Il cortocircuito tra antisemitismo e antisionismo
«Se, per assurdo, ci fosse una guerra tra l’Italia e Israele, io, ebreo italiano, non avrei nessuna esitazione ad arruolarmi nell’esercito italiano»: così mi diceva quasi vent’anni fa un esponente della comunità ebraica di Milano, valido architetto che il lavoro aveva portato anche a Tel Aviv. Parole ancor più significative se si pensa che da bambino quell’uomo era stato perseguitato proprio dal paese che poi avrebbe deciso di servire, dopo la Liberazione, scegliendo di non fare aliyah.
Forse con declinazioni diverse, tali posizioni rispecchiano quelle di molti ebrei non israeliani: legati ineluttabilmente alla terra dei loro avi, spesso sostenitori del progetto sionista, sono però anzitutto italiani, francesi, austriaci, statunitensi. Se così non fosse non sarebbero rimasti nella loro patria ma si sarebbero trasferiti in Israele, dove del resto molti governi, da Begin a Shamir a Netanyahu, li avrebbero accolti a braccia aperte, se non altro per dimostrare la fondatezza delle posizioni nazionaliste ed etnocentriche della versione revisionista del sionismo, espressa oggi dallo stesso Netanyahu e da Lieberman (che non perde occasione per richiedere l’espulsione dei cittadini israeliani di origine araba). In fondo una mortificazione della stessa identità ebraica, che tradizionalmente non si esprime in forma monolitica ma è portatrice di un ricco pluralismo, fissato nella celebre massima «due ebrei, tre opinioni».
Nel ricondurre le differenze a un’unità irriducibile sono in genere d’accordo gli estremisti, siano essi quelli del Likud, di Israel Beitenu, del neonazismo europeo, del suprematismo trumpiano, del tradizionalismo cattolico o dell’islamismo radicale: quando Netanyahu e i suoi replicanti occidentali sostengono che ogni critica alle politiche settarie dell’attuale governo di Tel Aviv ha una matrice antisemita, offrono un’arma in più agli antisemiti veri, che possono rivestire di improvvisata politica antisionista il loro atavico odio antiebraico. E le vittime di questo cortocircuito, per lo più, non sono i responsabili di tale confusione, bensì i comuni cittadini ebrei, compresi quelli che vorrebbero la pace tra Israele e Palestina, e che hanno forti perplessità sull’attuale leadership israeliana. Ma vittime di questa mancanza di discernimento che tende a ridurre la complessità della realtà a una forzata polarizzazione siamo tutti noi, in Europa, dove tra l’altro da tempo sono in aumento i consensi e le attività dei gruppi neonazisti e di quelli nazionalisti e sono sempre di più coloro che li tollerano. Anche dal rifiuto delle banalizzazioni sul tema dell’antisionismo e dell’antisemitismo passa lo sforzo per frenare questa deriva estremista.
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