Il Galateo della discussione: gli Stati generali dell’argomentazione

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5 Novembre 2014

IN BREVE. Consapevoli del basso livello raggiunto nel dibattito pubblico (salvo che sugli Stati Generali), invitiamo i lettori e le lettrici a elaborare con noi un modello di discussione “cortese”. Non siamo ingenui. Sappiamo benissimo che il mondo (non solo della politica) va diversamente, ma il canovaccio che ne risulterà potrebbe aiutarci a capire che cosa, oggi, non funziona. E, forse, a predisporre qualche tecnica di autodifesa.

Da ventitré anni, le Olimpiadi di filosofia insistono su un modello di insegnamento diverso dalla mera successione storica di una galleria di pensatori (e, forse, di un paio di pensatrici, tra cui quasi sempre Hannah Arendt): il Critical Thinking. Lo tradurremo con “argomentazione ragionevole”.

In sede di esame di maturità, la prima prova scritta prevede anche il saggio breve, cioè un testo argomentato, nel quale si prendono in esame criticamente testi che esprimono posizioni diversificate. Nei programmi scolastici di filosofia, italiano, lingue e matematica si trovano da tempo riferimenti a inferenze, argomentazioni, premesse e conclusioni, anche alla logica. Eppure…

Eppure ben pochi se ne sono accorti, specialmente tra i docenti di filosofia, ahinoi (mentre gli insegnanti di italiano ci lavorano da tempo). Sembra che le riforme della scuola in Italia vengano prese in considerazione solo quando proprio non lo si può più evitare.

Proviamo a immaginare un’educazione alla controversia e al dibattito: annualmente nelle scuole si potrebbero organizzare saggi scolastici dimostrativi di dispute come vere e proprie gare. L’esercitazione consisterebbe nel cercare e nel valutare gli argomenti pro e contro rispetto a un tema dato. Perché? Se non altro per un motivo molto semplice: sebbene avvenga spontaneamente, potrebbe essere utile rafforzare in modo consapevole questa competenza. Forse non è possibile insegnare a discutere dal nulla, si può però educare alla discussione e al dibattito, correggendo il modo in cui lo si fa, purificandola perlomeno dai molti errori, grossolani ma persuasivi (si tratterebbe di una terapia).

Qual è il senso delle “regole argomentative”? Le prospettive da assumere, per rispondere a questa domanda, potrebbero essere molteplici, ogni argomento, infatti, si inserisce in una situazione che rimanda a un sapere condiviso (che può non venire esplicitato), nel quale vanno collocate tutte le nostre affermazioni. L’argomento ha una funzione d’uso, sicché chi lo usa si propone uno scopo: chi avanza un’ipotesi, chi conferma una teoria, chi cerca di spingere ad agire, chi vuole persuadere su una credenza; deve tenere in considerazione le caratteristiche dell’uditorio (Perelman & Olbrechts-Tyteca 1958), sia esso un interlocutore singolo, la comunità degli esperti in una disciplina, una giuria durante un processo negli Stati Uniti, i potenziali elettori alle prossime elezioni.

Se parliamo di regole per una discussione ragionevole, dunque, dobbiamo tenere in considerazione (e lo faremo) il fatto che non esistono argomenti isolati, acontestuali, e se queste regole non vogliono essere quelle del litigio, che pure utilizzerebbero argomenti basati sull’attacco alla persona o argomenti emotivi, dobbiamo tenere presente che non possono essere considerate in modo inalterabile e rigorosamente codificato. Questo perché tali regole valgono solo se gli interlocutori decidono di farle valere.

Che significato assume la violazione di tali regole? Non solo quella, tecnica, di errore di ragionamento (secondo l’interpretazione tradizionale o “standard” delle fallacie). Anche sulle fallacie occorre stipulare un’intesa, esattamente come sulle regole: esse sono tali perché non rispettano gli accordi stipulati tra gli interlocutori: se crediamo, possiamo chiamare “regole” tali accordi. È allora possibile ripensare le fallacie dal punto di vista dell’interazione argomentativa, in quanto violazione delle regole che ci si è dati o che sono presupposte.

