UE

Italia divisa a Bruxelles sugli asset russi

25 Ottobre 2025

Nel Parlamento europeo la discussione sul futuro degli asset russi congelati è entrata nella fase politicamente più sensibile. Dopo il discorso sullo stato dell’Unione di Ursula von der Leyen, che ha rilanciato l’idea di un “prestito di riparazione” a favore di Kiev garantito dai beni immobilizzati della Banca centrale russa, l’Eurocamera ha dedicato alla proposta un dibattito specifico nella sessione plenaria di ottobre, mentre i capi di Stato e di governo ne hanno discusso al Consiglio europeo del 23-24 ottobre senza però giungere a un accordo.

Secondo i dati ufficiali del Parlamento europeo, dopo l’invasione russa dell’Ucraina sono stati immobilizzati a livello globale circa 260 miliardi di euro di beni della Banca centrale russa, oltre due terzi dei quali – circa 210 miliardi – nell’Unione europea. In base ai tassi di interesse attuali, i proventi generati da tali asset possono arrivare fino a 3 miliardi di euro l’anno. È su questi proventi, e non sulla confisca del capitale, che si fonda l’architettura del prestito allo studio a Bruxelles.

Nel suo intervento a Strasburgo del 10 settembre, von der Leyen ha sintetizzato così la linea della Commissione: «Per questo motivo dobbiamo lavorare con urgenza a una nuova soluzione per finanziare lo sforzo bellico dell’Ucraina sulla base dei beni russi immobilizzati». Una formulazione che separa con cura il concetto di congelamento da quello, molto più controverso sul piano giuridico, di esproprio.

All’interno della delegazione italiana al Parlamento europeo, la proposta di utilizzare i proventi degli asset russi congelati si innesta su un tracciato già visibile da oltre un anno nei voti d’aula sulla guerra in Ucraina. Il primo segnale è arrivato nel luglio 2024, quando il nuovo Parlamento ha approvato una risoluzione che chiede ‘ogni forma necessaria’ di aiuto a Kiev e invita esplicitamente a indirizzare al sostegno militare ucraino le entrate derivanti dalle sanzioni. In quel testo «il Parlamento europeo invita (…) a dirigere le entrate provenienti dai beni russi congelati verso il sostegno dello sforzo bellico ucraino».

Su quella risoluzione la delegazione italiana si è divisa lungo linee che ancora oggi orientano il confronto sul prestito di riparazione. Fratelli d’Italia e Partito democratico hanno votato a favore, rivendicando il sostegno a Kiev e accettando il principio di un impiego, seppur indiretto, dei beni russi congelati. Lega e Movimento 5 Stelle hanno invece scelto il voto contrario, denunciando un’eccessiva escalation militare e contestando l’idea di vincolare stabilmente gli strumenti europei alla dimensione bellica del conflitto.

Un ulteriore passaggio chiave è stato il voto dell’Eurocamera, nell’autunno 2024, sulla nuova assistenza macrofinanziaria all’Ucraina: un prestito fino a 35 miliardi di euro, da rimborsare con le future entrate generate dagli stessi asset russi congelati. In quell’occasione tutti gli eurodeputati italiani hanno sostenuto il pacchetto, con la sola eccezione della Lega che si è astenuta. È un precedente che aiuta a leggere l’attuale dibattito: la maggioranza dei parlamentari italiani non contesta in sé l’uso dei proventi dei beni russi, purché il meccanismo sia ancorato a una base giuridica solida e non si traduca in una confisca diretta.

Questo orientamento è oggi condiviso dai gruppi italiani afferenti al Partito popolare europeo, ai Socialisti e democratici e ai liberali di Renew. Per questi eurodeputati, l’uso degli asset russi immobilizzati rappresenta uno strumento per ribadire che è la Russia a dover pagare per la distruzione in Ucraina, limitando allo stesso tempo il peso sui bilanci nazionali. La condizione, ribadita in più occasioni, è che il prestito non comprometta la stabilità finanziaria dell’area euro e non apra la strada a contenziosi di lungo periodo contro l’Unione.

