Alessandro Baronciani e la cura dell’arte. Monokerostina, un’intervista

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25 Febbraio 2021

Una scatola di medicine per la mente: all’interno non blister di pastiglie, ma dodici storie brevi, da somministrare secondo precisa posologia, per combattere la carenza di cultura, di fantasia, di pensiero. Monokerostina è l’ultimo lavoro di Alessandro Baronciani, illustratore, autore di graphic novel come Le ragazze dello studio Munari, Negativa e Quando tutto diventò blu. Un’opera autoprodotta, presentata, per spunti e piccoli assaggi, on line e finanziata grazie al pre ordine dei sostenitori. Protagonista una giovane ragazza e il suo unicorno in miniatura, molto lontano dalla nostra immagine di questo animale magico, che si trovano a vivere vicende oniriche causate dall’assunzione di un farmaco dagli effetti collaterali decisamente imprevedibili. Un mondo fantastico e allucinato nel quale il lettore si muove secondo il “ritmo” della sua autosomministrazione, perdendosi e riprendendo il filo della narrazione in modo libero, quasi giocando. Monokerostina è un racconto nel racconto, un gioco artistico su più livelli che mescola scrittura, disegno, opera materiale, che scimmiotta, con estrema cura, anche nelle modalità di presentazione il “prodotto” farmaceutico e che non può trovare una semplice definizione: bisogna prenderlo fra le mani e esplorare. Per capire meglio cosa si nasconde dietro questo strano racconto a fumetti abbiamo intervistato l’autore.

Prima (e banalissima) domanda: come nasce l’idea di inscatolare un fumetto e di trasformarlo in una lettura interattiva, quasi un gioco di assemblaggio per il lettore?

Quando ho cominciato a girare in treno da Pesaro a Milano. Arrivavi alla stazione di Bologna e c’erano i graffiti sui muri di Pea Brain e Cane Cotto. I loro graffiti, avevo scoperto, erano vie di Bologna che viste da una mappa diventavano una papera e un daino, mi interessavano le idee che giravano all’inizio dei 2000 di psicogeografia. C’erano dei programmi radio a Bologna con telefonate di persone che parlavano della “situazione psichica” all’interno dell’autobus 59 etc… erano incontri casuali di gente che si muoveva nella città. Un po’ come succedeva al protagonista di Città di vetro, nel libro di Auster e poi nel fumetto di Mazzucchelli. Quando scegliamo una strada, perché la scegliamo? Quale ragione mentale ce la fa scegliere al posto di un’altra? Perché facciamo sempre lo stesso giro per andare da qualche parte? Avevo pensato a un libro leggibile soltanto attraverso una mappa. Così avevo cominciato a immaginare un libro in che avesse come ogni gioco in scatola, una mappa. Una volta in Accademia, ad una lezione di Antropologia Culturale, il professore cominciò a spiegare questa cosa che il libro ha un solo sistema di lettura: dall’inizio alla fine. Se vuoi capire quello che c’è dentro devi seguire il percorso dello scrittore per arrivare alla conclusione. Poi pose la domanda a tutti gli studenti dicendo con fare un po’ provocatorio di immaginare un libro che si potesse leggere sfogliandolo a caso e alla fine riuscire a capire la trama lo stesso. dall’altra parte mi hanno sempre colpito la stessa storia cambia quando vengono riportate da diverse voci. Quando due amici escono la sera e uno si diverte e l’altro no e mi raccontano una storia da punti completamente diversi. Eppure era la stessa serata! Mi piace quando dobbiamo ricostruire una storia dai pezzi che abbiamo in mano. È la stessa cosa che fa il reporter quando arriva sulla scena del crimine. Ascolta varie testimonianze e poi cerca di mettere tutto insieme cercando di trovare la “versione” coerente dei fatti. Quella che più si avvicina a come sono andate le cose.
Per fare questo ho spaccato il libro in tanti mini capitoli con brandelli di storie, di “frammenti presocratici”. Questa cosa ha reso il libro in scatola e la costruzione della storia molto divertente. Anche perchè alla fine si scopre che la storia è quella. Riusciamo a capire qualcosa di tutta la trama alla fine anche se smonto tutto in a pezzetti. Qualcosa ci rimane in testa.

La cultura come farmaco. Un’immagine molto appropriata visto il periodo, ancora di più pensando alle difficoltà che stanno vivendo molti mondi – teatro, cinema, musei, concerti, spettacoli – in questo momento. Pensi che la cultura possa essere un farmaco anche rispetto a questo momento di crisi?