Regole per “discutere bene”, almeno in un un senso chiaro e codificato, non esistono, ma è possibile indicare alcune condizioni necessarie per una discussione razionale (cioè tali che, se non sono date, la rendono impossibile). Perché utilizzarle? Non perché sia “bene” discutere in modo razionale piuttosto che emotivo (siamo liberi di crederlo), bensì perché, se usiamo queste regole dando e ottenendo ragione, i nostri argomenti ne escono forse rafforzati.

 

Chiediamo perciò ai lettori e alle lettrici di fornirci suggerimenti di regole (o comandamenti) del Galateo, che renderemo sistematiche nel prossimo intervento. I migliori saranno integrati nel testo. Ora tocca a voi. Avete dieci giorni di tempo.

 

Logon Didonai

 

 

PER APPROFONDIRE

 

Sulle Olimpiadi di filosofia, vedi il sito della Società Filosofica Italiana (www.sfi.it), che contiene anche il bando per parteciparvi. In alternativa: www.philolympia.net e il sito della pubblica istruzione: www.istruzione.it

 

Sui programmi scolastici, vedi https://sites.google.com/site/ilquadratodelleopposizioni/my-forms/pubblicazioni-di-didattica-dell-argomentazione

 

Il classico:  Chäim Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, Torino 1966 [ed. or. 1958].

 

Sulle regole della discussione “cortese”:

Frans H. van Eemeren e A. Francisca Snoek Henkemans, Il Galateo della discussione (orale e scritta), Mimesis, Milano 2011.

Giovanni Boniolo e Paolo Vidali, Strumenti per ragionare, Bruno Mondadori, Milano, 2002.

 

Sulla discussione “scortese”, vedi Adelino Cattani, Botta e risposta, il Mulino, Bologna 2001.

 

Sul dibattito avvelenato e sugli errori di ragionamento nei dibattiti pubblici:

Franca D’Agostini, La verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico. Bollati Boringhieri, Torino 2010.

Paola Cantù, E qui casca l’asino. Errori di ragionamento nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, Torino 2011.

 

In generale, per l’argomentazione (il Critical Thinking) in Italia, vedi la collana il quadrato delle opposizioni, presso l’editore Mimesis: http://www.mimesisedizioni.it/Il-Quadrato-delle-Opposizioni.html

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CAT: Filosofia

20 Commenti

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    1. Andrea Gilardoni 9 anni fa

      Grazie del suggerimento. In cosa l’argomentazione orale di gruppo può essere migliore rispetto a quella individuale? Il gruppo permette forse di rafforzare le proprie competenze individuando preliminarmente i punti deboli delle argomentazioni?

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    2. Lorenzo Mazzi 9 anni fa

      L’impressione è davvero che a volta la scuola, o meglio il corpo docente e in particolare i colleghi delle materie umanistiche, non abbiamo preso in considerazione la modifica di prospettiva dei nuovi (non più) programmi scolastici. Forse tra l’altro ci si libererebbe anche dello spauracchio ansiogeno del “dover finire il programma”.
      In effetti, pur non essendo strada semplice e richiedendo una formazione specifica, quella dell’argomentazione è una strada che potrebbe permettere di superare l’impasse che generano spesso i dialoghi con gli studenti, arroccati anche loro su posizioni che spesso paiono indiscutibili e basati su asserzioni valoriali che definiscono la loro identità nella fase di crescita. Crescita che ovviamente, insieme a quella dei loro docenti, sarebbe stimolata invece da un confronto davvero proficuo che sia in grado di mettere in discussione gli assunti di partenza.
      Questo per dire in conclusione che volentieri metterò a disposizione questo articolo con gli studenti e che spero queste Olimpiadi possano essere occasione utile ad un ripensamento anche di alcune parti della mia didattica (e il tutto capita a puntino, avendo introdotto in questo periodo la logica attraverso Parmenide).

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      1. Andrea Gilardoni 9 anni fa

        Grazie. Sì, a dire la verità nemmeno prima della riforma avevamo un programma da finire. I docenti spesso si autoimpongono vincoli e costrizioni non necessarie, dimenticando l’essenziale, cioè, cosa stiamo insegnando e come.
        NOn c’è alcun cane da guardia che dica: ECCO! ECCO! TI HO VISTO! NON HAI SVOLTO…
        Speriamo che questa strada venga percorsa da tutti i docenti. Vedremo forse trasformarsi (in meglio) la scuola dove lavoriamo.

