Settimana delle Residenze Digitali. Intervista a Fabio Masi e Angela Fumarola

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9 Novembre 2021

Tra due settimane si aprirà il festival online Residenze Digitali. Ho intervistato per Gli Stati Generali Fabio Masi e Angela Fumarola, già direttori artistici dell’associazione Armunia che dagli anni ’90 promuove attività teatrali sul territorio della Val di Cecina, e in particolare intorno al Comune di Rosignano Marittimo, è centro di residenze artistiche e organizza il Festival Inequilibrio presso Castello Pasquini a Castiglioncello. A partire dal 2020 è nato questo nuovo esperimento che ruota tutto intorno al digitale.

Come è nata la Settimana delle Residenze Digitali?
A. F. Il progetto Residenze Digitali, realizzato nell’ambito di una media partnership con il progetto delle Residenze Digitali, è nato nel 2020 da un’idea che è partita dal Centro di Residenza della Toscana e costituito da Armunia e da CapoTrave/Kilowatt, che ne sono alla base. Nella fase intermedia della pandemia, in cui non si sapeva cosa sarebbe successo, il Centro di Residenza della Toscana si è quindi fatto promotore e ha ideato un progetto che sostenesse le progettualità artistiche legate ai linguaggi della scena contemporanea ma solo per ambiente digitale. È stato quel blocco lì, nel 2020, che ci ha fatto immaginare delle residenze artistiche pensate per ambiente digitale. A questo progetto promosso da noi hanno aderito successivamente altre strutture come l’Associazione Marchigiana Attività Teatrali AMAT, la Cooperativa Anghiari Dance Hub, ATCL – Circuito Multidisciplinare del Lazio per Spazio Rossellini, il Centro di Residenza dell’ Emilia-Romagna (L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, La Corte Ospitale di Rubiera), la Fondazione Luzzati Teatro della Tosse di Genova e ZONA K di Milano che sono entrati quest’anno. È quindi un progetto nato all’interno di due strutture che si sono confrontate e si è poi esteso a un partenariato molto più ampio.

Pensate che questo tipo progetto sopravvivrà alla fine della pandemia?
F. M. L’idea è quella di continuare. Quest’anno siamo alla seconda edizione. Quindi per noi e per gli altri partner l’idea è di continuare a sperimentare questa formula di residenza, anche perché abbiamo verificato che la platea si è ampliata. Nel senso che questo progetto ha dato la possibilità da un lato a chi si occupa di teatro e danza e lavora già su progetti transdisciplinari di sperimentarsi ulteriormente, dall’altro ha permesso di entrare in contatto con realtà non prettamente inerenti allo spettacolo dal vivo ma che lavorano più sul digitale. Diciamo che avviene una doppia osmosi fra spettacolo dal vivo e digitale, in un verso e nell’altro.
Se nel primo anno c’è stata più una sperimentazione che ha aperto molte porte, in questo secondo anno si sta consolidando questo aspetto di doppio incrocio e l’idea è di andare avanti. È un progetto nato dall’emergenza pandemica ma che non è legato solo all’emergenza: ha aperto possibilità molto interessanti su vari terreni artistici.

Il pubblico che avete coinvolto in questa esperienza legata al digitale è lo stesso che viene dal teatro?
A. F. C’è soprattutto un pubblico che segue le attività delle strutture coinvolte. La comunicazione di questi eventi avviene in digitale. Quindi sicuramente è un tipo di pubblico che ci segue, che segue già le nostre attività attraverso gli strumenti del digitale, i social, il sito. Non escludiamo però che questo progetto abbia interessato un certo target nuovo e diverso. Ci sono dei progetti, come quello di Mara Cassiani, che avvengono su certe piattaforme e hanno una loro identità molto specifica, che hanno già un loro pubblico specifico legato al digitale. Inoltre ci sono progetti che hanno un carattere chiaramente scientifico e che sicuramente hanno un loro pubblico di riferimento che probabilmente al teatro ci arriva marginalmente, ma che condividerà i risultati di questa ricerca – una ricerca che è avvenuta per davvero nel tempo di residenza – e la vivrà attraverso il digitale. Ecco, è una formula totalmente fuori dal comune per conoscere cose nuove e vivere esperienze diverse.

E i progetti che avete scelto, li avreste incontrati lo stesso?
A. F. Sono progetti che per la natura che hanno probabilmente non avremmo mai intercettato attraverso i canonici canali teatrali e della performance dal vivo. Alcuni di questi progetti nascono per intenti diversi da quelli del teatro e hanno utilizzato, proprio per la progettualità legate alle Residenze Digitali, quel tipo di ricerca da un lato fruibile a un pubblico molto più ampio, e dall’altro per sperimentarsi loro stessi in un mondo diverso. Quindi probabilmente dei progetti non li avremmo mai intercettati se non avessimo emesso un bando rivolto esclusivamente all’habitat digitale.

F. M. Una questione centrale è stata proprio quella di evitare che ci venissero proposte performance teatrali semplicemente riviste e corrette per l’occasione. La specificità del progetto era quella di chiedere agli artisti di sperimentare una formula di progettualità pensata e potenzialmente realizzabile solo sul digitale. Questo ha costretto in qualche maniera gli artisti che hanno partecipato a pensare in maniera diversa.

