C’è poco da esultare per i risultati elettorali in Austria

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25 Maggio 2016

Con un paese spezzato esattamente a metà, non si capisce cosa potrà fare il nuovo Presidente, visto che le elezioni sono state unicamente un voto pro o contro la destra nazionalista e sembrano anticipare i risultati delle legislative del 2018.

Sarà l’illusione delle immagini, ma lo stesso volto e lo stesso muoversi del neo-eletto Presidente austriaco Alexander Van der Bellen sembrano trasmettere la stanchezza e lo sfinimento di un momentaneo scampato pericolo. Dall’altra parte, il grande sconfitto, Norbert Hofer della FPÖ – Partito della Libertà Austriaco, si è dichiarato triste di aver perso, ma lo ha fatto con un sorriso più che soddisfatto e con la spavalderia tipica del politico rampante che sente di essere sulla strada del successo popolare.

Norbert Hofer, candidato presidente della destra nazionalista FPÖ, sconfitto al ballottaggio

Norbert Hofer, candidato presidente della destra nazionalista FPÖ, sconfitto al ballottaggio

La pressione su Van der Bellen è ora enorme, perché il 49,7% di austriaci che ha votato compatto per la destra identitaria sarà certamente più rumoroso e insoddisfatto del 50,3% degli aventi diritto che hanno votato l’indipendente verde. Gran parte degli elettori di Van der Bellen sembra averlo semplicemente scelto per evitare di far eleggere quello che sarebbe stato il primo Capo di Stato nazionalista d’Europa. Se, poi, si considera il cavallo di battaglia della FPÖ, vale a dire una gestione decisamente meno tollerante della crisi dei migranti, lo scenario internazionale dei prossimi mesi non sembra in grado di aiutare il nuovo Presidente e chiunque voglia mantenere, almeno formalmente, una politica di accoglienza. Lo stesso governo socialdemocratico, in queste settimane, ha fatto sfilare a giorni alterni la polizia austriaca sul Brennero, vaneggiando invasioni di migranti dall’Italia e cercando disperatamente di recuperare qualche voto sul versante del paradigma securitario. Uno spettacolo, quello del Brennero, che dimostra una sola cosa: è la destra del FPÖ a segnare l’agenda politica. Le oscene guerre di Siria e Iraq continuano a mutare profondamente le tematiche interne ai paesi UE.

Ma non è tutto qui. Stare all’opposizione con un tale consenso potrà rivelarsi una vera e propria fortuna strategica per la destra identitaria della FPÖ. Quelle di domenica, infatti, erano le elezioni presidenziali. Sono invece previste per il 2018 le elezioni legislative, dove dovrà essere scelto il nuovo Cancelliere austriaco. Al momento il Governo austriaco è ancora formato da una coalizione dei due partiti storici, lo SPÖ – Partito Socialdemocratico d’Austria e lo ÖVP – Partito Popolare Austriaco. Dopo la debacle elettorale del primo turno delle presidenziali, il Cancelliere in carica, il socialdemocratico Werner Faymann, ha rassegnato le dimissioni e, al suo posto, è subentrato Christian Kern. Fino alla settimana scorsa, Kern era un manager pubblico delle Ferrovie Austriache, dove pare abbia lavorato davvero bene, tanto da essere uno dei pochissimi socialdemocratici ancora apprezzati dall’opinione pubblica.

In caso di vittoria di Norbert Hofer, quindi, ci sarebbe stato un Presidente nazionalista e un Cancelliere socialdemocratico. Uno scenario che, invece, potrebbe presto presentarsi a parti inverse, fra due anni: un Presidente verde-indipendente da una parte e un Cancelliere nazionalista dall’altra. I risultati delle presidenziali, infatti, fanno pensare che la FPÖ possa tentare la scalata elettorale nel 2018: due anni di pura opposizione a disposizione possono diventare molto preziosi.
E il candidato Cancelliere della FPÖ non sarà Norbert Hofer, ma il leader del partito e vero uomo forte della destra nazionalista austriaca: Heinz-Christian Strache. Strache, secondo tanti, è il vero manovratore di Hofer e il fatto che sia stato lui a suggerire la possibilità di contestare il risultato al fotofinish delle presidenziali, ne dimostra il ruolo primario. Con l’elezione del compagno di partito a Presidente, Strache sperava di poter disturbare il Governo socialdemocratico il più possibile, per poi dargli il colpo di grazia, magari con elezioni anticipate, ancora prima del 2018.