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    3. Lorenzo Quaglia 9 anni fa

      Penso che il problema maggiore che troviamo nelle discussioni sia che spesso non si reputa l’interlocutore un nostro pari. Pensiamo di essere più ferrati su un argomenro rispetto alla persona con cui stiamo parlando e tendiamo ad avere un tono arrogante , infastidendo così l ‘altra persona , e così facendo non si può mantenere una discussione cordiale.
      Penso che anche quando si discute con un adulto , probalbilmente più colto di te, bisogna far valere le proprie argomentazioni , senza però offendere l’interlocutore , portando sempre un rispetto che però deve essere reciproco

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      1. Andrea Gilardoni 9 anni fa

        Caro Lorenzo, certo, hai individuato uno dei principali problemi della discussione pubblica e privata: se parliamo con qualcuno partendo dal presupposto che tanto già sappiamo tutto non è forse nemmeno il caso di mettersi a discutere. Un conto è assistere a una lezione su un argomento che non conosciamo (in quel caso possiamo ritenerci ignoranti che vogliono apprendere, e ascolteremo la parola di un esperto, che possiamo eventualmente interrogare per capire meglio), un conto è invece discutere e confrontare due posizioni (o anche solo metterne in discussione una perché non ci siamo ancora formata la nostra). Dire all’interlocutore che è un ignorante, uno stupido (o farglielo capire a gesti, con le occhiate, con una risata, con un atteggiamento tendenzialmente arrogante) serve a squalificarlo. Non è allora più un nostro pari, quindi non ha il diritto di discutere liberamente. Mi sembra che la regola implicita che stai avanzando sia: “Non è consentito impedire al tuo interlocutore (alla tua controparte) di esprimere la propria opinione, e neanche di metterne in dubbio una” (la considereremo la regola fondamentale del nostro decalogo). Certo, poi possiamo chiedergli di motivarla, di supportarla con qualche argomento, però se nemmeno gli permettiamo di parlare, stiamo solo facendo finta di discutere (il nostro in realtà è un monologo). Facciamo un paio di esempi: un prete sostiene non esserci alcun male nelle relazioni omosessuali e noi replichiamo che, allora, quello non è un vero prete. Oppure, critichiamo il governo italiano per alcune decisioni economicamente dubbie e ci sentiamo replicare che, allora non siamo italiani. (Qualsiasi allusione a persone realmente esistenti o fatti realmente accaduti è voluto.)

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    4. Aurelio Spadotto 9 anni fa

      Un galateo della discussione?…Be’, posto che lo scopo del confronto sia il tentativo di convincere o il puro interesse per l’opinione dell’interlocutore (non avversario, ma interlocutore) è chiaro che l’astio reciproco più o meno mascherato è poco funzionale. Nel primo caso perché l’impostazione agonistica della discussione esclude la possibilità di convincere il nostro compagno di dialogo; non è infatti comune che al termine di un litigio una delle due parti ammetta in toto il proprio torto. La discussione si trasforma in una guerra di trincea o in un gioco dialettico.
      Nel secondo caso sarà il nostro stesso interesse a ordinarci di non attaccare l’interlocutore, non è infatti un comportamento naturale approcciare sgarbatamente colui/colei dal/la quale ci aspettiamo un regalo. Se ciò accade sarà per un equivoco dipendente dalla differente cultura e lingua del nostro interlocutore, ma non dalla nostra sincera intenzione.
      Da ciò risulta chiaro, (grazie, sg. Quaglia) come la cattiva riuscita di una discussione non derivi se non dalla precisa volontà di colpire l’interlocutore ( che diviene quindi avversario) o dal bisogno/desiderio di prevaricazione. Chi argomenta per convincere (ma non per sottomettere) o discute per conoscere sa bene di non dover assumere un atteggiamento arrogante, proprio per per conseguire il proprio intento.
      In realtà la Discussione definita come sopra (definizione che stimo, ma non spero sia condivisibile) avviene necessariamente con la precisa premura di non risultare sgradevoli; tale premura può essere ostacolato dai fattori culturali e linguistici sopracitati, che possono essere aggirati con la pazienza e la fiducia nelle “buone intenzioni” dell’interlocutore.
      Vengo in pace, è questo l’enunciato della cui verità mi devo sincerare prima di dare inizio ad un discussione.

