I bambini di Guiglia

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15 Settembre 2021

Una foto del 1959, di Franco Gremignani, ha sempre catturato la mia attenzione. Ogni volta che mi sono imbattuto nella sua visione, l’ho guardata sempre con maggiore attenzione, come a scorgervi qualcosa che, in precedenza, mi era sfuggita. Così, mi son trovato a ingrandirla, a metterne in evidenza angoli, osservando assorto i corpicini sospesi di sette bambini, oltre a quello di una donna, per cercare di coglierne un motivo che mi desse la sensazione del gioco, della distrazione e, in qualche modo, del diletto. Ma, niente! Nei soggetti della foto ho sempre visto solo una austera e rassegnata compostezza, non proprio tipica dell’infanzia. Un atteggiamento che, probabilmente, infondeva coraggio ed esorcizzava la paura di un pericolo quotidiano da metabolizzare a tutti i costi. Diversamente, niente scuola, niente istruzione, niente insegnamento. Già, i bambini di Guiglia, borgata del fondovalle e lambita dal fiume Panaro, tra le colline dell’appennino modenese, per andare a scuola dovevano attraversare il fiume appesi a una rudimentale mini teleferica, un cavo metallico che univa le due rive, alla quale si appendevano aggrappati a una carrucola. Difatti, la borgata non aveva collegamenti con la vicina strada provinciale, ed  era semplicemente separata dal fiume che gli scolari dovevano superare due volte al giorno.

La forza che quei bambini dovevano darsi per avere diritto a un tirocinio è, essa stessa, la morale più pregnante che si possa cogliere al di fuori delle parole. Il gesto valoroso, o il sacrificio risoluto, per ricevere il precetto diventa a sua volta lezione. Bisognava passare al di là del fiume con vento e pioggia, freddo e giornate di piena. Questa, era la condizione indispensabile per guadagnarsi l’accesso al sapere, crescere e formarsi. E, si aveva che le opportunità della vita, da cogliere per diventare grandi, passavano anche attraverso una fune ben tesa, a cui erano agganciate delle piccole carrucole dall’imbragatura di cuoio. Nessun sistema di sicurezza a supporto. Una spinta, e si scivolava lungo la corda senza guardare il fiume, altrimenti poteva girar la testa e rischiare di finire giù, nell’acqua gelida. Chissà, forse le prime volte sarà stata anche un’avventura da brivido e, dunque, per molti versi, un gioco interessante? Mi piace comunque pensarlo. La foto, a quanto pare, è stata usata in maniera smisuratamente retorica in merito alla didattica a distanza dovuta al covid. Per me riflette, magnificamente, l’importanza della scuola in un contesto minimo e in un’Italia povera, ma ingegnosa e dignitosa.

 

 

 

 

 

 

TAG: arte, fiume Panaro, Franco Gremignani, Guiglia
CAT: Fotografia

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