Stamina e la regola della conclusione

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18 Gennaio 2015

In un articolo di Michele De Luca sembra delinearsi la fine della vicenda Stamina. In che senso? Nel senso della chiusura di un dibattito. Una delle due parti (colpevole, innocente) ha accettato le conclusioni dell’altra. Prima di dirvi quale delle due (ma forse lo saprete già) torniamo a esaminare la struttura di una discussione condotta in base a strumenti argomentativi. Per completezza, rimandiamo al Galateo della discussione, che di volta in volta, nei nostri interventi sugli Stati Generali, stiamo sviluppando.

 

Prima di ricordare quali sono le condizioni necessarie per lo svolgimento di una discussione “cortese” è opportuno precisare che con questo termine non si intende una discussione in cui siamo tutti d’accordo, bensì una in cui si rispettano regole per tentare di appianare, comporre, risolvere, superare una divergenza di opinioni. Usando la metafora bellica, diremo che anche durante gli scontri vigono delle regole, il cosiddetto diritto internazionale di guerra.

La prima condizione è allora che si accetti un metodo per il confronto nel merito sulla base delle regole. Altrimenti, ci sono altri mezzi, per esempio i kalashnikov o le bombe, per non citare che quelli che sono in questi giorni al centro dell’interesse dei media.

La seconda, è che si permetta a chiunque di esprimere la propria posizione. Attenzione, però, una posizione o tesi non è un’opinione. È chiaro che ognuno di noi ha le sue opinioni, che per lo più non interessano nessun altro (tranne l’inquisitore o il grande fratello di turno, in senso orwelliano, naturalmente). Solo nel momento in cui la nostra opinione si fa tesi, presa di posizione pubblica, allora interessa gli altri, che a questo punto sono pronti ad attaccarla o a condividerla. Se la condividono ci limitiamo a dirci (reciprocamente) quanto siamo intelligenti, se invece non lo fanno, iniziano i problemi. Può capitare che si limitino a chiederci di provare quanto diciamo, oppure che abbiano una tesi alternativa, opposta o semplicemente diversa. A questo punto dovremo, noi, provare la nostra tesi (nella misura del possibile) e, gli avversari, provare la loro. Entrambi, noi e loro, avremo la possibilità di confutare la tesi dell’avversario, quindi: noi argomenteremo in favore della nostra e mostreremo le debolezze della tesi della controparte; che, a sua volta, argomenterà in favore della propria tesi e contro la nostra.

Alla fine di questo processo, e rispettando le ulteriori condizioni previste dal Galateo della discussione (cui si rimanda, ma, per esempio, utilizzando in modo opportuno l’autorità degli esperti, evitando le minacce, gli attacchi personali non pertinenti, evitando errori logici, imparando a definire come si deve i termini utilizzati onde evitare ambiguità ecc.) si dovrà decidere chi ha ragione, o, almeno, quale delle due tesi sia più probabile, utile, condivisibile ecc.

Nel caso in cui la posizione non risultasse condivisa, e la conclusione non fosse chiara, dovremmo, come gli antichi scettici, dire: “ou mallon”, termine tecnico per intendere il “non piuttosto”, cioè non considerare dimostrata questa (tesi) più dell’altra (per approfondire, vedi qui). In altri termini, sospendere il giudizio (forse i lettori ricorderanno che questo è il significato della tanto esaltata espressione epoché, e se non lo ricordano glielo ricordiamo qui).

Il patto di chi discute consiste nel tentare di attaccare le tesi della controparte, ma non la persona, e così, anche, nel tentare di difendere le proprie senza considerarle sacrosante, senza presupporle invece di provarle, senza evadere l’onere della prova.

Ma cosa succede se, in un processo, una persona (o, in sua vece, il rappresentante legale), decide di patteggiare la pena? Ovviamente, riconosce che l’accusa ha ragione.

È quello che sembra essere successo con i legali rappresentanti di Erika Molino e di Davide Vannoni, sui quali pendono gravi capi di imputazione, tra cui l’associazione per delinquere, stando a quanto ha sostenuto il procuratore di Torino, Raffaele Guariniello. Relata refero. Queste sono indiscrezioni riportate dal già citato Michele De Luca, che non abbiamo però potuto verificare. Al di là del reale svolgimento di un dibattito a porte chiuse, possiamo dire che, se questo fatto dovesse corrispondere al vero, se cioè i sostenitori dell’innocenza di Vannoni et alii dovessero effettivamente chiedere il patteggiamento, accetterebbero le conclusioni dell’accusa. In questo senso, porrebbero fine alla discussione ritirando la loro tesi (riconoscendo dunque che le loro prove incontrovertibili tali non erano) e accettando quella della controparte. In ogni caso, una buona notizia per il Paese, la scienza, la medicina. E un ottimo esempio di come possa funzionare la regola della conclusione nel Galateo.

 Logon Didonai

Riferimenti

Per un esame delle problematiche scientifiche vedi: Salvo Di Grazia, Salute e bugie. Come difendersi da farmaci inutili, cure fasulle e ciarlatani, Chiarelettere, Firenze 2014. Vedi anche Medbunker. In particolare, su Vannoni, vedi qui.

L’articolo di Michele De Luca: Stamina: la fine triste della partita? Di Michele De Luca, Il Sole del 18 gennaio 2015, inserto Domenicale, p. 30. Ma vedi anche qui.

TAG: Regola della conclusione, Stamina, Vanoni
CAT: Filosofia, Medicina

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