Insomma, ora o fra due anni, il declino delle forze di governo austriache rimane innegabile. Socialdemocratici e popolari sono riusciti, grazie al richiamo etico del candidato verde-indipendente, a raccogliere un voto di opposizione alla FPÖ, ma si tratta di una fortuna con la data di scadenza. L’obiettivo di sinistra e popolari è ora rafforzare la figura e i poteri del Presidente, sfruttando così il più possibile i sei anni di presidenza di Van der Bellen. Ma non sarà semplice. Con i due maggiori partiti completamente screditati, una formazione verde poco consolidata e un’opposizione idealmente compatta in un solo partito, la polarizzazione politica rischia di minare l’alleanza europeista austriaca.

Una polarizzazione e scissione del paese che è evidenziata dalla distribuzione geografica del voto: Van der Bellen ha stravinto in pochi distretti “verdi”, incluse le città più popolose e la capitale Vienna, grazie al voto per corrispondenza di 900 mila austriaci, che si sono rivelati decisivi, e grazie a decine di migliaia di elettori che si erano astenuti al primo turno. Ma il resto dell’Austria è “blu”, vale a dire che ha votato soprattutto per Norbert Hofer e la FPÖ.

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Il trend stesso della perdita dei voti dei due partiti, che hanno governato l’Austria dal dopoguerra a oggi, parla chiaro: nel 2010 il Presidente socialdemocratico Heinz Fischer fu eletto per la seconda volta, con una maggioranza del 79.33 % e un’affluenza alle urne pari al solo 50% degli aventi diritto. Nel 2016 un’enorme e disseminata quantità di voti si è direttamente trasferita dai socialdemocratici e dai popolari alla destra nazionalista della FPÖ.
Com’è accaduto? Le motivazioni sono tante: si va da una crescente disoccupazione al più volte citato tema dell’immigrazione, che anche in Austria è profondamente intrecciato con quello della convivenza con le neonate comunità islamiche. Non va nemmeno sottovalutato il fastidio degli austriaci per un bipolarismo che era diventato classicamente immobile e clientelare, un male partitocratico che non è mai stato solo italiano, ma appartiene a molte nazioni europee.

Domenica scorsa, la FPÖ è andata a superare il successo a cui era giunta già 17 anni fa, grazie a quella che fu la leadership del primo “nuovo” nazionalista austriaco, Jörg Haider. Ai tempi, Haider fu strategicamente coinvolto dai popolari al governo, al fine di dissinescarne lentamente la portata politica, portando anche a una scissione interna dei nazionalisti. Una strategia, questa, che non potrebbe più funzionare con una FPÖ così potente, votata da metà dei 6 milioni di elettori austriaci.

A poco servono, inoltre, le condanne politiche che arrivano dal resto d’Europa e che, talvolta, sembrano pretendere di fermare gli stravolgimenti elettorali provando a considerarli alla stregua di irresponsabili capricci. L’Austria che vota FPÖ ha le sue roccaforti nelle aree rurali e più conservatrici, la cui concezione politica è fieramente ostile alle zone urbane e metropolitane, più europeiste e cosmopolite, a partire dalla capitale Vienna. Bacini elettorali che, insomma, non sembrano pronti a prendere lezioni particolari dai moderati d’Europa e trovano sempre più spazio nel ritorno del tradizionalismo nazionale.
Un versante tradizionalista austriaco che, se si vuole andare al cuore della destra estrema, non ha mai sentito il bisogno di rinnegare i legami con un certo pangermanesimo e con quello che fu l’ambiguo ruolo austriaco durante il Terzo Reich.
Fin dalla sua fondazione nel 1956, la FPÖ è stata un pendolo tra posizioni più liberali e posizioni più nazionaliste, così come la stessa direzione di Haider fu inizialmente più nazionalista, per poi portare il carismatico leader ad abbandonare il partito e dar vita a una formazione ufficialmente più moderata.
Negli ultimi anni è stato proprio Heinz-Christian Strache a risollevare le sorti del partito, trovando nella lotta all’immigrazione e nell’euroscetticismo due solidi fronti politici. A questo si è aggiunta una svolta pop e social della comunicazione, che è stata anche alla base della rinnovata penetrazione negli strati più popolari del paese. Strache, infatti, riesce da anni a parlare di tolleranza zero e rimpatri di immigrati, senza però rinunciare a rappare, vestito come Top Gun, in uno dei video promozionali del suo partito.

