Davigo non può restare al Csm

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13 Ottobre 2020

Tra pochi giorni Piercamillo Davigo verrà collocato in pensione per raggiunti limiti di età.
Da mesi si discute se possa o meno conservare la sua carica di consigliere del csm, alla quale è stato eletto due anni fa.
A mio avviso, già il solo fatto che se ne debba discutere e che il diretto interessato non mostri alcuna sensibilità istituzionale al riguardo, avendo lasciato trapelare la sua intenzione di rimanere al csm anche successivamente alla cessazione del suo status di magistrato, reca un danno non indifferente alla credibilità dell’organo e della stessa amministrazione della giustizia in Italia.

La lettura del dato costituzionale, nonché della legge che disciplina l’elezione dei componenti, non lascia molti dubbi al riguardo: il csm si compone per un terzo di membri “laici” eletti dal parlamento e per due terzi da magistrati appartenenti alle varie categorie. Nello specifico, oltre al primo presidente della corte di cassazione e al procuratore generale, i magistrati sono 16: 2 che esercitano funzioni di legittimità, 10 che esercitano funzioni giudicanti di merito, 4 che esercitano funzioni requirenti di merito.
È di tutta evidenza che la permanenza nel mandato di Piercamillo Davigo porterebbe a un’alterazione nella composizione del csm e – soprattutto – del delicato equilibrio dell’organo così come è stato voluto in costituzione.

La componente togata (da qui il malumore espresso da molti magistrati) vedrebbe ridursi la propria rappresentanza, e all’interno del consiglio si registrerebbe la presenza di una figura non soggetta né agli obblighi, anche disciplinari, dei magistrati, né alle responsabilità dei componenti di nomina politica.
Vale la pena di ricordare che per avere i requisiti richiesti per l’eleggibilità al csm è necessario l’esercizio effettivo delle funzioni giudiziarie (art. 24, comma 2, lett. a, legge 195/1958), e che, sotto il profilo disciplinare, il magistrato che incorre in una sanzione superiore all’ammonimento decade dall’incarico (art. 37, comma 4, legge 195/1958 e succ. modif.).

Davigo, ove insistesse per restare al csm dopo essere andato in quiescenza come magistrato, si troverebbe nella duplice condizione di non possedere i requisiti di eleggibilità alla carica, e di non essere soggetto ai medesimi obblighi disciplinari degli ex colleghi che dovrebbe continuare a rappresentare.

Stupisce (ma non più di tanto, purtroppo) che un uomo che, nel corso della sua carriera di magistrato, si è sempre detto paladino della legalità non avverta l’esigenza di fare chiarezza su questa penosa vicenda, lasciando addirittura trapelare l’ipotesi di ricorsi laddove il plenum ne dichiarasse, come sarebbe doveroso attendersi, la decadenza dal mandato.
C’è ancora qualche giorno di tempo per risparmiare alle istituzioni e all’amministrazione della giustizia uno spettacolo non edificante; a questo proposito, un autorevole intervento del presidente della repubblica, che è anche presidente del csm e garantisce il rispetto degli equilibri costituzionali fra i poteri dello stato, non sarebbe fuori luogo, anzi.

TAG: Csm, Piercamillo DAvigo
CAT: Giustizia

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