Ma si tratta di artisti che vengono già dal mondo del digitale?
A. F. L’anno scorso c’erano anche artisti che lavoravano quasi esclusivamente per il digitale. In questo caso ci sono state diverse declinazioni del digitale, o trasposizioni del digitale. Ci sono progetti che sono immaginati per una piattaforma web e gli artisti – insieme a noi e grazie alle domande che sono state poste attraverso la residenza – hanno provato a vedere come si potesse declinare quel progetto nato per il web in modo da poter essere fruibile anche in maniera interattiva con il pubblico.
Alcuni di questi artisti lavorano nel campo del digitale ma l’elemento sostanziale, trasformativo, è di riprodurre quella vibrazione emotiva della precarietà, del rischio dell’errore e riportarlo anche sul digitale. Quindi c’è un’interazione live. Le azioni avvengono per davvero, il rischio di errore esiste per davvero. Questa dimensione di sospensione è una condizione che noi abbiamo richiesto.

Cosa vi sembra di aver perso e di aver scoperto o guadagnato in questa esperienza del mondo digitale?
F.M. Cosa abbiamo guadagnato? Abbiamo scoperto molti mondi. È un’esperienza che ha messo anche noi come struttura di residenza artistica nelle condizioni di conoscere altre realtà non prettamente legate allo spettacolo dal vivo, che però possono portare tecniche innovative di messa in scena. Quindi è molto positiva, anche perché prima di tutto ha permesso di non fermarci anche durante la pandemia perché le residenze sono andate avanti, e poi abbiamo potuto lavorare su terreni innovativi mettendo a frutto quel periodo.

A. F. E rispetto alla dimensione teatrale non ha tolto nulla perché queste azioni, questi progetti sono pensati esclusivamente per l’ambiente digitale, hanno una natura diversa da quella teatrale.

Come funzionavano le residenze digitali?
A. F. Gli artisti lavoravano in una sede distinta rispetto alla nostra, è questo il passaggio interessante, che aggiunge e non sottrae. Loro hanno lavorato nel loro habitat naturale e se c’è stato scambio siamo stati noi ad andare fisicamente a vedere come lavorano loro nel loro spazio. Questo per noi è stato un grande arricchimento, abbiamo scoperto universi diversi.
Per il resto il lavoro si svolgeva tramite skype, tramite zoom, tramite mail: anche il monitoraggio avveniva attraverso il digitale.
F. M. Nel progetto noi abbiamo voluto fin da subito coinvolgere studiose del mondo digitale, docenti universitarie come Anna Maria Monteverdi e Laura Gemini, alle quali abbiamo chiesto di svolgere un ruolo di tutoraggio scientifico e tecnico con le compagnie che abbiamo scelto. Quindi a fianco al percorso di performance digitale c’era anche una parte di approfondimento. E il confronto che avevamo periodicamente nelle riunioni zoom coinvolgeva tutti: gli operatori, gli artisti e le docenti tutor.

Nel programma ci sono anche delle talk che terranno gli stessi artisti. Quali saranno gli argomenti toccati?
A. F. Saranno dei momenti esplicativi rispetto ai progetti. Si tratta di progetti di ricerca, delicati, Fuse per esempio ha una natura di tipo immersivo ed emozionale e fa parte di una trilogia molto più ampia. Nelle Residenze Digitali restituiranno solo un segmento di questa trilogia quindi nella talk ci sarà una spiegazione del processo. Molto spesso le talk sono una richiesta di feedback. Le residenze sono prove aperte, non sono progetti arrivati a compimento, sono momenti di ricerca. Funziona come per le restituzioni dal vivo, che prevedono un feedback. Quindi alcune talk approfondiranno l’aspetto scientifico, come per Jan Voxel, e altre entreranno più nell’aspetto relazionale con il pubblico.

Quali sono i criteri con cui avete scelto gli artisti?
F. M. Parte tutto da uno scambio di opinioni fra noi partner del progetto. Naturalmente una delle caratteristiche fondamentali è che non siano progetti presentati preventivamente come teatro o danza ma che fossero specifici per il digitale. Vediamo anche come le tecniche digitali vengono utilizzate. L’altro aspetto importante è quello della fruizione del pubblico: quindi le modalità proposte dagli artisti di fruizione del pubblico al momento della restituzione. Era fondamentale per noi che non fosse una fruizione passiva ma che si trovassero modalità di fruizione attiva. I due aspetti fondamentali per la selezione quindi sono stati questi: l’originalità del pensiero digitale e le modalità di godimento da parte del pubblico.

Queste restituzioni, quando si tratta di spettacolo dal vivo, spesso sono rivolte soprattutto agli operatori, diciamo come trampolino di lancio dei progetti. Come funziona in questo caso?
A. F. Anche in questo caso ci saranno inviti rivolti ad altri operatori e giornalisti. Da parte dell’organizzazione il processo è identico, non cambia nulla. Certo è che questi lavori vanno su piattaforme digitali, quindi non escludiamo che qualche operatore che organizza festival digitali possa intercettare questa settimana di prove aperte.

F. M. Uno dei primi partner l’anno scorso è stata l’AMAT, che è il circuito teatrale delle Marche, che ha avuto l’occhio immediato di voler partecipare a questo progetto anche finanziariamente. Quindi potenzialmente le possibilità di circuitazione e promozione ci sono. Certo, si rivolge a una platea, a un panorama produttivo in parte diverso dal solito.

TAG: Armunia Castiglioncello, settimana delle residenze digitali
CAT: Eventi

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