40.000 euro per un figlio; Italia condannata

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2 Marzo 2017

La condanna odierna della Corte Europea dei diritti dell’Uomo di Strasburgo nel caso Talpis contro Italia (domanda n° 41237/14) è uno schiaffo alle autorità italiane. I giudici hanno ritenuto che esse non sono intervenute nonostante la signora Talpis avesse chiesto più volte aiuto contro le violenze domestiche cui era costretta, creando una situazione di impunità nella quale i maltrattamenti sono proseguiti sfociando nella morte del figlio della donna. L’Italia, per la Corte, si è resa triplicemente responsabile per violazioni del diritto alla vita, proibizione di trattamenti degradanti e discriminazione.

 
Ecco i fatti come ricostruiti nella sentenza di 54 pagine. La signora Elisaveta Talpis, una cittadina romena residente in Italia a Remanzacco, in provincia di Udine, il 2 giugno 2012 si rivolse alla polizia affermando che il marito alcolizzato l’aveva picchiata insieme alla figlia. L’equipaggio di una volante trovò il marito ubriaco in strada e verbalizzò le lesioni. L’uomo durante gli accertamenti si nascose in cantina. Il successivo 19 agosto la signora intercettò per strada una volante e chiese di nuovo aiuto affermando che il marito, minacciandola con un coltello, la stava forzando a seguirlo per avere un rapporto sessuale con un suo amico. Il coniuge fu sanzionato per porto d’armi abusivo, ma nulla più. Alla signora Talpis vennero riscontrate in ospedale delle ferite al capo ed al corpo guaribili in una settimana. La donna fu quindi accolta in una comunità di assistenza ma per soli 3 mesi, dopo di che dovette lasciare il posto per fare spazio a nuovi casi. Passò un periodo per strada, ha affermato, ed a tratti da amici, prima di trovare un lavoro ed essere in grado di affittarsi un appartamento. Il marito riprese a perseguitarla ed il 5 settembre la signora Talpis lo denunciò per lesioni e minacce, chiedendo alle forze dell’ordine di fermarlo. Solo il 4 agosto 2013 la polizia si prese però cura di ascoltarla per la prima volta. Lei ridimensionò le accuse e ciò portò alla chiusura del procedimento, anche se nell’ottobre 2015 il coniuge subì una multa di 2.000 euro per maltrattamenti.

 
Il 25 novembre 2013 la signora Talpis dovette rivolgersi però ancora alla polizia per una lite col marito. Era già la terza volta. L’uomo fu temporaneamente ospedalizzato in stato di intossicazione alcolica.  Dopo la dimissione fu tuttavia ancora trovato in stato di ebbrezza, ma venne solo multato e gli fu concesso di tornare a casa. Appena due ore e mezza più tardi, rientrò nell’appartamento armato di coltello ed aggredì la moglie. Il figlio 19enne cercò di intervenire e si prese una coltellata che lo uccise. Il marito ferì più volte al petto anche la signora Talpis mentre questa cercava di fuggire. Nel gennaio 2015 -dopo 3 anni dalla denuncia delle prime violenze- il marito venne infine condannato all’ergastolo per omicidio e tentato omicidio, porto d’armi e lesioni a moglie e figlia, nonché condannato a pagare i danni alla coniuge.

 
La signora Talpis, in un ricorso presentato alla corte europea il 23 maggio 2014, ha accusato le autorità italiane di non aver agito in modo adeguato per impedire l’omicidio di suo figlio e di averla discriminata in quanto donna, criticando l’inadeguatezza della legislazione italiana contro la violenza domestica.

 
I magistrati europei hanno constatato che non è stato emesso alcun ordine di protezione volto a tenere lontano il marito alcolizzato. Il lasso di ben sette mesi prima che gli inquirenti intervistassero la denunciante la ha privata della protezione richiesta dalla situazione, hanno argomentato. È del tutto mancata una valutazione dei rischi imputabili alla situazione concreta. Anche se il 25 novembre 2013, la sera dell’omicidio, la polizia intervenne due volte, gli agenti non hanno preso neppure allora misure adeguate a proteggere la donna nonostante l’aggressività del marito fosse agli atti.

 
La signora Talpis doveva invece essere considerata una persona vulnerabile e l’inerzia delle autorità per i giudici non è giustificabile. Pur essendo note diverse occasioni precedenti in cui la donna aveva subito violenze domestiche le autorità non hanno condotto indagini, avallando di fatto la prosecuzione delle violenze contro di lei e discriminandola in quanto donna. Per i magistrati europei alla luce del rapporto del 2012 delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, delle osservazioni del Comitato contro l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne e le rilevazioni dell’Istituto Nazionale di Statistiche, che dimostravano la drammatica portata del fenomeno delle violenze domestiche in Italia, sfociata in numerosi casi di omicidio di donne da parte dei loro compagni (la cronaca ha coniato il neologismo femmincidio), le autorità italiane avrebbero dovuto riscontrare che la signora Talpis subiva violenze in quanto donna ed attivarsi. Anche se non all’unanimità del collegio giudicante, l’Italia è stata condannata al pagamento di 30.000 euro di danni morali e 10.000 di spese.

 

Solo questo valgono un figlio morto, accoltellamenti e 3 anni di percosse poco ascoltate.

TAG: corte dei diritti dell'uomo di strasburgo, femminicidio, Talpis
CAT: Giustizia

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