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      1. Andrea Gilardoni 9 anni fa

        Grazie, Aurelio. Mi sembra che emergano alcuni punti rilevanti per il nostri canovaccio. Oltre a confermare l’esigenza di evitare la prevaricazione (la prima regola è: permettere agli altri di esprimersi, quindi occorre evitare aggressioni verbali e fisiche, minacce, divieti ecc.), si avanzano forse due regole. La prima concerne la vera e propria conclusione della discussione: in una discussione condotta secondo le regole del Galateo, in presenza di una divergenza di opinioni e dopo aver argomentato in modo adeguato, occorre riconoscere il proprio torto, quindi, dichiarare all’interlocutore (ed eventualmente all’uditorio) che la propria posizione è intenibile, è stata confutata (si è cioè mostrato che era errata) o indebolita in modo decisivo. La chiameremo “regola della conclusione”. La seconda regola sembra essere formulata di passaggio, ma è rilevante. Che cosa facciamo se certe affermazioni sono equivoche? Se ci sono malintesi linguistici o culturali? Occorre chiarire ciò che è oscuro, togliere le ambiguità, eliminare la confusione, sia riformulando le proprie posizioni, sia chiedendo chiarimenti. La chiameremo “regola dell’uso del linguaggio”: in qualsiasi momento, chi partecipa a una discussione può chiedere alla controparte di chiarire punti oscuri o ambigui, ed è tenuto a chiarire la propria posizione se gli viene richiesto. Infine, mi sembra che l’assunzione delle buone intenzioni dell’interlocutore sia addirittura una precondizione della discussione, altrimenti non si inizierebbe neppure.

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    5. Guglielmo Novelli 9 anni fa

      Tenendo discussioni quotidianamente, osservo che il problema principale è l’atteggiamento tenuto nei confronti dell’interlocutore. Questo viene identificato come un “nemico” e non, semplicemente, come qualcuno con cui confrontarsi e magari apprendere qualcosa, poichè molto spesso ci riteniamo superiori e più “competenti”; di conseguenza viene naturale screditare il “nemico” e mantenere un atteggiamento arrogante. Inoltre, questo approccio fa emergere un altro problema: in una discussione infatti, molto spesso osservo come, coloro i quali hanno la parola, svincolino dalla tesi principale per poter affermare quanto a loro è più congeniale. In conclusione, posso affermare che l’attuale basso livello dell’argomentazione è dettato maggiormente dall’arroganza piuttosto che dall’incompetenza, ossia dalla mancanza di atteggiamento propositivo che consente di rivedere le proprie posizioni.

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      1. Andrea Gilardoni 9 anni fa

        Caro Guglielmo, grazie del tuo intervento. Mi sembra che tu sottolinei un paio di regole già viste precedentemente: se demonizziamo il nemico non gli permettiamo di esprimerci, quindi usiamo argomenti contro la persona, non mettiamo in discussione la sua tesi ; inoltre, se vogliamo discutere, dobbiamo impegnarci ad accettare di mettere in discussione le nostre posizioni. Ma ne aggiungi una nuova, che formulerei così: “Le critiche a una tesi, e gli argomenti a sostegno di una tesi, devono riferirsi alla tesi in questione, devono essere pertinenti”. Potremmo chiamarla la regola della pertinenza. Stiamo procedendo bene sulla strada del nostro decalogo.

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    6. Marco Asnaghi 9 anni fa

