
Medio Oriente
L’indifferenza e la complicità della cultura mainstream
Davvero la cultura può prescindere da una catastrofe genocidaria che decreta non solo la morte di un popolo, ma la fine dell’umanesimo letterario?
“Gaza per la prima volta nella sua storia millenaria avrà un altissimo numero di analfabeti: i bambini oggi non stanno imparando a scrivere e leggere. Non sanno che cos’è una lavatrice e una televisione. Non è mai stato così: persino mia nonna sapeva leggere e siamo sempre stati degli esportatori di professori.”
Sono parole di Atef Abu Saif, ex Ministro della Cultura palestinese, che mi hanno molto colpito. E mi viene in mete una madre di Gaza, di cui ho letto tempo fa, senza più casa e rimasta vedova, che viveva ormai stabilmente sotto una tenda con suo figlio. Scriveva ogni giorno sulla sabbia l’alfabeto per insegnarglielo. Il vento lo cancellava e lei lo riscriveva. Quella donna sapeva che anche durante la tragedia in corso della progenie di appartenenza le parole e la scrittura sono importanti, fondamentali per salvaguardare la propria identità. E voleva che il figlio avesse i mezzi universali per potersi esprimere oltre il silenzio ostinato della sofferenza e conoscesse i segni della comunicazione che va oltre il tempo del presente.
Ma a non saper leggere e scrivere sono tanti scrittori, giornalisti, operatori culturali in genere, analfabeti del sentimento, della pietà, della decenza, che di fronte all’orrore di Gaza continuano imperterriti nel loro triste e inutile esercizio di vanagloria, alla ricerca continua di consenso, come se il loro disperato bisogno di autocompiacimento fosse più importante di qualsiasi lacrima versata per il dolore altrui. Si fa fatica, talvolta, a comprendere le persone di cultura, deputate a scrivere e a pensare. Sono tanto più felici quanto più riescono a fare per sé stessi, salvo scoprire che non adoperarsi per gli altri non è proprio cult e non assume un valore simbolico di intellettualità. E allora ecco il pezzo, o il racconto ad hoc, sempre buoni per dimostrarsi sensibili ai problemi dell’ambiente, schierarsi contro il patriarcato e scongiurare la povertà (la propria). Siamo circondati da incapaci, da persone garantite da un sistema che ci condanna all’insofferenza perpetua, a un nervosismo di fondo che non siamo più in grado di gestire. Un sistema di cui non facciamo e non vorremmo far parte, svettante su una montagna di stupidità e presunzione, che desidereremmo con tutto il cuore venisse giù, da far crollare sotto i colpi di una critica energica e attenta, che manca e di cui si avverte, ora più che mai, la necessità. Abbiamo degli scrittori e delle scrittrici semi-deficienti, che vivono una realtà editoriale totalmente avulsa dalla realtà sociale e dal mondo, e giornalisti pagati per mentire e servire padroni ignobili, scrivendo scemenze esemplari neanche degne di ascolto e di lettura. Si continua a fare “letteratura” e “scrittura” come se Gaza non costituisse un ostacolo a tutto ciò che è frivolo e inutile, come se la catastrofe perpetrata in Palestina non esistesse e ne fosse stata già cancellata la memoria. Possono simili autori e autrici propinare forme e contenuti letterari a un pubblico di lettori capace, a quanto pare, di atteggiamenti più responsabili e congetture maggiormente pregnanti rispetto a qualsiasi argomento che riguardi l’esistenza e le cose del mondo? Davvero la cultura può prescindere da una catastrofe genocidaria che decreta non solo la morte di un popolo, ma la fine dell’umanesimo letterario? Una cultura che, in questo momento, non comprenda i valori della pietas e della sympátheia, termine che letteralmente vuol dire “sentire insieme” e che indica, pertanto, quel sentimento di compartecipazione ed empatia che porta alla solidarietà, è una cultura irritante, che si rende urticante fino a risultare insopportabile. E basta con questa gente a cui sono stati affidati compiti e mansioni nell’ambito di una comunicazione culturale che arriva già smunta e priva di qualsiasi spunto vitale ai pochi aficionados del linguaggio fru fru di chi non ha niente, ma proprio niente da dire, se non ripercorrere per l’ennesima volta un passato che giunge come tempo morto, sorpassato, inutilizzabile! Basta davvero con l’ipocrisia degli impostori e le cariatidi della comunicazione! Impariamo tutti l’alfabeto da quella madre palestinese che scriveva le lettere sulla sabbia e preghiamo affinché il vento le disperda per il mondo, rivelando l’amore e la passione per le parole autentiche che contengano una verità da condividere, fosse anche la minima speranza di un dolore da lenire.
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