Non pronunciare il nome dell’antimafia invano

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5 Luglio 2015

Ad Attilio Bolzoni, di Repubblica, l’ex presidente dei sindaci della Locride, Ilario Ammendola, in una intervista del 2013, dichiarò: “L’antimafia è diventata troppo pubblicitaria, crea mostri”.

Parole pronunciate a commento dell’arresto della sindaca di Isola Capo Rizzuto, Caterina Girasole, accusata di voto di scambio con la cosca Arena. Un simbolo della lotta alla ‘ndrangheta che finiva nei guai per ‘ndrangheta.

L’antimafia, senza andare molto indietro nel tempo e citare Sciascia con i suoi “professionisti”, negli ultimi tre anni ha visto cadere come birilli molte sue icone.

Ultimo, in ordine di tempo, l’ex senatore Ds ed ex componente della commissione Lavori pubblici e Antimafia, Lorenzo Diana, coinvolto in una inchiesta della magistratura campana che lo accusa di concorso esterno in associazione camorristica, corruzione (già prescritta) e per abuso d’ufficio, in due distinte ordinanze.

Per lui, citato anche da Roberto Saviano in “Gomorra” come simbolo della lotta ai Casalesi (è di San Cipriano d’Aversa), il gip ha disposto una misura cautelare lieve, e solo per reati contro la pubblica amministrazione: il divieto di dimora in Campania.
“Non ho letto ancora il provvedimento e cosa mi si addebita. Mi sembra di essere tra un sogno e Scherzi a parte“, ha commentato a calso Diana, che vive sotto scorta.

Certo, le accuse che gli vengono rivolte andranno dimostrate e in Italia per stabilire se un persona è realmente colpevole di quello che gli si addebita, bisogna attendere il terzo grado di giudizio.

L’aspetto che lascia perplessi, in queste vicende, è un altro: ci sono persone che, sventolando la bandiera della legalità in convegni, incontri, interviste, riescono a fare di se stesse delle icone. Con tutti i benefici che lo status comporta e con un aggravio di spese per il bilancio dello Stato (l’assegnazione di una scorta è la conclamazione ufficiale a simbolo antimafia socialmente riconosciuto).

Le icone le vedi ai convegni sulla legalità in giro per l’Italia – una delle piazze preferite è Reggio Emilia (dove l’inchiesta Aemilia non ha fatto che confermare quanto già si sapeva da anni ma alla politica faceva comodo far finta di non vedere) e pensi a quanto possa essere alto il prezzo da pagare in Italia per coloro che decidono di stare dalla parte giusta

Le senti parlare e non puoi che essere d’accordo con loro. Ti avvicini a fine convegno, stringi le loro mani congratulandoti , per poi scoprire, qualche tempo dopo, che secondo qualche magistrato, quelle mani hanno stretto altre mani, di camorristi o ndranghetisti, con i quali hanno stretto patti e non certo nell’ottica dell’impegno civile.

La terra dove queste icone sono pian piano sprofondate nel fango è la Calabria.

Sebastiano Giorgi, sindaco di San Luca, Rosy Canale, fondatrice e animatrice del movimento Donne di San Luca, Carolina Girasole, sindaca di Isola Capo Rizzuto. Senza dimenticare altre icone antimafia come Adriana Musella, reggina, figlia di una vittima della ‘ndrangheta, che con la sua associazione Riferimenti, pensò di organizzare “la settimana bianca della legalità” in Trentino con i fondi pubblici ricevuti. Alle critiche di un assessore provinciale all’iniziativa, la Musella (per dovere di cronaca, mai finita in alcuna inchiesta della magistratura) rispose: “Si cerca di delegittimare l’antimafia”.

Delegittimazione. Di solito è questa la difesa che l’icona antimafia preferisce utilizzare invece di dimostrare l’infondatezza delle accuse che le vengono rivolte. Ammesso che che di accuse infondate si tratti.