Mi piace il concetto di pastiglia, di medicina, di qualcosa che viene da “fuori di me” e che introdotta “dentro di me” mi aiuti, mi curi. Monokerostina è una storia dentro un farmaco.  È un libro che ha dodici pastiglie, vanno assunte una dopo l’altra con la stesso ordine con cui iniziamo un blister di medicinali nuovo. Non so se la cultura sia qualcosa da somministrare e non penso si debba somministrare. Immagino che sia qualcosa a cui pensiamo tutti ma che spesso non abbiamo voglia di fare o pensare. È necessaria e in tempi di crisi ha bisogno di idee sempre nuove. Non è un autobus, che è una idea e basta che poi ha soltanto bisogno di essere migliorata. Con la cultura si dovrebbe partire sempre da zero. Forse perché esiste dove c’è comunicazione e l’espressività. Cose che cambiano in fretta. E soprattutto non può essere soltanto legata alla mancanza di soldi. La cultura si muove anche senza. Dovrebbe muoversi perché ha bisogno o è alla ricerca di soldi. Ieri parlavo con un ragazzo architetto che all’inizio della sua carriera, con pochi lavori da sbarcare il lunario, attraverso un programma 3d gratuito online ha iniziato a fare dei rendering gratis delle facciate di case che avevano bisogno di una rimessa a posto: verniciatura, rattoppi, etc. Prendeva una strada cittadina e poi, dopo aver stampato le immagini le infilava in una busta a una ad una nelle buca delle lettere. Risultato: su venti case, 5 lo chiamavano per risistemare la propria abitazione. Trovare idee in tempo di crisi è cultura.

Co-protagonista della storia è un unicorno miniaturizzato. Come mai la scelta di questo piccolo aiutante? 

In Come Svanire Completamente avevo pensato alla Sirena come personaggio fantastico e mitologico. Questa volta ho provato a immaginare un animale mitologico il cui corno, appunto, era la medicina perfetta a tutti i mali. Mi piaceva legare alla protagonista la cura, un unicorno, che è sempre intorno a lei ma che lei cerca di evitare in tutti i modi, a cui da la colpa dei suoi problemi. Così è venuto fuori l’animale magico di Anna Lisa, piccolo e innocuo, senza spessore, senza poteri, Non ha ali, non ha poteri speciali. Sembra vederlo soltanto la protagonista del libro. Da il nome al libro ma non fa niente e non è troppo importante. Come il potere di Creamy, il cui medaglione/scettro d’oro la faceva diventare soltanto più grande. Diventare grandi, che magia del cavolo!

Non è la prima volta che in un tuo racconto ti relazioni al mondo dei farmaci e, più in particolare, di ciò che influenza la nostra psiche. Cosa ti porta ad indagare lo spazio interiore e le sue relazioni con ciò che può modificarlo?

Quando ho iniziato a fare fumetti avevo cercato il più possibile di eliminare i cliché che non mi piacevano nelle storie che leggevo nei fumetti. Ad esempio le didascalie con il testo “poco dopo” le onomatopee, non le sopportavo… I personaggi che pensavano, per intenderci il baloon a nuvola con il cerchietti… Non so perché ma li trovavo esteticamente brutti! Quindi ho cercato altri modi per far sentire le cose ai personaggi. Ad esempio usando i paesaggi come faceva Munch nei suoi dipinti: un uomo pensieroso in un angolo su una spiaggia verso il crepuscolo. Il personaggio quasi tratteggiato, ma l’atmosfera del paesaggio e la malinconia che trasmetteva era forte come se me lo stesse urlando in faccia. È più bello far capire lo stato d’animo di un personaggio facendolo vedere calato in un mare in tempesta, o nel tranquillo cortile ordinato tra dei palazzi che mettersi a cercare una emoticon sul nostro cellulare per far capire ad una persona come ci sentiamo. Tra i vari escamotage per evitare i baloon dei pensieri  avevo pensato di usare lo psicologo per far sentire i “pensieri” dei miei personaggi. In Quando Tutto Diventò Blu ho usato spesso questi stratagemmi o intuizioni. In Monokerostina il farmaco diventa tutt’uno con la storia, e con la sua fruizione. Come a dire che non stai leggendo una storia su un farmaco, ma sei dentro un farmaco. All’interno della nostra mente le storie sono pensieri liberi che vagano senza senso e direzione. Quando parliamo con qualcuno ai nostri pensieri dobbiamo dargli una “cronologia”, un prima e un dopo. Altrimenti chi parla con noi non ci capisce. Ha bisogno delle regole del teatro aristotelico. Buffo, no? Quando iniziamo a parlare dobbiamo diventare libri, come in quel film dove i pompieri bruciano i libri. Alle volte però non ci sono parole per delle immagini. Come quando guardiamo una smorfia del viso che non ci fa sentire a nostro agio. Un po’ come quando cerchiamo di raccontare un sogno. È sempre più bello il ricordo di quello che riusciamo a raccontare. I fumetti a volte sono la via di mezzo perfetta per raccontare un sogno.

