Geopolitica
Viaggio alla fine dell’Europa, II – I profughi di Eleonas
Continua il viaggio alla fine dell’Europa, guardando alla situazione dei profughi siriani e afgani ad Atene. Sono entrato nel campo di Eleonas, di cui poco si parla. Voluto dal primo governo SYRIZA, il campo – nella situazione attuale di emergenza – è un esempio per l’accoglienza dei profughi. Ma non mancano alcune ombre, pensando al campo improvvisato di Viktoria.
Nel centro di Atene, andando verso ovest rispetto all’acropoli, si trova una grande via, Iera Odós, la via sacra. L’area, alla fermata del metró di Eleonas, si trova in una zona industriale. Polvere, camion, solo c’è una sede distaccata della facoltà di agricoltura dell’Università di Atene. Dopo un pó di domande, si trova la via laterale che porta all’ingresso del centro, recintato e chiuso da un cancello. Due poliziotti presidiano l’ingresso; due ragazzi, forse afgani, siedono li davanti, sorridenti. 
Dopo poco, arriva la responsabile del campo, una ragazza trafelata e dai tratti un po’ nervosi, ma molto simpatica. Mi dice che il campo è aperto, si può entrare, ma di non fare riprese, non fotografare volti, e non cercare di fare troppe domande agli abitanti, data la loro situazione di stress. Lascia entrare me e i due norvegesi, e questo è ciò che si presenta ai nostri occhi:
Una situazione molto ordinata, tranquilla. È pomeriggio, le persone sono fuori, o nei container a riposare. Colpisce la densità, perfettamente vivibile. Il contrario, insomma, di quanto visto l’altro giorno al metró di Viktoria.
Nella tenda in fondo giocano bambini. Una mi saluta, e un signore si avvicina, mi sorride, stringe la mano. Le facce sono abbastanza rilassate. 
La responsabile mette fretta, usciamo dal campo. Davanti al cancello, riusciamo a farle qualche domanda, e si lascia fotografare: 

SYRIZA, giustamente, pubblicizza Eleonas come un modello di buona politica dell’immigrazione. Facendo un po’ di ricerche però, si scopre che fu uno dei primi atti del precedente governo di Tsipras chiudere l’altro grande centro, quello di Amygdaléza, aperto nel 2012 dal governo tecnico di Papadimos. Quel centro fu chiuso tra grandi tamburi ideologici, per aprirne subito un altro, appunto Eleonas, e per appurare di aver comunque bisogno di riaprire nuovamente Amygdaléza: così una delle prime dichiarazioni del nuovo ministro per le politiche migratorie, Yannis Mouzalas. Un ministero questo, detto per inciso, che è stato istituito proprio dal governo Tsipras.
Molti dicono che SYRIZA vince facile sul tema dei profughi, cui il suo elettorato è molto sensibile. Può permettersi di creare un ministero, puó aprire un centro modello. Ma diverse fonti dicono anche che tutto questo nasconda assenza di un piano reale, dopo aver rilassato i controlli sulla frontiera turca. Si legge sul web di una nave carica di profughi diretta a Salonicco, e dirottata invece ad Atene senza ragioni evidenti. E perché, se Eleonas non è pieno, non si sgombera (la situazione onestamente intollerabile di) Viktoria?
Al di là dell’uso politico dei profughi, per me, tra tutto quello che ho visto e sentito in questi giorni ad Atene, resta traccia di una cosa in primo luogo: la certificazione dell’assenza di ciò che, prima, la mia generazione chiamava Europa, un unione che tendesse ad una sempre maggiore unificazione e collaborazione, anche in materia di confini. E tutte queste persone che si mettono in viaggio, dicendo sempre e solo che vogliono arrivare in Germania, devono in qualche modo ben accorgersene.


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