Su un fronte opposto si colloca la minoranza pacifista e radicale della delegazione italiana, in cui siedono i rappresentanti di Sinistra italiana e una parte dei Verdi. Già nella primavera del 2025, davanti al pacchetto sul riarmo europeo finanzato anche grazie agli asset russi congelati, gli eurodeputati italiani di Left hanno parlato di “follia bellicista”, contestando tanto l’aumento strutturale delle spese militari quanto il ricorso ai beni russi come leva finanziaria. In questa area politica l’obiezione non è solo giuridica, ma anche politica: si teme che l’utilizzo degli asset sia letto da Mosca come una rottura definitiva e renda più difficile, in futuro, la costruzione di un quadro negoziale.

La posizione della Lega, che nel Parlamento europeo rimane un attore numericamente rilevante della delegazione italiana, è più marcatamente prudente sul dossier asset russi. I leghisti contestano il collegamento automatico tra congelamento degli asset e finanziamento dello sforzo bellico ucraino, insistendo sulla necessità di non oltrepassare la soglia – percepita come di esproprio – che potrebbe mettere in discussione l’affidabilità giuridica del sistema finanziario europeo e aprire la strada a ritorsioni. Questa cautela trova eco anche nel dibattito interno al governo italiano e nelle perplessità emerse al Consiglio europeo di ottobre, dove Roma, pur non schierandosi tra i Paesi apertamente contrari, ha condiviso i dubbi di diversi partner sulle implicazioni legali e di mercato del prestito di riparazione.

Diverso, ma non meno articolato, l’atteggiamento del Movimento 5 Stelle. Nel voto del luglio 2024 gli eurodeputati pentastellati hanno motivato il loro “no” alla risoluzione pro-Ucraina denunciando l’assenza di riferimenti a una via negoziale e criticando la scelta di aumentare il sostegno militare “in qualsiasi forma richiesta”. Anche sulla proposta di utilizzare i proventi degli asset russi, la linea che emerge è quella di una netta contrarietà a qualsiasi meccanismo che possa consolidare una logica di guerra di lunga durata finanziata dall’Unione.

Il confronto tra le famiglie politiche italiane si sviluppa però all’interno di un quadro europeo che resta fluido. Il Consiglio europeo di fine ottobre non ha inserito nelle conclusioni un impegno esplicito sugli asset russi, limitandosi a incaricare la Commissione di presentare ‘opzioni’ di sostegno finanziario a Kiev. Nel frattempo, i servizi giuridici delle istituzioni europee stanno affinando la proposta, che secondo una nota inviata agli Stati membri si baserebbe su un’interpretazione del diritto internazionale volta a utilizzare i beni immobilizzati della Banca di Russia senza arrivare alla loro confisca formale.

In questo contesto, alla fine di ottobre 2025, la fotografia della delegazione italiana a Strasburgo è quella di una maggioranza favorevole alla prosecuzione del congelamento degli asset russi e all’utilizzo dei proventi finanziari per sostenere l’Ucraina, ma determinata a circoscrivere l’operazione entro paletti rigidi di legalità e stabilità finanziaria. Una minoranza, distribuita tra destra sovranista, Movimento 5 Stelle e sinistra radicale, contesta invece alla radice l’idea di trasformare i beni russi in una leva strutturale del sostegno a Kiev, temendo che il passo segni un punto di non ritorno nei rapporti tra l’Unione europea e Mosca.

Mentre la Commissione prepara il testo legislativo e i governi nazionali si misurano con le proprie opinioni pubbliche, gli eurodeputati italiani si muovono quindi lungo una linea sottile: da un lato la volontà di non indebolire il messaggio politico che ‘la Russia deve pagare’, dall’altro la consapevolezza che il modo in cui verrà gestito il congelamento – e l’eventuale utilizzo – degli asset russi costituirà un precedente destinato a pesare a lungo sulla credibilità giuridica e politica dell’Unione europea.

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