L’«inchino» della Commissione Parlamentare Antimafia al boss
Ci siamo scandalizzati tutte le volte che, attraverso la stampa, eravamo informati che, durante molte feste del Patrono, la processione si fermasse per rendere omaggio sotto il balcone del boss locale. Abbiamo espresso parole di disgusto e con noi anche il Presidente pro-tempore della Commissione Antimafia quando, nel 2019, commentò quanto avvenuto a Casabona, nel Crotonese, dove il fratello di un boss della ‘ndrangheta è stato salutato da un applauso nel corso della cerimonia per la cresima del figlio indicando che avrebbe valutato se promuovere un’attività istruttoria, per evitare che potessero ripetersi situazioni simili. Affermò che si trattava di “una vicenda grave perché indica non un reato ma un comportamento paramafioso, comunque espressione di contiguità nei confronti di logiche mafiose”.
Ma, come dice la Bibbia, “Fate quello che vi dicono, ma non fate come fanno loro” perché, lo scorso 5 maggio, nel corso dell’ultima tappa della Commissione Antimafia in Sicilia, dopo le audizioni in programma, proprio la Commissione Antimafia capitanata da Nicola Morra si è recata nel luogo in cui fu ucciso dalla mafia il boss mafioso e confidente dei carabinieri Luigi Ilardo. Un «inchino» dovuto, secondo loro, dalla fedeltà alle Istituzioni del boss e dei servigi resi anche se, agli atti dei diversi procedimenti che riguardano la sua vita e la sua morte, emergono prove incontrovertibili, trattandosi di procedimenti passati in giudicato, sul suo rapporto come confidente e sulle verità taciute nell’audizione in Commissione Antimafia come riportato qui. Per avere una visione più chiara e imparziale della storia di Luigi Ilardo potete leggere il primo, il secondo e il terzo articolo che se ne occupano nel dettaglio.
Di fondo non è concepibile, assimilare Ilardo alle vittime da celebrare e ricordare perché la sua morte è stata voluta dalla mafia, come dimostra il processo sulla sua morte, ed è vittima come lo furono i mafiosi e non le vittime innocenti di mafia, gli uomini dello Stato, i cittadini che si erano ribellati al giogo mafioso e i bambini. I mafiosi sono morti da mafiosi. Non sono vittime se non di se stessi. Nessun mafioso muore da vittima. Muore perché, in un modo o nell’altro, ha mancato al suo giuramento mafioso. Questo vale anche per i confidenti ma anche per i collaboratori di giustizia. Sono uccisi perché collaboravano con lo Stato ma non sono e non saranno mai vittime innocenti di mafia ma sono e saranno sempre vittime della loro scelta scellerata.
Anche se nell’ultimo periodo della sua vita ha deciso di diventare confidente dell’Arma, le relazioni di servizio che raccontano il suo apporto, le trascrizioni di quanto disse al colonnello Riccio e i riscontri dimostrano che quanto è raccontato oggi per cercare di assurgerlo al ruolo di vittima da celebrare non è la verità.
Forse, il Presidente Morra, questa volta aprirà un’attività istruttoria sul suo operato e quello della sua Commissione? Probabilmente no e dovremo forse fare nostre quanto disse che si tratta di “una vicenda grave perché indica non un reato ma un comportamento paramafioso, comunque espressione di contiguità nei confronti di logiche mafiose”.
Ma forse si stanno preparando le passerelle e gli inviti esclusivi per gli anniversari del trentennale delle stragi del 1992 e qualcuno vuole prenotare in posto in prima fila o, piuttosto, sul palco.
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