. Un ragionamento non solo volto a interpretare il presente, ma anche a definire una forte ipoteca sugli scenari di futuro, anche oltre il nostro tempo attuale fornendo un profilo radicato nel passato, intorno ai mesi che precedono l’assassinio di Rabin, e poi soprattutto a partire con gli anni “doppiozero” quando prende definitivamente radici l’egemonia politica di Benyamin Netanyahu.

L’impunità a cui allude il titolo è quella di un sistema che giustifica attacchi, vessazioni e violenze e che invece scredita e mette a tacere le voci dei palestinesi che provano a denunciarle.

Percorso non è stato avviato negli ultimi anni. La figura principale su cui Bergman e Mazzetti richiamano l’attenzione è Plia Albeck (1937-2005) capo del Dipartimento dei Territori del ministero della Giustizia, con un ruolo essenziale tra anni ’80 e anni ’90, reinterpretò i registri fondiari ottomani classificando vaste aree come “terre dello Stato”, anche se erano in uso a contadini palestinesi da generazioni. Stabilì che, se la terra non era “coltivata in modo continuo”, si poteva dichiarare “statale” e impiegarla per gli insediamenti. Tra anni gli anni Settanta e Novanta, Albeck firmò centinaia di pareri legali che posero le basi per la colonizzazione israeliana in Cisgiordania. La politica ha incrementato l’infrastruttura legale da lei ideata.

 

Pratica che indica che contribuisce a una trasformazione che rinvia a una domanda è secca ed è diretta: c’è spazio e opportunità per quello che dovrebbe essere lo Stato palestinese? La ricostruzione della mentalità politica dei coloni, la storia di lunga di protezione da parte di quelle forze politiche che oggi esprimono il governo di Israele oltre a darci un quadro storico della situazione, consentono di capire che lo spazio è stretto, molto stretto, Quasi inesistente. Anzi stando ai progetti di Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir che rappresentano politicamente quel mondo, assolutamente inesistente.

Quello scenario, nelle sue linee sostanziali si è venuto definendo negli ultimi venti anni come descrivono sinteticamente, ma con precisione Bergman e Mazzetti con l’aiuto di segmenti dei sevizi, con le parti delle strutture dell’IDF, con un’opinione pubblica che lo ha sostenuto o che vi si è identificata.

È importante ricostruire questo scenario indubbiamente. Una trasformazione, non necessariamente irreversibile ma che individua una linea forte che comunque ha segnato, segna e segnerà il futuro prossimo.

Per contribuire a rovesciarla, si tratta di costruire linguaggi, scenari, procedure di segno opposto volte allo smontaggio della macchina politica e culturale.

Tuttavia, non sarà sufficiente che cambino cose solo dentro Israele.

Anche nel campo palestinese (come parallelamente in questo trentennio è avvenuto nel mondo ebraico-israeliano) in primo piano stanno la riscoperta della identità come religione politica e l’assunzione del territorio come spazio e essenza del sacro. Anche per quella parte vale «terra e redenzione».

E anche per quella parte si tratta di avviare percorsi di smontaggio.

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