Rosy Canale, autrice anche di un libro (La mia ‘ndrangheta, Edizioni Paoline) e attrice in giro per i teatri italiani (con Malaluna – Storie di ordinaria resistenza nella terra di nessuno, con musiche di Franco Battiato), candidata alle comunali di Reggio Calabria col Pd, finì ai domiciliari su richiesta della Dda di Reggio Calabria.

Per il procuratore Federico Cafiero de Raho e l’aggiunto Nicola Gratteri oltre alle accuse di truffa aggravata e di peculato, la Canale aveva “la responsabilità etica di avere tradito chi aveva creduto in lei, in un contesto difficilissimo come quello di San Luca”

L’allora quarantenne imprenditrice Rosy Canale (siamo nel 2013) non fu accusata di reati di mafia, a conclusione dell’indagine in seguito alla quale finirono in carcere anche il sindaco di San Luca, Salvatore Giorgi, e altre quattro persone.

Anche l’ex  primo cittadino del centro della Locride si era accreditato nel tempo come simbolo della lotta alla ‘ndrangheta, partecipando a numerose manifestazioni antimafia.
Dall’indagine condotta dai carabinieri che portò al suo arresto emerse, invece, che ila sua elezione era stata favorita dalle cosche Pelle e Nirta in cambio del loro controllo sugli appalti gestiti dal Comune. In particolare, le due cosche avrebbero ottenuto l’appalto per la metanizzazione di San Luca, il più importante gestito dal Comune, oltre a vari lavori di minore importo.

Ed era nei locali di un bene sequestrato proprio al clan Pelle, che l’imprenditrice Rosy Canale cominciò il suo accreditamento come icona antimafia dopo la strage di Duisburg del ferragosto 2007.

Doveva realizzarci una ludoteca per i bambini del paese, creò il movimento Donne di San Luca al quale, con una accorta regia, seppe dare grande clamore mediatico. L’attività della ludoteca non cominciò mai. Ma i fondi arrivati all’associazione furono utilizzati. Non per scopi sociali ma per lo shopping. Col denaro destinato ai progetti delle “Donne di San Luca”, aveva comprato vestiti (per se stessa ma anche per il padre e per la figlia), scarpe Hogan, borse griffate Louis Vuitton e Fendi. I fondi arrivati dal ministero alla Gioventù li usò per comprare una Fiat 500.

Nelle carte dell’inchiesta, ribattezzata “Inganno”, la Canale, che aveva ottenuto stanziamenti anche da Enel Cuore per altri 160mila euro, veniva definita “un’avida procacciatrice di denaro”. In una intercettazione, alla madre che le diceva al telefono “attenta a spendere questi soldi che non sono tuoi”, lei rispondeva tranchant: “Me ne fotto”.

Pochi giorni prima dell’arresto aveva portato il suo spettacolo “Malaluna” al teatro Parenti di Milano e poi a Roma, dove aveva denunciato “l’indifferenza dello “Stato Italia” nei confronti di progetti come quello della ludoteca di San Luca, roccaforte delle cosche in Aspromonte”.

Il nostro excursus termina qui. Tra qualche tempo, probabilmente ci ritroveremo a leggere o a scrivere, purtroppo, di altre icone antimafia sprofondate nel fango

Converrà allora far tesoro delle parole di Nicola Gratteri, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria: “Da tanti anni dico di fare attenzione a chi si erge a paladino dell’antimafia senza avere alle spalle una storia. Bisogna sempre essere seri non c’é se né ma. Bisogna essere intransigenti e non accettare alcun accomodamento. Se uno vuole fare antimafia non ha bisogno di sovvenzioni pubbliche. L’antimafia si fa facendo volontariato, andando a fare ripetizioni nelle scuole gratis, negli ospedali ad accudire gli anziani”.

Le icone lasciamole dove hanno sempre avuto un senso: nelle chiese.

@antoniomurzio

TAG: antimafia, Carolina Girasole, Lorenzo Diana, nicola gratteri, Rosy Canale, San Luca, Sebastiano Giorgi
CAT: Giustizia

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