Monokerostina nasce autoprodotto con una (mi permetto di dire bellissima) campagna di prevendita che ha coinvolto i tuoi fan, i tuoi lettori e, fra gli altri, personaggi del mondo social. Cosa offre la possibilità di autoprodursi in relazione al pubblico?

Autoprodursi è un aspetto interessante per sperimentare nuovi modi di fare storie, di creare libri. Monokerostina nasce dall’esperienza di Come Svanire Completamente. Partivo con meno errori in testa di progettazione. Non sei più un autore, sei una casa editrice e pure un tipografo e un ufficio stampa e un programmatore. E se non credi profondamente nella tua idea è facile non andare più d’accordo con tutti gli altri. Quindi devi fidarti e trovare persone che ti aiutino in quello che sanno fare meglio. Io in fondo so fare solo disegnini! Mi fa piacere che hai trovato bellissima la campagna di raccolta fondi. Tutte le persone che mi hanno aiutato: dal sito all’inscatolamento hanno un posto particolare nel mio cuore e una parte importante nel foglio dei ringraziamenti del libro. Mi hanno insegnato a fare meno errori, come Golden Boy: imparo, imparo, imparo.

Il mondo social interagisce sempre di più con quello della “carta”. Alcuni dei tuoi sostenitori si sono trasformati in fumetti proprio grazie a Monokerostina. Ci racconti qualcosa del tuo rapporto con i social?

Non avendo un libro da promuovere ma una raccolta fondi per un libro che ancora doveva essere stampato, anzi disegnato ho cercato di coinvolgere i social media in maniera attiva. Ho portato i sostenitori che mi hanno supportato nel mondo di Monokerostina disegnandoli e immaginandoli nel mondo del fumetto a raccontare la storia e su cosa si basava il crowdfunding. Certo che l’esperienza e il lavoro svolto precedentemente con Come Svanire Completamente mi aveva aiutato, il covid, invece, aveva reso tutto molto più difficile. I social non devono essere fraintesi con dei blog e i blog non dovevano essere confusi con i diari segreti. Come per il mio amico architetto che ha sfruttato un programma online gratuito per fare rendering di facciate di case, dovremmo usare i social per stabilire contatti con persone che la tv e la stampa non ti permettono di raggiungere. Un po’ come era all’inizio, venti anni fa: un posto per trovare amici.

In questi ultimi anni hai lavorato spesso a spettacoli dal vivo, performance che uniscono illustrazione, musica, recitazione. Come hai vissuto e come vivi questo periodo di “isolamento” e allontanamento dal contatto diretto con il pubblico?

Questa estate mentre online era partita la raccolta fondi per Monokerostina, abbiamo girato l’Italia con lo spettacolo di Quando Tutto Diventò Blu. Una cosa eccezionale, molto più eccezionale di aprire un sito e fare una raccolta fondi! È stato un modo per tornare a fare concerti in un periodo impossibile con uno spettacolo che si prestava perfettamente alla situazione. Abbiamo trasformato una storia a fumetti che parlava di attacchi di panico, in uno spettacolo, abbiamo scritto delle canzoni, le abbiamo provate e poi siamo riusciti a fare una ventina di date. E dato che, per colpa del lockdown, molti soldi che avevamo grazie a questo bando Suner, messo in moto da Arci / Emilia Romagna non li avevamo spesi, con Corrado Nuccini abbiamo pensato di registrare le canzoni. Siamo andati in studio e abbiamo chiamato le persone che ci hanno seguito in tour e così a breve uscirà un disco – veramente bello – con le canzoni dello spettacolo. Ci pensi?  È un fumetto che è diventato un disco! Un po’ come quelli che fanno le capriole in ginnastica artistica prima in avanti e poi indietro, e poi in alto. A qualche scrittore un libro diventa un film, noi abbiamo trasformato un fumetto in un disco!

 

TAG: Alessandro Baronciani, Come svanire completamente, Fumetti, graphic novel, Le ragazze dello studio Munari, Monokerostina, Quando tutti diventò blu
CAT: Fumetti, Letteratura

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