Decenni dopo l’Italia, obbligatorio anche in Germania il giudice per i TSO

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25 Luglio 2018

La Corte Costituzionale tedesca è intervenuta il 24 luglio 2018 a regolare le misure coercitive applicate ai malati psichiatrici, censurando specificatamente le disposizioni in vigore in Baden-Württemberg e l’assenza di norme in Baviera che hanno l’effetto di ammettere, senza una decisione giudiziaria, la pratica di legare coattivamente ai letti i malati negli ospedali psichiatrici quando danno in escandescenze e possono arrecare danno a sé od altri. In Italia, come si dirà più diffusamente oltre, l’intervento del giudice in questi casi è già normativamente previsto da quarant’anni. Il Der Spiegel ha indicato peraltro che in Olanda invece i pazienti psichiatrici vengono piuttosto isolati in una stanza idonea, mentre in Inghilterra vengono preferibilmente sedati, ma non sono misure meno invasive.

I ricorsi ai giudici di Karlsruhe erano stati presentati rispettivamente da un malato di schizofrenia ricoverato su ordine giudiziale il quale, dietro esclusivo parere medico, venne assicurato al letto per alcuni periodi lungo l’arco di più giorni perché gettava oggetti addosso agli altri; nonché da un cittadino bavarese ricoverato in urgenza di notte con un tasso alcolico del 2,6 per mille e valutato ad acuto rischio di suicidio, il quale fu ospedalizzato per 12 ore, di cui 8 fissato al letto in 7 punti, procurandosi escoriazioni e lividi.

I magistrati costituzionali tedeschi hanno indicato che in futuro la privazione della libertà, un bene espressamente tutelato anche in Germania dalla Carta costituzionale all’articolo 2,  potrà essere ammissibile anche in ambito sanitario solo come ultima misura e di regola dovrà essere decisa prima da un giudice. L’articolo 104, 2° comma, punto 1 della Costituzione tedesca prevede specificatamente che la privazione della libertà può essere disposta solo per decisione giudiziale, ma la normativa del Baden-Württemberg e l’assenza di leggi specifiche in Baviera, vi derogavano nella prassi sanitaria. I magistrati porporati hanno invece statuito che solo laddove per la situazione concreta -come nel caso del ricorrente bavarese- non è stato possibile preventivamente sentire un magistrato si possa procedere, ma il suo assenso dovrà comunque essere raccolto al più presto. In pratica il legislatore dovrà disporre di un servizio di giudici di sorveglianza continuativamente raggiungibili quantomeno tra le 6 e le 21. L’ordine di procedere al fissaggio del paziente al letto con cinture che ne limitino i movimenti, dovrà poi essere disposto e sorvegliato da un medico e prestato da un assistente dedicato al paziente -con prevedibili maggiori oneri per il sistema sanitario- la procedura documentata e chiarito al paziente che può ricorrere giudizialmente.

I Länder avranno ora tempo fino alla fine del giugno 2019 per rispettivamente emettere ed emendare leggi specifiche in materia. L’ancoraggio ai letti può peraltro occorrere anche negli ospizi e le case di cura; pure se non specificatamente oggetto della sentenza anche in queste sedi il fissaggio a cinque punti (braccia, gambe ed addome) o addirittura a sette (aggiungendo torace e fronte) dovrà essere regolato analogicamente, ottenendo l’approvazione preventiva di un giudice di sorveglianza, od in caso di urgenza procedendo ad ottenerla al più presto, e ciò anche se ci fosse stato l’assenso dei parenti.

Durante i due giorni della fase orale del procedimento svoltasi nel gennaio 2018 periti hanno riferito (secondo quanto rispettivamente riportato dalla ARD e dal Der Spiegel) che in Baden-Wurttemberg sono state disposte oltre 4.100 misure di contenzione al letto nel 2015, scese a 2.766 nel 2016, con esse mediamente i pazienti sarebbero stati assicurati 13 ore consecutive; mentre un collega di Monaco ha riportato che in Baviera il contenimento al letto si verifica mediamente tra il 3 e l’8% dei pazienti ricoverati negli ospedali psichiatrici.