      Il primo punto fondamentale di una discussione pacifica fra due interlocutori, che ho già visto evidenziato in altri commenti, è senza dubbio il totale rispetto per la posizione dell’altro. Tuttavia ritengo sfortunatamente naturale la spinta egocentrica dell’uomo a presupporre la superiorità dei propri argomenti, per cui tendenzialmente si è disposti ad accogliere i ragionamenti del prossimo con l’ottica implicita di doverli poi smontare. Questa tendenza potrebbe essere superata ponendo se stessi per un istante, solo nel momento in cui il nostro interlocutore espone la sua posizione, in una condizione di inferiorità, valutando le sue argomentazioni in modo assolutamente oggettivo, non con il proprio occhio ma con quello di un individuo qualunque.
      Un’altra “regola” importante credo consista nel rispecchiare il più onestamente possibile il proprio pensiero in ciò che si afferma, senza costruire argomentazioni molto efficaci e persuasive per il solo scopo di convincere l’altro anche se nemmeno noi siamo convinti di quanto diciamo. Bisognerebbe in teoria essere il più sinceri possibile, in modo da far coincidere il proprio pensiero di fondo con la determinata posizione che si assume e le ragioni addotte per difenderla. Questa sincerità eviterebbe anche la finzione nell’accettazione da parte di un interlocutore della vittoria dell’altro. Infatti il primo può recitare questa parte solo perché stanco di dibattere ma senza essere per nulla convinto della posizione dell’avversario.

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      1. Andrea Gilardoni 9 anni fa

        Con questo intervento possiamo formulare una premessa nello scambio argomentativo: la sincerità. Se l’obiettivo è discutere individuando la posizione migliore, e se davvero accettiamo di mettere in discussione le nostre posizioni, allora non dobbiamo mentire. Del resto, la menzogna potrebbe essere necessaria in una società dove vige la censura, più che la libera espressione delle proprie opinioni e argomentazioni, ma allora non saremmo più nell’ambito del Galateo, perché mancherebbe una condizione necessaria. Per quanto riguarda le altre regole proposte, una discussione cortese può ben prevedere che si sia convinti delle proprie posizioni, ma occorre motivarle (se ci viene richiesto di farlo) ed è ovviamente lecito criticare la posizione altrui (lasciando che la controparte si esprima e motivi la propria posizione, però). Una discussione cortese non è dunque un’accettazione supina delle opinioni altrui, né un rendersi inferiori, salvo accettare di potersi anche sbagliare. Direi che diventa scortese solo nel momento in cui rifiutiamo in linea di principio di ascoltare le posizioni della controparte e di replicare in modo pertinente alle sue critiche.
        Certo, a volte si accetta la posizione dell’altro perché si è stanchi, ma allora tanto varrebbe dire che la discussione non si è conclusa, o che le conclusioni non sono state lette nello stesso modo (o accettate) da entrambe le parti. E si dovrebbe ricominciare.

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    7. Davide Monesi 9 anni fa

      Potrei suggerire che, basandosi sulle parole, il nostro linguaggio e, quindi, la nostra discussione, ve ne è anche vincolata. Esse, dunque, sono la base della nostra discussione. Ho osservato che la scelta secondo cui decidiamo di utilizzare un termine rispetto ad un altro, considerato magari più “aulico”, per così dire, dipende dal contesto spaziale e sociale in cui ci troviamo e dalla reputazione che abbiamo dell’interlocutore. Per contesto spaziale intendo la condizione in cui ci si trova ad intraprendere la conversazione: se, come nel mio caso adesso, davanti ad un computer, oppure direttamente di persona, o altrimenti attraverso una lettera, dove l’ortografia potrebbe anche diventare un criterio di valutazione per la reputazione dell’interlocutore. Invece, per sociale intendo l’insieme dei pregiudizi che si hanno dell’interlocutore e dei giudizi che si sono sviluppati qualora lo si conosca già.
      Quindi, in conclusione, la scelta dei termini che utilizziamo in una discussione ne delinea anche il perimetro, permettendoci di elaborare dei concetti più o meno “elaborati”, secondo il nostro interesse per il dibattito.

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      1. Andrea Gilardoni 9 anni fa

        Interpreterei il commento in questi termini: «Adegua il tuo livello linguistico alla situazione in modo da rispettare le regole consuetudinarie di quel tipo di scambio o di mezzo espressivo, e all’interlocutore, in modo da essere compreso e non frainteso». Quindi la discussione potrebbe avere un formato linguistico diverso a seconda della situazione (non dobbiamo sbagliare “stile” o procedure) e dell’interlocutore (non dobbiamo parlare una lingua a lui incomprensibile né usare una lingua per lui troppo bassa o rozza, penalizzando il ruolo che svolgiamo nella discussione). Osservazioni importantissime, grazie. Però replicherei ricordando Socrate: Parlerò alla buona, come mi viene, non essendo abituato a muovermi nei tribunali. E voi, cittadini, non schiamazzate, se vi sembrerò rozzo. Badate invece a ciò che dirò. La discussione è sulla cosa.

