Depressione e potere dei simboli nel delitto di Ferrara

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17 Gennaio 2017

Il ragazzo R., il 16enne che ha chiesto al suo migliore amico M. di uccidere i suoi genitori al posto suo è stato dominato da una “negatività totalizzante capace di portarlo oltre ogni limite”. Così afferma Marco Montanari, esperto in psicologia dello sviluppo e nuove tecnologie presso l’Università la Sapienza, attualmente iscritto al Cipa di Roma, la prestigiosa e antica scuola italiana di psicoterapia ad indirizzo junghiano.

Il delitto che ha fatto inorridire l’Italia per l’assurdità del movente – R. avrebbe sofferto il fatto che i genitori lo rimproverassero e gli dessero del fallito perché non studiava né lavorava – è difficile da comprendere proprio per il vuoto che si intravede dentro i due adolescenti. R. ora è solo al mondo: suo fratello maggiore ha rifiutato di occuparsi di lui, firmando i documenti di rinuncia alla patria potestà.

Professor Montanari, partiamo dall’inizio, dalla dinamica del delitto, che è sorprendente: R. vuole i propri genitori morti ma non se la sente di farlo, per cui paga M. perché li uccida lui e però poi interviene per aiutarlo: sembra molto ambivalente.

I rapporti interpersonali sono sempre ambivalenti, così come lo sono i sentimenti che li governano e che ne vengono a loro volta influenzati.

Probabilmente R. e M. condividevano questa negatività totalizzante, questo lato oscuro dell’essere. Un lato oscuro affascinante per la sua potenza distruttiva, tanto potente che R. non riesce neanche ad affrontarlo e delega a M., vedendolo come colui che è capace di dominare il lato oscuro e usare tutta la sua potenza negativa. M., d’altra parte, subisce il potere seduttivo di questa visione, tanto che avrebbe precisato agli investigatori che lo avrebbe fatto anche gratis.

La motivazione di M. è sconcertante: come si può accettare di uccidere due persone che conosci perché te lo chiede un amico? E per 1.080 euro.

La motivazione di M. è assolutamente irrazionale: non è questione di soldi. Sicuramente deve esserci un lato economico, visto il ruolo che ha questo aspetto nella nostra società nel valorizzare quello che si fa o si acquista. Tuttavia, M. non si è fatto convincere per mille euro: siamo in un ambito del tutto irrazionale, in cui il potere dei simboli è quello che conta. Quindi ricevere un compenso economico diventa una sorta di tributo di riconoscimento al potere, alla capacità di cui parlavo, ossia affrontare e usare la propria negatività.

Vorrei sottolineare che questo potere di dominare e usare questa negatività è una cosa normale, che ognuno di noi fa inconsciamente e che ha un immenso potere creativo. Normalmente ci sono una serie di meccanismi che ci aiutano a convogliare questa energia in senso positivo, a contenerla. Penso per esempio al ruolo che ha l’empatia nella società: umana. Evidentemente a Ferrara molte cose non hanno funzionato portando alla tragedia.

Pare che M. seguisse l’amico in tutto: come mai esistono persone che si appiattiscono sulle altre e faticano ad esprimere la propria personalità? La richiesta di denaro per compiere un omicidio come si spiega nel quadro psicologico di “appiattimento” di M.?

Riprendo qui il discorso del potere seduttivo facendo notare che, in riferimento all’età adolescenziale, l’appiattimento di una persona, il suo annullamento individuale in una sorta di fusione con l’altro, sia un rischio comune. In effetti questi meccanismi portano un adolescente a cercare in qualcun altro quello che lui stesso vorrebbe essere, ricercando in questo rapporto la conferma del suo essere quello che lui vorrebbe essere. Mi scuso per il giro di parole, ma spero che il concetto sia chiaro: M. si appiattiva in R. perché R. era M. stesso idealizzato: la fusione secondo M. non era un annullamento della propria personalità ma, piuttosto, una sua esaltazione.

In questo contesto, la richiesta di qualcosa di estremo in cambio di un tributo acquista un potere seduttivo notevole in quanto diventa il massimo riconoscimento possibile della forza e della potenza di questo M. idealizzato che si rispecchia in R. Un M. idealizzato, giova dirlo, che probabilmente non esiste al di fuori del rapporto tra M. e R. Sicuramente il rapporto era reciproco, cioè anche R. ritrovava in M. un R. idealizzato.

Di nuovo la vita in provincia sembra sotto accusa: i due amici passavano le giornate senza stimoli, al bar o a giocare alla Play Station e a fumare canne.

La vita di provincia c’entra poco, secondo me, soprattutto in un contesto italiano in cui il 75% della popolazione vive in provincia. C’entrano dei contesti specifici, delle reti di relazione non funzionali, una società che tende a sminuire il ruolo dell’empatia e dei rapporti interpersonali diretti. Parlare di mancanza di stimoli in un mondo come quello di oggi rischia fortemente di non farci capire quanto i giovani siano spesso incapaci di cogliere le occasioni che hanno, rinchiudendosi in meccanismi psicologici che, fino a pochi anni fa, venivano considerati come propri di stati depressivi o pre-depressivi.

TAG: delitto di Ferrara, Famiglia
CAT: Famiglia, Psicologia

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