 

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Si getti ora lo sguardo all’Italia. Con l’istituzione del sistema sanitario nazionale con la legge 833 del 1978 (aggiornata in Gazzetta Ufficiale il 30 gennaio 2001) già da decenni è indicato l’intervento obbligatorio del giudice nell’impiego della procedura di trattamento sanitario obbligatorio psichiatrico (TSO) che ex art 34 l. 833/78 può tuttavia essere disposto solo nella compresenza di necessità ed urgenza indifferibili, laddove il soggetto rifiuti l’intervento dei sanitari e non si possano adottare misure extra-ospedaliere. In questa finestra è peraltro ammissibile la contenzione, quand’anche sotto stretto controllo dei parametri e solo per la stretta durata necessaria. È lo stesso articolo 32 della Costituzione italiana che specifica che <Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge> ad ammetterne il ricorso solo in casi eccezionali. Il TSO in ambito psichiatrico, come in presenza del cosiddetto “delirium” sotto stato di ebrezza con moti suicidi, è disposto ex art 35 l. 833/78 su ordinanza del sindaco, quale massima autorità sanitaria territoriale, preso entro 48 ore dietro proposta motivata di un medico, avvallata da un secondo sanitario della ASL avente competenza territoriale, ma entro 48 ore gli atti devono essere trasmessi a cura del messo comunale al giudice tutelare che a sua volta dovrà emettere entro 48 ore decreto motivato di approvazione o diniego del ricovero coatto. Per legge il TSO può durare al massimo 7 giorni, rinnovabili solo dietro nuova richiesta del medico psichiatra e nuova diposizione giudiziaria; in effetti spesso dura assai meno. Esso può peraltro trovare applicazione anche al di fuori dell’ambito psichiatrico, per esempio nel caso di malattie infettive gravi, se il paziente rifiuta il trattamento (vedasi art 33 l. 833/78) ed in questo caso non è espressamente previsto anche l’intervento dell’autorità giudiziaria, ma solo di un medico che lo propone e del sindaco che lo dispone; il primo cittadino decide anche entro 10 giorni sulle richieste di revoca.

Altra questione è la contenzione a letto dei degenti in ambito sanitario per paura che cadano o rimuovano eventuali flebo, vuoi perché anziani o perché manifestino un disorientamento post-operatorio. Nella nuova versione del Codice deontologico dell’infermiere, in corso di consultazione, l’art.32 indica <L’infermiere pone in essere quanto necessario per proteggere la persona assistita da eventi accidentali e/o dannosi, mantenendo inalterata la di lei libertà e dignità> (superando il dettato dell’articolo 30 nella versione originale del 2009 che prevedeva espressamente la contenzione, pur specificando dovesse essere limitata solo a eventi straordinari e sostenuta da prescrizione medica o da documentate valutazioni assistenziali). Esistono poi iniziative come la Carta Europea per la non contenzione in ambito socio-sanitario siglata il 30 marzo 2017 nel capoluogo del Friuli Venezia Giulia dal direttore dell’Azienda sanitaria universitaria integrata di Trieste, ma è un impegno che non ha valore di legge.

Ogni abuso dei mezzi di contenzione d’altronde è punibile come limitazione del diritto all’autodeterminazione e alla libertà personale di movimento in base all’articolo 571 del Codice Penale e può esporre anche a diverse altre ipotesi di reato quali la violenza personale (art. 610 CP), il sequestro di persona (art. 605 CP) i maltrattamenti (art. 572 CP), o peggio se si verificano lesioni od il decesso del paziente. D’altronde ai medici e agli infermieri viene riconosciuta una funzione di garanzia verso i degenti e l’articolo 40 del codice penale indica che non impedire un evento che si aveva il dovere di evitare equivale a cagionarlo così come il successivo articolo 54 specifica che non è punibile chi abbia commesso un fatto nello stato di necessità di salvare sé od altri da un pericolo attuale od un danno grave alla persona da lui non voluto ed inevitabile, purché il fatto sia proporzionato al pericolo.

Con ciò è anche vero -come hanno osservato Leonardo Grassi e Fabrizio Ramacciotti (http://www.ristretti.it/areestudio/salute/mentale/contenzione.htm)- che la contenzione meccanica non sarebbe scriminata dal consenso dell’avente diritto (art. 50 CP), in quanto anche se quest’ultimo fosse prestato in via preventiva, come spesso accade per i tossicodipendenti ammessi in alcune comunità, esso è sempre revocabile e l’applicazione dei mezzi di contenzione è l’evidente conseguenza del rifiuto del paziente di sottoporsi alla terapia. Anita Picconi e Marica Sicilia già nel settembre 2015 sulla testata specializzata sul trattamento delle malattie mentali 180gradi.org indicavano che anche la Conferenza delle Regioni fin dal 2009 producendo indicazioni sul TSO ha raccomandato che <ogni forma di intervento sanitario che prescinda dal consenso viene considerata un’eccezione, di cui restringere la portata, salvaguardando i diritti della persona dalle limitazioni che ne derivano> riecheggiando peraltro il dettato stesso della legge 833/78 che all’articolo 33 indica <Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori … devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato>.

 

 

Immagine di copertina: Pixabay, https://pixabay.com/it/catene-catturati-psiche-uomo-433538/

 

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TAG: Contenimento, Karlsruhe, TSO
CAT: Giustizia, Medicina

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