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    8. roberta scafi 9 anni fa

      Complimenti, discussione interessante. Leggendo i commenti, mi sembra che si dia risalto alla regola del rispetto per l’interlocutore: evitare di assumere atteggiamenti arroganti e aggressivi, privilegiare l’intento euristico e comunicativo (approfondire la questione attraverso lo scambio di idee, piuttosto che cercare a tutti i costi di imporre le proprie idee e di indottrinare l’altro), soprattutto se ci si trova in una condizione di superiorità per ruolo, età, competenza linguistica o conoscenza dell’argomento.
      Vorrei aggiungere che questo rispetto per l’altro consente di porre l’accento anche sulla necessità di rispettare l’argomento trattato (qualsiasi esso sia) ovvero di riconoscerne la complessità. Soffermarsi sui diversi aspetti di una questione, esplorarne i risvolti spesso contrastanti e contraddittori, è il modo migliore per avvicinarsi al vero. Saremo sempre e per forza riduttivi, ed essere riduttivi purtroppo significa sbagliare, avere torto, con conseguenze talvolta disastrose. Ma quanto più riusciamo ad avvicinarci a quel sistema complesso e adattativo, in evoluzione costante, che è la realtà, quanto più aumentano le nostre conoscenze e le nostre possibilità di compiere la scelta giusta, in ogni campo,

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      1. Andrea Gilardoni 9 anni fa

        Grazie dell’intervento. Sì, capisco l’esigenza. Stabilito precedentemente che la discussione deve essere sulla cosa stessa (ad rem) e non sulla persona che avanza una tesi, cioè un’opinione argomentata (altrimenti avremmo un argomento ad personam, che è fallace o “sleale”), una delle regole potrebbe essere dunque: «Nella discussione cerca di informarti sull’argomento e di analizzare le diverse posizioni al riguardo». Dovremmo dunque chiarire, oltre a quale sia il punto sul quale si presenta una divergenza di opinioni, anche quale sia lo status questionis, cioè: che cosa è stato detto su questo particolare argomento? con quali argomenti? Con quali prove? Con quali metodi?
        Dovremmo anche essere d’accordo su questo metodo di ricerca, ed elaborare una serie di punti di partenza comuni. Dopo, possiamo cercare un accordo fondato su ciò di cui stiamo discutendo.

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    9. Diana Benevelli 9 anni fa

      A mio parere, è ovvio che affinché un dialogo sia tale bisogna ascoltare e analizzare le idee dell’interlocutore, porsi e porre domande, evidenziando così parti del pensiero che possono non essere oggettivamente accettate e dando un nuovo punto di vista all’altro. Dopo di che siamo liberi di mantenere la nostra idea, tanto quanto di cambiarla, avendo però un motivo in più o uno in meno per ritenerla corretta. Si potrebbe quindi dire che il dibattito e il dialogo hanno come obiettivo principale aprire la mente, ampliare le nostre capacità di scelta con un ragionamento che comprenda più motivazioni possibile. Arrivare alla verità, come in ambito filosofico, è il passo seguente.

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      1. Andrea Gilardoni 9 anni fa

        Cara Diana, grazie. Sì, l’obiettivo della discussione dovrebbe essere quello di aprire la mente, ma quando si confrontano due posizioni si tratta di stabilire chi abbia ragione (ammesso che si possa). Se non abbiamo motivi per continuare a sostenere la nostra posizione (se i nostri argomenti si rivelano falsi, dopo una procedura di verifica condivisa) e se non abbiamo alcun motivo per ritenere falsa la posizione del nostro interlocutore (perché il nostro tentativo di confutare la sua argomentazione è fallito o si è dimostrato erroneo), dobbiamo allora o accettare la posizione della controparte o ritirare la nostra. Certo, non sempre accade, ma allora perché iniziamo a discutere, se non siamo pronti a riconoscere i nostri errori e a trarne le necessarie conseguenze? Il tuo intervento ci permette di mettere in evidenza quali siano, in un codice di condotta della discussione cortese, le regole della conclusione.

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