Il leader del partito Strache è proprio il cantante con gli occhiali da sole e la giacca di pelle e il titolo della canzone è “Alzatevi in piedi, se siete per HC Strache”. Qualsiasi cosa si pensi della qualità creativa del video, è anche così che la FPÖ è arrivata quasi al 50+1%, scappando dall’immagine classica della destra estrema e dedicandosi al super-kitsch populista.

Alla parte più imbarazzante della campagna elettorale, la FPÖ ha però anche unito una lucida strategia sullo scacchiere europeo. Lo ha fatto, ad esempio, alleandosi con due consolidate forze politiche come il Front National francese e la Lega Nord italiana, oltre che avvicinandosi sempre di più alla AfD tedesca.
Alleanze, queste, che possono sembrare salvifiche a qualche moderno patriota e amante dell’Europa dei popoli. Alleanze che, però, nascondono molte più insidie di quanto si possa credere, anche volendo seguire la logica identitaria. Un esempio su tutti: pochi giorni prima del ballottaggio, proprio il candidato Presidente Norbert Hofer ha ricominciato a parlare di restituzione dell’Alto Adige (Südtirol) all’Austria, proponendo la possibilità di un referendum interno alla Provincia Autonoma di Bolzano, a cui bisognerebbe chiedere di decidere se restare italiana o diventare austriaca.
Un dettaglio che mostra come l’odio comune per i burocrati di Bruxelles non sarà forse capace di portare lunga pace tra i vari nazionalismi.
Del resto, è per questo che era nata l’Unione Europea, per superare i nazionalismi delle due guerre mondiali. Un dettaglio fondamentale sempre più dimenticato, se non completamente sacrificato.

Oggi, guardando all’Austria, la figura del nuovo Presidente Alexander Van der Bellen può ispirare una certa simpatia, ma non sembra in grado di costruire una reale alternativa. Un’alternativa che vada a superare quei partiti nominalmente socialdemocratici, liberali e popolari, vale a dire quei partiti storici che si presentano sempre di più come contenitori senza contenuti vivi.
Piaccia o meno, fino a quando l’alternativa alla regressione nazionalista sarà la governance fantasma di un’Europa inginocchiata di fronte al contatore finanziario, le forze più tradizionaliste continueranno a trovare spazio, muovendosi tra il risentimento e la rivalsa, giungendo addirittura a impugnare la bandiera di una momentanea ribellione.

Dall’altra parte, proprio chi sembra aver dimenticato cosa sarebbe dovuta essere l’Europa, esulta oggi per questi rosicchiati 31.000 voti austriaci. Esulta chiamando vittoria quella che rischia di rivelarsi una nuova puntata del fallimento europeo.
Un’Europa che, per smettere di fallire, dovrebbe iniziare a lottare per un’unità che sia parte di una reale e concreta libertà.

Alexander Van der Bellen, nuovo Presidente dell'Austria, eletto come indipendente sostenuto dai Verdi

Alexander Van der Bellen, nuovo Presidente dell’Austria, eletto come indipendente sostenuto dai Verdi

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immagine iniziale: screenshot dal video promozionale della FPÖ
immagine Hofer: fonte
immagine cartina voto: fonte
immagine Van der Bellen: fonte

TAG:
CAT: Geopolitica

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