L’immunità parlamentare salva il sen. Mario Giarrusso, aveva mentito e diffamato

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23 Febbraio 2022

«I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». Così inizia l’art.68 della Costituzione Italiana che regola l’immunità parlamentare e, proprio sulla base di questo, il 22 febbraio 2022 la Gip di Catania, Carla Aurora Valenti, ha disposto l’ordinanza di archiviazione della querela per diffamazione aggravata presentata dall’ex capo della Dia, il questore Agatino Pappalardo, nei confronti del senatore Mario Michele Giarrusso, ex M5s e ora confluito nel gruppo “Misto” dopo la sua uscita dal movimento.

Nella querela presentata dal questore Pappalardo si legge che «in data 21 luglio 2020 durante l’audizione presso la “Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere” ripresa anche dalla web Tv del Parlamento, di Claudio Fava quale Presidente della “Commissione d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia” sulla “Relazione Antoci” interveniva quale componente, minuto 34.20, il senatore Giarrusso (…)Il Giarrusso, dopo aver gettato discreto sulla Commissione regionale ed in specie sulla “Relazione Antoci”, ed usando un tono poco consono alle istituzioni, rivolgeva la sua attenzione su di me (…) definendomi per intanto “tale Pappalardo Agatino” (…) Al minuto 35.44 il Giarrusso affermava che secondo la sentenza sulla “Trattativa Stato mafia” della Corte di Assise di Palermo del 20 aprile 2018 io sarei quel dirigente della DIA che avrebbe ostacolato la cattura di Bernardo Provenzano. Da una prima lettura (rectius ascolto) delle sue affermazioni sembra quasi che io sia stato imputato e condannato in quel processo o che quanto meno constatato il mio coinvolgimento nel mancato arresto del Provenzano la Corte avrebbe trasmesso gli atti alla competente Procura per procedere nei miei confronti».

Il questore Pappalardo, inoltre, aggiunge che «quanto affermato dal Giarrusso, assolutamente gravissimo, non è solo lesivo della mia onorabilità e del mio Corpo di appartenenza, è un’accusa infamante. Ora non sono gravi affermazioni da chiacchere da bar dovute al caldo od a una approssimazione culturale, ingiustificabile, ma purtroppo oggi presente nella nostra Società. E invero il Giarrusso non è (non dovrebbe) essere uno sprovveduto od un ignorante od un semplice avventore da bar. È un senatore della Repubblica componente, appunto, della commissione antimafia, autore di libri sulla mafia, e con un curriculum di esperto della materia. È un avvocato. Una persona comunque qualificata, che ha un suo seguito politico. È evidente quindi che non poteva incorrere in un errore, che sarebbe stato comunque gravissimo ed intollerabile, ma ha compiuto quelle propalazioni false ed infamanti assolutamente consapevole della propria falsità. Il perché abbia agito in tal modo poco importa (…) Vi è ovviamente l’aggravante di un fatto specifico nonché l’aggravante di aver utilizzato un mezzo a larghissima diffusione qual è la web tv del Parlamento (…) Per quanto sin qui esposto chiedo che si proceda penalmente nei confronti del Senatore Mario Giarrusso per il reato di diffamazione pluriaggravata ex art. 595 commi 2 e 3 per aver affermato che io, secondo una sentenza della  Corte di Assise di Palermo del 20 aprile 2018, avrei impedito la cattura di Bernardo Provenzano».

La Gip Carla Aurora Valenti nell’ordinanza di archiviazione indica che «reputa condivisibile la considerazione svolta dal Pubblico Ministero nella sua richiesta, secondo cui non può non prendersi atto che le dichiarazioni rese dall’indagato siano coperte dall’immunità parlamentare ai sensi dell’art. 68, comma 1, Cost., in quanto rese nell’esercizio delle funzioni parlamentari, segnatamente durante una seduta della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia, di cui il Giarrusso è membro» e indica che «l’indagato ha effettivamente riportato una notizia falsa, atteso che dalla sentenza della Corte d’Assise di Palermo citata dall’indagato nel corso dell’audizione parlamentare in questione non emerge alcuna responsabilità della persona offesa con riferimento alla mancata cattura di Bernardo Provenzano, ma che, ciononostante, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che “l’insindacabilità parlamentare trova applicazione sempre all’interno degli istituti parlamentari e, in presenza del c.d. nesso funzionale, anche all’esterno, anche se, in tema di diffamazione, non vengono rispettati i tre parametri che, per jus receptum, devono connotare l’esercizio del diritto di cronaca (e, con qualche precisazione, anche di quello di critica): il rispetto della verità, la rilevanza sociale e la continenza” (Cass. sez. V pen., 25.01.2011 (ud. del 26.11.2010) n. 2384)».

