Su ogni pratica di giustezza pende un “Tribunale di Locri”?

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1 Ottobre 2021

Le sentenze si rispettano, certo, a meno che il tribunale che le emette non assurga a metafora di un mondo sottosopra e di una giustizia rovesciata. In quel caso non solo si commentano, ma si è chiamati finanche a manifestare pubblicamente per contestarne la sconvenienza. La fattispecie che ha portato alla condanna di Mimmo Lucano, di cui le cronache hanno abbondantemente scritto e parlato, appare talmente sproporzionata, incongrua e non conforme, da richiamare alla mente la “Provocatio ad popolum”. L’espressione latina designa un istituto tipico del diritto penale romano di epoca repubblicana, in base al quale il cittadino che fosse stato giudicato colpevole da un magistrato nel corso di un processo, aveva il diritto di appellarsi al popolo, rimettendo la sentenza ai comizi, nella loro veste di tribunale supremo. La provocatio era indubbiamente un gesto di grande rilevanza ideologica: appellandosi al popolo, l’imputato insinuava il sospetto che fosse in atto, ai suoi danni, una persecuzione motivata da ragioni esclusivamente politiche. Oggi il popolo non può sospendere la sentenza di condanna del giudice di Locri nei confronti dell’ex sindaco di Riace, ma può egualmente confutarne l’imparzialità tramite testimonianze di solidarietà all’interno di un dibattito dialettico e democratico. Ed è quanto sta avvenendo in queste ore in diverse città del paese.

Una cosa e certa: tanta gente è restata sconcertata alla notizia di condanna per 13 anni di un uomo dedito a finalità limpidamente caritatevoli, come quelle relative all’accoglienza degli immigrati. Dare ospitalità a chi fugge da qualcosa, applicando gentilezza e assistenza, in nessun modo può costituire un reato così grave da essere perseguito con una severità tanto inaudita quanto artificiosa. E, non ci sono appigli di natura giuridica che possano giustificare una mostruosa applicazione del diritto di tale portata. Il “Progetto Riace”, di cui Mimmo Lucano è l’anima, resta un’operazione umanitaria di grande rilievo, un modello di integrazione efficiente e, al contempo, un processo di evoluzione sociale e culturale. Niente a che vedere, dunque, con la “cattiva condotta” che porta a perseguire il male, rendendosi artefici di misfatti passibili di un giudizio penale. Il condannato Lucano è stato la soluzione ai ghetti e l’alternativa alle deplorevoli politiche di respingimento di persone che vogliono solo vivere con un minimo di decoro. Lucano non si è arricchito con loro, come testimoniano le carte, i documenti, ogni atto. A quanti può piacere uno Stato che si autoassolve nei processi per mafia ai suoi rappresentanti e ha in uggia, invece, uomini che stanno al mondo in maniera completamente opposta a quella degli assassini, dei trafficanti di droga, degli stupratori, che non arrivano mai ad accumulare, in una sola sentenza, 13 anni di condanna? Guai, se questo sarà il paese, dove, da ora in poi, su ogni pratica di giustezza penderà un “Tribunale di Locri”!

 

 

 

 

 

 

 

TAG: Mimmo Lucano, riace, sentenza monstre, tribunale di Locri
CAT: Giustizia

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