Gli agenti russi a piazza Bolotnaya nel 2012 violarono i diritti umani
Otto anni dopo la presentazione del ricorso (domanda 75186/12) la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato il 10 novembre 2020 la Russia per un arresto arbitrario e violento di Aleksej Anatol’evič Naval’nyj e del suo simpatizzante Vadim Borisovich Gunko il 6 maggio 2012. Il segretario del Partito Democratico del Progresso venne fermato senza alcun preavviso da agenti ben equipaggiati mentre si accingeva a salire sul palco per tenere un discorso durante la manifestazione nella piazza Bolotnaya di Mosca che segnava l’apice dell’aperta protesta alla vigilia del terzo mandato a Presidente di Vladimir Putin. Secondo le cronache, pur essendo inizialmente autorizzato, il raduno venne impedito con durezza naufragando in un bilancio di un’ottantina di feriti e centinaia di arresti, proseguiti anche nei giorni successivi.
Esaminando delle riprese la Corte di Strasburgo ha convenuto all’unanimità che ci fu uso ingiustificato della forza durante l’arresto di Naval’nyj, senza che egli avesse opposto alcuna resistenza palese, ed ha riscontrato che se anche potesse essere ammissibile che il politico russo fu condotto in commissariato per le verbalizzazioni, non c’era poi alcun apparente motivo perché egli fosse ulteriormente fermato per circa 18 ore. I giudici europei hanno riscontrato che l’amministrazione russa ha omesso di controinterrogare i poliziotti che avevano eseguito l’arresto per verificare le accuse di uso eccessivo di violenza -Naval’nyj affermò che gli torsero fermamente il polso per tutto il tragitto- e rifiutato di accettare qualsiasi altro documento che non fosse il rapporto scritto degli agenti ed hanno censurato unisoni, come le autorità russe abbiano interferito con i diritti di riunione e libera manifestazione del pensiero. Analogamente arbitrario e “non necessario in una società democratica” per i magistrati di Strasburgo l’arresto di Vadim Borisovich Gunko mentre cercava pacificamente di lasciare il luogo della manifestazione.
Una decisione tardiva e tenue, che non ha accolto le richieste di ristoro delle spese legali riconoscendo solo un risarcimento di 8.500 euro per danni morali in favore di Naval’nyj e 7.500 per Gunko, ma comunque una censura chiara della condotta delle autorità moscovite, dichiarata in aperta violazione dei diritti di libertà e sicurezza, giudizio equo, e libertà di riunione e di manifestazione.
Anche se è improbabile che se la pronuncia fosse giunta prima, avrebbe potuto distogliere Mosca nella convinzione di impunità e scongiurato il tentativo di avvelenamento di Aleksej Naval’nyj, è una sentenza simbolica, che va ad aggiungersi ai precedenti della stessa Corte del caso Frumkin del 5 gennaio 2016 nel quale la Russia era stata sanzionata a pagare 32.000 euro e del 17 ottobre 2017, quando per la condanna arbitraria di Naval’nyj e del fratello Oleg per frode fiscale e riciclaggio, la Federazione Russa aveva dovuto risarcirli rispettivamente con 55.000 euro ed altri 10.971 euro e 460.000 rubli.
Più severo sul piano politico per il Governo Putin sarà quasi certamente ancora il verdetto nel processo in corso a Berlino per l’omicidio del cittadino georgiano Zelimkhan Khangoschwili, un ex combattente contro la Federazione Russa nella seconda guerra cecena, freddato il 23 agosto 2019 nei Tiergarten della capitale tedesca con tre colpi di pistola Glock 26 con silenziatore da Wadim Nikolajewitsch Krasikov, che secondo gli inquirenti era un killer su incarico diretto del Cremlino.
Foto di copertina, da https://pixabay.com/it/illustrations/putin-il-presidente-russo-politica-2972184/
© AMJ
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