Quindi per un Senatore della Repubblica è possibile mentire, sapendo di mentire, e di diffamare nell’esercizio delle sue funzioni?

«La cosa più grave – ci racconta l’avvocato D’Antona, legale nominato dal questore Pappalardo – è che il Giarrusso non esprime un’opinione, ad esempio non dice “per me è un ladro”, ma dice che risulta da una sentenza e questo è veramente un fatto più grave perché falso. A mio giudizio l’art.68 della Costituzione non era applicabile in questo caso perché si è trattato dell’attribuzione di un reato, altrimenti non avrei presentato la denuncia. Il giudice ha ritenuto in maniera diversa e non possiamo fare nulla».

Il senatore Giarrusso non è nuovo all’uso disinvolto del parafulmine dell’immunità parlamentare. Successe anche nel 2017 quando, nel corso di un dibattito online, accusò la giornalista Debora Borgese di essere nel libro paga di Fratelli d’Italia, attribuendole un nomignolo a sfondo sessuale, accostandola pubblicamente alla figura di Madame de Pompadour, l’amante di Luigi XV che grazie a questa liaison riuscì a condividerne il potere. «Una nota lingua velenosa catanese (…) mi dicono sia la discendente di Madame de Pompadour (…) Una finta seguace di Robespierre e vera stipendiata da FdI», così Giarrusso diffamò sui social Debora Borgese.

Questo scudo di garanzia, dimostra che, in fin dei conti, non siamo tutti uguali?

«Di fatto la Costituzione s’impegna a renderci tutti uguali – continua l’avvocato D’Antona – ma esistono degli status, previsti nella Costituzione, che sanciscono una differenza ma, ripeto, ritengo che in questo caso non dovesse essere applicato l’art.68. D’altro canto è legittimo e importante che un parlamentare possa esprimere liberamente le proprie opinioni. Se pensiamo agli anni ’60, e penso a Capanna o a Pannella, era importante, allora come oggi, che al parlamentare sia lasciata la libertà di espressione, quella stessa che permise di gridare “Aborto libero” a Pannella quando ancora la legge non esisteva».

Quindi, anche se c’è la richiesta di archiviazione che dovrà ora seguire il suo iter, la reputazione, la rispettabilità e l’onore del questore Pappalardo sono salvi?

«Rispetto all’ordinanza, invece – prosegue l’avvocato D’Antona –  il giudice da atto che le dichiarazioni del Giarrusso sono mendaci. Il questore Pappalardo, persona che ha sempre rifuggito i riflettori, è una persona degnissima, seria e perbene. Si tratta di un vero poliziotto, non di un burocrate o di un poliziotto politicizzato. Un poliziotto che ha sempre agito al di sopra di ogni sospetto».

Resta il fatto che il senatore Giarrusso ha mentito e diffamato perchè «la Corte evidenzia in maniera esplicita che la causa di non punibilità prevista dall’art. 68, comma 1, Cost. si applica anche ad affermazioni non corrispondenti al vero, essendo preordinata a garantire a ogni membro del Parlamento il diritto di non essere perseguito “anche se ha mentito e se, mentendo, ha diffamato taluno; sempre, s’intende, che ciò abbia fatto nell’esercizio delle sue funzioni”».

TAG: Agatino Pappalardo, applicabilità, Art. 68 Costituzione, diffamazione, immunità parlamentare, inapplicabilità, Mario Michele Giarrusso, menzogne, parafulmine
CAT: Giustizia

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